da Leadership Medica n. 10 del 2000
Cosa si debba intendere per Ospedale senza dolore ce lo ha insegnato moltissimi anni fa John Bonica (un anestesista italo-americano fondatore negli anni Cinquanta della clinica del dolore).
È un ospedale che ha la possibilità di effettuare, in modo organico e di routine, la terapia del dolore, sia esso acuto che cronico. In altri termini un Ospedale che dispone, oltre al servizio di anestesia e rianimazione anche di un servizio di diagnosi e cura del dolore.
In questo modo, in quell’ospedale non vi è dolore, poiché esso viene prontamente curato, ridotto ed eliminato. John Bonica realizzò il primo Ospedale senza dolore negli anni Cinquanta a Seattle alla University of Washington. Questa splendida struttura rappresentò in seguito un punto di riferimento ed un perfetto modello per tutto il mondo.
Alla fine degli anni Cinquanta, insieme al neurochirurgo Professor Papo, allora al Policlinico di Milano (e successivamente Primario Neurochirurgo ad Ancona) proponemmo alla Amministrazione degli Istituti Clinici di Perfezionamento, di istituire a fianco del Servizio di anestesia, un servizio di Terapia del Dolore. La proposta considerava il trattamento sia del dolore acuto (postoperatorio e da parto), sia del dolore cronico (nevralgie, cefalee, dolore reumatico) e dolore da cancro.
In pratica si proponeva la istituzione dell’ospedale senza dolore sul modello di John Bonica. L’amministrazione bonariamente ma fermamente ci suggerì di ritirare la proposta. In questo modo gli ICP persero la grande occasione di essere storicamente nel mondo fra i primissimi Ospedale senza dolore.
Dovevano passare molti anni prima che i nostri sogni sulla organizzazione della terapia del dolore in Italia cominciassero a realizzarsi. Nel 1976 una decina di medici (fra i quali il sottoscritto) rispondendo all’invito ed alla sollecitazione che dagli Stati Uniti mandava Bonica, fondavano la Associazione Italiana di Studi sul Dolore, capitolo italiano della IASP (International Assiociation for the Study of Pain). Poco dopo, organizzato e presieduto da John Bonica, Paolo Procacci e Carlo Alberto Pagni, a Firenze si teneva il primo Congresso Mondiale sul Dolore.
Partecipanti, se ricordo bene, eravamo all’incirca un centinaio.
A testimoniare il clamoroso sviluppo che l’interesse negli studi sul dolore ha raggiunto nel mondo consideriamo che, al IX Congresso mondiale sul dolore, che si tenne a Vienna nel 1998, gli iscritti furono oltre 7.000! L’Italia è un paese in cui i problemi della terapia del dolore hanno avuto sempre spazio ed attenzione.
Basti pensare alla scuola di Firenze con Lunedei e Galletti, pionieri geniali della fisiopatologia e diagnosi di importanti sindromi algiche, o a quella di Torino, con Dogliotti e Ciocatto, cui moltissimo si deve per il progresso della terapia mediante blocco periferico e spinale. E poi molto è stato fatto in sedi universitarie come Trieste con Mocavero, Verona con Ischia, Chieti con Vecchiet, Padova con Giròn, solo per citarne alcune.
Nel 1982 l’Università di Milano istituiva la prima cattedra di Fisiopatologia e Terapia del dolore, e io venni dalla Facoltà di Medicina e Chirurgia chiamato a dirigerla. Inoltre, nel 1983 gli Istituti Clinici di Perfezionamento di Milano accettavano una generosa donazione delle famiglie Bergamasco e Visconti di Modrone, che vollero erigere il primo Centro Universitario-Ospedaliero per la terapia del Dolore.
Il “Padiglione Maria e Pier Ettore Bergamasco”, di cui assunsi la direzione, sorse nel 1985 a Milano, in Via della Commenda 19. Con i miei collaboratori, tutti anestesisti, assistemmo migliaia di pazienti ogni anno.
Ma qual è nelle Aziende Ospedaliere Italiane la situazione dei Servizi di Terapia del Dolore?
In altre parole attualmente nel nostro Paese - dove le persone che soffrono di dolori cronici raggiungono la cifra di oltre venti milioni e dove interventi operatori e parti sono migliaia al giorno - quanti sono gli Ospedali senza dolore, ossia Aziende Ospedaliere in cui sia istituzionalizzato e reso routinario un servizio di terapia del dolore acuto e cronico? Difficile dirlo, ma sicuramente molto pochi. La terapia del dolore è per tradizione affidata agli anestesisti, i quali in molte Aziende Ospedaliere per appassionata iniziativa personale dedicano a questa disciplina tempo, spesso fuori orario di servizio, e senza compenso alcuno.
Nel 1985 la Regione Veneto, prima in Italia, istituiva su iniziativa del prof. Giampiero Giron, negli Ospedali della Regione, il Servizio di Terapia del Dolore. Di fatto era l’Ospedale senza dolore. L’esempio venne seguito con successo in varie altre regioni tra cui Liguria ed Emilia-Romagna.
E in Lombardia, la regione che diede l’esempio?
In una intervista il Prof. Giuliano Pradella, allora Presidente degli Anestesisti Lombardi, diceva: “tra gli esempi negativi anche a causa dell’instabilità politica, troviamo la Lombardia, dove la latitanza legislativa blocca progetti di grande utilità come la istituzione negli Ospedali dei Servizi di Terapia del dolore. Basti pensare che in Lombardia un milione e mezzo di persone può aver bisogno, ogni anno, di terapie antalgiche”.
Scrive Costantino Benedetti (allievo di Bonica e attualmente professore di anestesia alla Ohio State University) che “quando il dolore acuto non è convenientemente trattato, si instaura un circolo vizioso crescente di ansia, paura e stress che può portare ad insonnia, passività, immobilità, che a loro volta aumentano la percezione algica del paziente. Il dolore a livello toracico o addominale alto impedirà al paziente di respirare normalmente o tossire. L’incidenza delle complicanze polmonari viene riportata essere tra il 20 ed il 60%.
Il dolore a carico degli arti inferiori o della pelvi impedisce la deambulazione predisponendo i pazienti alla trombosi venosa e quindi al rischio di embolia polmonare”.
Nell’ospedale senza dolore il paziente operato non dovrebbe, nel periodo postoperatorio, in alcun modo avvertire il dolore.
A proposito della terapia del dolore postoperatorio scrive ancora Benedetti [1996]: “Il dolore acuto postoperatorio deve essere trattato per due ragioni fondamentali: la prima umanitaria, per diminuire le sofferenze del paziente; la seconda clinica, per diminuire le complicanze e i tempi di ricovero”. L’ospedale senza dolore, si propone dunque di adottare e di applicare sistematicamente regole terapeutiche che oltre che scientifiche si possono definire etiche.
In molti Paesi, fra cui gli Stati Uniti, il modello di Ospedale senza dolore è applicato da anni.
In molti di questi Ospedali esiste un’équipe medica ed infermieristica che si occupa del dolore acuto, mentre una seconda équipe si occupa del trattamento del dolore cronico non oncologico, ed una terza équipe si occupa del trattamento del dolore da cancro.
La terapia del dolore dovrebbe inoltre estendersi al territorio istituendo nelle Aziende Ospedaliere, ambulatori e Day Hospital di terapia del dolore, affidati agli anestesisti, a cui il cittadino possa rivolgersi per la diagnosi e la terapia dei dolori cronici. In questa direzione da tempo sta muovendosi in maniera eccellente la Siaarti, (Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva) istituendo annualmente corsi su come si deve organizzare e gestire un Ospedale senza dolore. Quella di istituzionalizzare in ogni Ospedale il servizio di Terapia del Dolore è quindi una grande battaglia assistenziale, a contenuto scientifico e soprattutto etico.
La persona che deve essere ricoverata o per intervento o per partorire lo farebbe con molta più serenità e tranquillità sapendo che gli è garantita la protezione integrale dal dolore.
L’ideale sarebbe che tutte le aziende ospedaliere italiane, e non solo pochi illuminati esempi, diventassero tali.
È soltanto un problema organizzativo e quindi di buona volontà da parte delle amministrazioni ospedaliere e degli Assessorati alla Sanità delle Regioni. Un servizio di cui, nel 2000, il cittadino ha pieno diritto. Pare che finalmente i politici l’abbiano capito.
Mario Tiengo
Professore Emerito di Fisiopatologia e Terapia del dolore
Università di Milano