Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 2 del 2002

Abstract

L’aterosclerosi rimane tuttora la principale causa delle morti per cause cardiovascolari nei paesi occidentali.
Uno dei principali fattori di rischio della malattia aterosclerotica è rappresentato dall’aumento del colesterolo plasmatico ed in particolare del colesterolo legato alle lipoproteine di bassa densità (LDL).
La malattia, con le caratteristiche della infiammazione cronica, è caratterizzata da processi dinamici che attraverso la formazione iniziale delle precocissime strie lipidiche nelle arterie conducono alla formazione delle placche fibrolipidiche, cioè gli ateromi. Questi possono essere composti quasi interamente da tessuto connettivo (placche stabili) o contenere una considerevole parte centrale di lipidi extracellulari, il core, circondato da cellule infiammatorie (T linfociti e macrofagi infarciti di lipidi) e grandi quantità di citochine, del fattore tessutale procoagulante, le metalloproteinasi, il fattore di necrosi tumorale alfa.
La presenza di tali fattori rende tali placche vulnerabili e suscettibili di complicarsi con trombi che possono acutamente occludere le arterie coronariche e periferiche, provocando l’infarto miocardico e l’ictus cerebrale. Gli eventi della aterogenesi sono estremamente complessi ed è utile ricordare i meccanismi biochimici e molecolari che governano le tappe della malattia, anche per poter intervenire su di esse al fine di prevenirla ed impedirne le complicanze più gravi. Nella aterogenesi ricoprono un ruolo fondamentale le cellule endoteliali che modulano il tono vascolare, la proliferazione cellulare, l’emostasi, l’aggregazione piastrinica, la trombogenesi, l’adesività dei monociti, l’infiammazione, la risposta immunitaria e la produzione di radicali liberi.
I fattori di rischio possono alterare la funzione endoteliale, con un aumento della produzione radicalica e la diminuzione delle biodisponibilità di ossido nitrico (NO). Il NO è il principale vasodilatatore e possiede attività antipiastriniche e di inibizione della crescita delle cellule muscolari lisce vascolari. La disfunzione endoteliale ha varie cause e conseguenze ed è collegata alla ossidazione delle LDL e alla attivazione delle cellule infiammatorie del sangue attraverso complessi meccanismi biomolecolari, che portano alla lesione vascolare e alla aterotrombosi.
E’ importante conoscere, per tentare di intervenire su essi, i ben noti fattori di rischio tradizionali e quelli meno noti addizionali, metabolici e infiammatori. Tra questi ultimi assumono un ruolo predittivo di complicanze dell’aterosclerosi alcune proteine della fase acuta, come la proteina C reattiva e il terzo componente del complemento (C3).
Nella scuola bolognese è stato riscontrato che livelli elevati di C3 nei soggetti maschi sono indipendentemente associati al rischio di infarto e a diversi fattori di rischio tradizionali. Lo sviluppo di agenti farmacologici in grado di modulare il sistema del complemento potrebbe far meglio comprendere le sue complesse funzioni e rappresentare una importante area per le ricerche future.

Articolo

Nei soggetti ipercolesterolemici è possibile osservare una deposizione extracellulare di lipidi amorfi e membranosi, che precede la fase successiva, e cioè l’accumulo nello spazio subendoteliale dei T linfociti e dei macrofagi infarciti di colesterolo, cioè le cellule schiumose, che compongono le cosiddette “strie lipidiche”.
Queste lesioni, tipicamente infiammatorie, possono essere riscontrate nell’aorta fin nella prima decade di vita, nelle coronarie nella seconda e nelle arterie cerebrali nella terza e quarta decade. Non hanno in genere alcun significato clinico, ma rappresentano lo stadio più precoce, i precursori delle lesioni più avanzate, cioè le placche.
Le placche fibrolipidiche si generano durante la fase silente della aterosclerosi, che può durare decenni. Contengono quantità variabili di una matrice connettivale prodotta dalle cellule muscolari lisce, di lipidi, sia liberi che all’interno del citoplasma delle cellule schiumose, e di T linfociti. Le placche possono essere solide, composte quasi interamente di tessuto connettivo o possono avere una parte centrale, detta core, di lipidi extracellulari che possono occupare fino al 60% del volume della placca stessa.

Fig. 1 Arteria coronaria ascendente anteriore destra sezionata nel suo decorso per mostrare il restringimento del lume, più pronunciato nella porzione prossimale a sinistra, a causa di un'avanzata aterosclerosi.

La maggior parte di soggetti ha placche con composizioni eterogenee che variano fra questi estremi, anche a livello delle arterie coronarie. Attorno al core lipidico sono presenti numerosi macrofagi infarciti di lipidi, e sono presenti grandi quantità di citochine infiammatorie come il fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-alfa), prodotto dagli stessi macrofagi, i quali esprimono anche altri fattori.

Tra questi il fattore tessutale procoagulante, ed alcune metalloproteinasi attivate dalla plasmina, che possono degradare tutti i componenti della matrice collagene. In tal modo si comprende come le placche debbano essere considerate strutture dinamiche, con presenza di fenomeni infiammatori e di un alto ricambio del tessuto connettivale.
La placca può andare incontro a calcificazione, ad ulcerazione sulla superficie endoluminale e ad emorragie dei piccoli vasi che la circondano. Essa può crescere fino a restringere il lume vasale o complicarsi con la rottura o la fissurazione e con la sovrapposizione di un trombo che può acutamente occludere il vaso. Ciò è tipico dell’infarto miocardico o dell’ictus. In questo schema morfologico tutto può sembrare semplice: tuttavia gli eventi dell’aterosclerosi sono estremamente complessi.
E’ quindi importante ricordare i meccanismi biochimici e molecolari che governano il processo aterogenetico. Per prima cosa è stato rilevato che le cellule infiammatorie del sangue e in particolare i monociti/macrofagi, insieme alle cellule endoteliali, giocano un ruolo fondamentale lungo tutto il cammino dell’aterosclerosi. (ATS)

Ruolo dell’attivazione endoteliale

Il riconoscimento della importanza delle cellule endoteliali nella patogenesi della malattia aterosclerotica risale agli anni settanta, quando fu osservato che la loro rimozione meccanica aumentava drammaticamente la capacità di indurre le lesioni in animali sottoposti a dieta iperlipidica. Venne così formulata da Russel Ross l’ipotesi della “risposta al danno”.
La più recente versione pone l’accento su una disfunzione più che su una perdita fisica dell’endotelio e ciò trova conferma in numerose osservazioni sia nei modelli animali che nell’uomo. L’endotelio viene oggi considerato un vero organo o sistema, dotato di funzioni autocrine, paracrine ed endocrine. Il suo peso è di 1,8 chilogrammi e la sua superficie ricopre un’area di 700 metri quadri. Oltre alla proprietà di barriera di permeabilità selettiva, possiede altre proprietà funzionali in grado di modulare il tono vascolare, la proliferazione delle cellule muscolari lisce vascolari, l’emostasi, la trombolisi, l’aggregazione piastrinica, l’adesività dei monociti, l’infiammazione, la risposta immunitaria e la produzione di radicali liberi. Fattori rilassanti vascolari sono: l’ossido nitrico, la prostaciclina, la bradichinina e i fattori iperpolarizzanti.
Sono invece vasocostrittori l’endotelina-l, il trombossano, l’attivazione dell’angiotensina II. Il principale vasodilatatore è il radicale ossido nitrico (NO), che possiede anche una azione antipiastrinica e una proprietà inibitrice della crescita delle cellule muscolari lisce.
Tutti i fattori di rischio possono, con vari meccanismi, determinare una alterazione della funzione endoteliale ed un aumento della produzione di specie reattive dell’ossigeno da parte dell’endotelio e delle cellule muscolari lisce vascolari. In particolare, fattori sistemici, come l’ipercolesterolemia, l’iperglicemia e l’iperomo cisteinemia e fattori locali, come l’attivazione dei macrofagi e dei T linfociti e lo shear stress, possono contribuire allo stress ossidativo, espresso dalla iperformazione di metaboliti reattivi dell’ossigeno, specie dell’anione superossido. L’aumento dell’anione superossido determina una diminuzione dei livelli ambientali di ossido nitrico attraverso una reazione radicale/radicale.
La disfunzione endoteliale ha varie cause e conseguenze.
Fra queste l’inattivazione del NO è un fenomeno precoce e dati sperimentali indicano che ciò contribuisce alla patogenesi della malattia. E’ noto che l’ipercolesterolemia determina un aumento della produzione endoteliale di superossido e questo aumento si può riscontrare anche nell’ipertensione, nel diabete mellito, nell’iperomocisteinemia, ecc. Da ciò è deducibile che lo stress ossidativo rappresenta il comune denominatore di molti fattori di rischio.
La prima conseguenza della reazione fra l’anione superossido e l’ossido nitrico è la formazione del perossinitrito, con riduzione della bioattività del NO. Il perossinitrito è una molecola fortemente ossidante che si decompone in due potenti radicali liberi OH e NO2. Le sue azioni non si limitano ad attivare molto debolmente la guanilciclasi e pertanto ad esplicare un ruolo del tutto assai secondario rispetto al NO. Il perossinitrito può iniziare anche la perossidazione lipidica e ossidare i gruppi tiolici o i residui di tirosina.
La formazione di lipoperossidi ed in particolare di lipoproteine di bassa densità (LDL) ossidate determina a sua volta a livello sperimentale vari effetti negativi:

  1. effetto citotossico sulle cellule endoteliali;
  2. promozione del reclutamento di cellule infiammatorie sulla parete vascolare e aumento della loro produzione locale di radicali liberi dell’ossigeno;
  3. diminuzione dei livelli di ossidonitricosintetasi (eNOS) nelle cellule endoteliali;
  4. interferenza con prodotti della perossidazione lipidica, come la lisofosfatidil colina, con la trasduzione del segnale e la stimolazione recettore-dipendente della attività della eNOS e con l’attivazione della guanilciclasi. Questi dati sperimentali sono indirettamente provati anche nell’uomo, ma un legame diretto fra perossidazione lipidica e disfunzione endoteliale deve essere ancora provato.

E’ interessante a questo proposito il rilievo che l’uso di antiossidanti come l’alfa tocoferolo e l’acido ascorbico possano migliorare la bioattività del NO. Un effetto antiossidante è stato dimostrato anche con alcuni farmaci ipolipidemizzanti della classe delle statine, che provocano un effetto favorevole sulla disfunzione endoteliale.

Ruolo delle cellule infiammatorie del sangue

Le LDL minimamente ossidate, i ligandi CD/40, il fattore di crescita piastrinico (PDGF) e l’interleuchina-l beta (IL-l beta) stimolano e promuovono l’aterogenesi e inducono nelle cellule endoteliali, nelle cellule muscolari lisce (SMC) e nei monociti l’espressione di citochine chemiotattiche [in particolare l’MCP- 1 (proteina chemioattrattante i monociti-l) che provocano il reclutamento e la trasmigrazione dei monociti (ma non dei neutrofili) attraverso la barriera endoteliale.
I monociti e le cellule- T aderiscono all’endotelio per azione di selettine prodotte dai monociti e di molecole di adesione ICAM, delle integrine VCA-4 e VCAM-l endoteliali.
Per essere internalizzate dai macrofagi è necessario che le LDL siano altamente ossidate e questo processo è realizzato dai ROS (specie reattive dell’ossigeno) prodotti dall’endotelio e dai macrofagi. Parecchi enzimi, che si riscontrano nelle lesioni ATS umane sono pure coinvolti e fra questi la mieloperossidasi, la sfingomielinasi e una fosfolipasi secretoria.
La rapida captazione delle LDL altamente ossidate (o modificate come le glicate) da parte dei macrofagi che divengono cellule schiumose è mediata da un gruppo di recettori “scavenger” che riconoscono molti ligandi.
L’espressione degli scavenger è regolata dai PPAR gamma i cui ligandi inibiscono gli acidi grassi ossidati e da citochine come il fattore di necrosi tumorale alfa e l’interferone gamma. Il processo di formazione delle cellule schiumose è inibito dalle apo E, secrete dai macrofagi, che promuovono l’efflusso di colesterolo verso le HDL e quindi in grado di inibire la trasformazione dei macrofagi in cellule schiumose.
Le cellule schiumose distese dai lipidi muoiono e i lipidi sono rilasciati negli spazi extracellulari e formano il core lipidico. Le SMC proliferano e formano una capsula di collagene intorno al core. II processo implica l’azione delle proteine infiammatorie e delle LDL modificate. Formatasi la placca, si ha un ulteriore danno infiammatorio endoteliale le cui cellule si perdono nelle aree focali ed espongono la matrice subendoteliale su cui aderiscono le piastrine con formazione di un trombo. II trombo si può formare anche per rottura della placca povera di SMC e ricca di lipidi e macrofagi attivati con forte espressione del fattore tissutale e con una capsula sottile con disorganizzazione della struttura collagene.
Le placche con queste caratteristiche, chiamate vulnerabili, sono ad alto rischio di rotture, determinate dal rilascio di metalloproteinasi da parte dei macrofagi attivati che distruggono l’impalcatura connettivale. La trombosi fa precipitare gli eventi acuti ischemici.
Questi fenomeni sono inibiti dai farmaci ipolipidemizzanti della classe delle statine.

Ruolo della attivazione dei recettori Peroxisomiali (PPAR)

Una azione simile a quella delle statine sembra essere posseduta anche dagli agonisti dei PPAR che possono modulare le funzioni delle pareti vascolari, influenzando direttamente i meccanismi cellulari che stanno alla base della malattia aterosclerotica.
In particolare gli attivatori-ligandi sintetici del PPAR alfa come i fibrati (e i F ANS) stimolano l’ossidazione dei lipidi, alterano il metabolismo delle lipoproteine ed inibiscono l’infiammazione delle pareti vascolari nonché l’espressione della IL 1-6 e della ciclossigenasi 2 nei monociti/macrofagi.
Infine prevengono l’espressione della endotelina-l (ET-1), che partecipa all’aterogenesi attivando le proprietà chemiotattiche dei monociti ed inducendo le molecole di adesione nelle cellule endoteliali.
Sulle cellule muscolari lisce esplicano azioni anti- infiammatorie interferendo negativamente sul fattore nucleare kB (FN-kB).
Al contrario i PPAR gamma, i cui attivatori sono i farmaci tiazolidenadioni, sembrerebbero favorire l’aterogenesi sperimentale, ma avrebbero effetti benefici agendo sulla insulino-resistenza e regolando alcuni geni proinfiammatori. Saranno utili più studi clinici controllati per risolvere il puzzle se l’attivazione dei PPAR eserciti una reale attività anti-aterosclerotica nell ‘uomo.

Marcatori bioumorali di infiammazione potenzialmente predittivi del rischio di sindromi coronariche

La constatazione che l’infiammazione è intimamente coinvolta con lo sviluppo della aterosclerosi e con le sindromi coronariche acute deriva da numerose ricerche sperimentali e cliniche, basate sulla ricerca di marcatori biochimici di infiammazione sia nel plasma che nel tessuto aterosclerotico. In particolare, queste ricerche hanno confermato la presenza di infiammazione anche nelle malattie aterosclerotiche delle coronarie. Ciò ha da tempo suggerito un ruolo potenziale dei marcatori nel predire precocemente il rischio di aterosclerosi coronarica ed anche della esplosione di eventi cardiovascolari acuti in pazienti con malattie coronariche note.
Si è prospettato che la stima di marcatori aspecifici di infiammazione cronica possano predire il rischio di infarto miocardico acuto con un anticipo persino di 10 o 20 anni.
Queste ricerche si affiancano a quelle che considerano il valore predittivo dei cosiddetti fattori di rischio “tradizionali”, tra cui il fumo, il diabete, l’ipertensione e la dislipidemia, specie se associati fra loro. Tuttavia si è constatato che la stima dei fattori tradizionali non è del tutto sufficiente per la valutazione globale del rischio.
Pertanto nuovi fattori di rischio non tradizionali che possono essere chiamati addizionali sono stati chiamati in causa. Alcuni di questi sono correlati ai processi coagulativi: fattore VIIc, inibitore 1 dell’attivatore del plasminogeno (P AI -1) e fattore di von Willebrand.
Altri sono fattori metabolici: lipoproteina (a), omocisteina e insulina. Hanno infine attratto una considerevole attenzione i fattori infiammatori. Tra questi alcune proteine della fase acuta, come le interleuchine, la proteina sierica amiloide A, le molecole di adesione vascolare, il TNF alfa e il fibrinogeno. In particolare la proteina C reattiva può essere coinvolta in prima persona nella patogenesi delle complicanze acute della aterosclerosi coronarica, quali l’angina instabile e l’infarto miocardico.
Fin dal 1985-1989, è stato dimostrato che nelle lesioni aterosclerotiche sono presenti componenti attivati del complemento e la proteina C reattiva. Si è ritenuto che la proteina C reattiva ed il complemento rappresentino i maggiori mediatori dell’infiammazione nelle placche aterosclerotiche.
L’equipe di Bhadki dell ‘Università di Mainz, Germania, ha dimostrato che particelle lipoproteinacee isolate dalle placche umane, chiamate “attivatori del complemento presenti nelle lesioni”, sono in grado di attivare la via alternativa del complemento. Questi attivatori non sembrano direttamente correlati alle LDL ossidate, che probabilmente esplicano un ruolo di minore importanza. Un’altra via di attivazione del complemento sembra invece essere rappresentata dalla proteina C reattiva, che si localizza con il complemento C5b-9 nelle lesioni aterosclerotiche precoci. Le correlazioni del sistema del complemento con la aterogenesi sono messe in evidenza da alcune osservazioni che hanno dimostrato che il complemento attiva le cellule endoteliali inducendo una risposta proinfiammatoria. Inoltre lo shear stress, che esercita in vivo una potente azione antiaterogena, antagonizza, tramite l’attivazione della clusterina, gli effetti del complemento sull’endotelio. E’ stato anche dimostrato che il complemento attivato possiede proprietà chemiotattiche e può danneggiare le cellule, favorendo cosi lo sviluppo delle lesioni intimali e il reclutamento dei monociti nella sede della formazione dell’ateroma. Fin dal 1988 il nostro gruppo dell’Università di Bologna ha riscontrato in pazienti con gravi lesioni aterosclerotiche un aumento dei componenti del sistema del complemento, associati ad un aumento delle IgA, le quali sotto forma di enzimocomplessi contenenti lipoproteine sono state riscontrate nei pazienti dislipidemici con aterosclerosi e xantomatosi.
In un lavoro del 1995 pubblicato sul “The American Journal of Medicine”, è stato dimostrato che i livelli elevati del terzo componente del complemento (C3) del siero di soggetti maschi senza previ eventi ischemici sono indipendentemente associati con il rischio di infarto miocardico. Ciò dimostra che i livelli circolanti di C3 sono indicatori positivi del rischio di infarto. Inoltre, nel 1998, è stato riscontrato che il C3 sierico, prodotto in risposta alla interleuchina-1, che è una citochina ed una proteina della fase acuta, dai macrofagi, dal fegato e dal tessuto adiposo, è associato con parecchi fattori di rischio tradizionali di infarto.
Tra questi, in particolare, i livelli plasmatici di insulina a digiuno e l’apolipoproteina B. E’ stato confermato in una ricerca pubblicata nel 2000 che il C3, attraverso l’associazione con l’insulina, rappresenta un marcatore di sbilancio metabolico pro-aterogeno, per lo meno in parte coincidente con l’insulino-resistenza.
La prosecuzione di queste ricerche nel 2001 ha consentito di stabilire che il trattamento con ACE inibitori, statine e beta bloccanti sembra esercitare un eccellente controllo dei fattori di rischio tradizionali in pazienti con pregresso infarto, ma non è efficace nel determinare una riduzione dei livelli medi di C3 e di omocisteina.
Solo il trattamento combinato di atorvastatina e vitamina E per tre mesi è stato in grado di abbassare il C3 in soggetti con livelli persistentemente elevati di questa molecola, insieme al colesterolo ed ai trigliceridi. Queste ed altre ricerche confermano che il C3 e la proteina C reattiva possono giocare un ruolo importante nell’aterogenesi. Suggeriscono anche che i livelli plasmatici di C3 rappresentano un potente indicatore di rischio di eventi coronarici acuti, come l’infarto miocardico.
Lo sviluppo di agenti farmacologici in grado di modulare il sistema del complemento potrebbe far meglio comprendere le sue molteplici funzioni fisiologiche e patologiche e costituire un’importante area per le ricerche future.

Prof. Paolo Puddu
Professore Ordinario di Medicina Interna
Dipartimento di Medicina Interna e Cardioangiologia
Università degli Studi di Bologn

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