Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 10 del 2001

Sommario

INTRODUZIONE

Il bisogno di cura per l’uomo è una dimensione naturale e intuitiva, che tuttavia può essere accresciuta e corroborata dalla cultura, nonché dalla sensibilità e dall’esperienza di ciascuna persona. In ogni epoca, in relazione a numerosi fattori di varia indole, come quelli culturali, scientifici, sociali e religiosi, è stata sempre presente sia una domanda di cura sia una offerta di cura. Si potrebbe esporre la lunga storia della concezione e della realtà dei luoghi di cura, che, come sappiamo, nell’antichità fino alle civiltà greca e romana praticamente non esistevano, fatta eccezione per alcune sporadiche realtà legate alla gestione dei templi di Asclepio e alle vicissitudini militari delle legioni romane. In effetti luoghi di cura veri e propri cominciano ad essere accreditati soltanto nel Medioevo sulla scorta della concezione cristiana. E il concetto di hospitalitas viene messo in pratica con la creazione di luoghi in cui potevano essere accolti i poveri e i diseredati emarginati e malati. La storia dell’Ospedale è lunga e variegata e qui non vogliamo certo ripercorrerla. Basti solo ricordare che spesso negli Ospedali la presenza di personale addottorato, medico, non era prevista se non in casi sporadici e in numero limitatissimo rispetto al personale che si prendeva cura dei ricoverati. Con la Rivoluzione Francese avviene quella che viene chiamata la clinicizzazione dell’Ospedale. Da qui inizia la storia più recente degli Ospedali che, attraverso il XIX e il XX secolo appena trascorso, porterà queste Istituzioni ad una vera e propria crisi di identità, al punto che ci chiediamo se sia corretto chiamare ancora oggi Ospedale una struttura che purtroppo sic stantibus rebus ha poco di quella concezione originale e originaria di hospitalitas e non solo etimologicamente parlando. Per un insieme di motivi, in questo caso legati ad un notevole sviluppo scientifico, ma soprattutto tecnologico, nel panorama sanitario contemporaneo, ma soprattutto a partire dalla seconda metà del XX secolo, abbiamo assistito infatti ad un crescente, spesso in modo esponenziale, aumento della domanda di cura, mentre di contro si assiste tuttora ad una diminuzione delle possibilità di cura per tutti in relazione alla scarsità di risorse. A tale proposito è entrato nell’uso comune parlare sia di macroallocazione sia di microallocazione delle risorse. Inoltre, a fronte di una maggiore specificità offerta dal progresso scientifico e tecnologico nel curare le malattie – il to cure – ci troviamo di fronte ad una specie di blocco nel farsi contemporaneamente carico della cura globale delle persone malate – il to care. È divenuto così urgente risolvere anche il problema dell’umanizzazione dei luoghi di cura. Nella fattispecie in questa sede a noi interessa, in relazione al discorso che andremo a fare, la microallocazione delle risorse.

CHI CURARE CON PRIORITÀ

La domanda che ciascun operatore sanitario sente salire dalla sua coscienza ogni giorno e in ogni istante in cui si trova ad affrontare nella sua professione quotidiana le problematiche di pazienti che gli si rivolgono con una domanda di cura, in una situazione come la presente in cui non è possibile avere a disposizione tutte le risorse necessarie per curare tutti sempre e in ogni momento è: chi curare? Tale quesito diventa ancora più pressante in situazioni di emergenza. A questo punto, ritornando alla storia degli Ospedali, va detto che nel momento in cui stiamo scrivendo, agli inizi del XXI secolo, l’Istituzione ospedaliera è logorata dalla crisi di identità iniziata ormai da decenni e questa identità, su cui ci si continua ad interrogare, è giunta secondo noi ad un punto cruciale. Riteniamo che la struttura degli Ospedali si stia ormai rimodellando proprio in virtù delle domande che provengono da parte della tipologia delle persone che abitano il nostro mondo. L’avanzare dell’età media delle persone e della popolazione con una minore mortalità in epoca infantile e giovanile, hanno determinato da una parte l’aumento delle malattie degenerative, dall’altro l’aumento di problemi dettati dal disagio psichico e fisico che si crea in una società che, nonostante la globalizzazione, crea continuamente sacche di emarginazione e di povertà – si veda il problema delle numerose persone che migrano dal Terzo Mondo nei Paesi più ricchi. Per questi motivi spesso le richieste di ricovero negli Ospedali provengono da persone anziane con malattie croniche, bisognose più di assistenza infermieristica che medica, e da emarginati, poveri, disadattati, con problemi molto spesso di disagio più psichico e sociale che fisico. Per tutte queste persone, che sono la maggioranza, e per tutte le persone che dovrebbero rivolgersi al medico di famiglia per esporre problemi che spesso sono banali, sarebbe sufficiente creare strutture ambulatoriali e di ricovero ad hoc. Esiste poi tutta una serie di problemi patologici acuti, che qui non stiamo a menzionare, ma fra tutti valga l’esempio di pazienti politraumatizzati o di pazienti altamente critici, quali coloro che sono affetti da eventi cardiovascolari acuti quali l’infarto del miocardio o l’ictus cerebri. Questi ultimi pazienti sono tra i pochi veri candidati a rivolgersi a quelle Istituzioni, di recente acquisizione, che sono i Dipartimenti di Emergenza e Accettazione, tra l’altro resi famosi tra il più vasto pubblico da un fortunato serial televisivo che dagli Stati Uniti d’America è riproposto con successo in quasi tutto il mondo, dal titolo E.R., acronimo che sta per Emergency Room: anche questo è un segno del nostro tempo. Gli Ospedali stanno così diventando dei grandi pronto soccorso; praticamente l’Ospedale è divenuto già un Dipartimento di Emergenza, spesso ad alta professionalità scientifica e tecnologica, dove i più abili specialisti, internisti, chirurghi, anestesisti e rianimatori, coadiuvati da figure specialistiche aggiuntive, diagnosticano e curano le patologie insorte acutamente, in situazioni di emergenza e urgenza. Purtroppo, come dicevamo, in mancanza di strutture di supporto, il Dipartimento di Emergenza è attualmente un grande ambulatorio polispecialistico a cui, purtroppo, si rivolgono centinaia e centinaia di persone con i problemi più disparati, spesso anche banali, e non soltanto, come dovrebbe essere, pazienti in situazioni di vera e propria emergenza e urgenza. Si capisce che strutture come queste sono sovraccariche di lavoro forse anche in funzione di quelle potenzialità altamente specialistiche per cui i pazienti si rivolgono ad esse con maggior fiducia. Ma spesso esse hanno un numero troppo esiguo di professionisti medici e infermieristici e hanno scarsi mezzi per fare fronte alle numerosissime richieste di cura. Nasce così l’esigenza di operare una selezione tra tutti i pazienti che pongono questa stessa domanda di cura.

IL TRIAGE

Prima di avere accesso nelle sale della visita medica vera e propria, il paziente appena giunge nel Dipartimento di Emergenza e Accettazione viene accolto e introdotto nella sala del cosiddetto Triage, dove il personale infermieristico o medico sottopone il paziente ad un intervista relativa ai problemi che lo hanno spinto a recarsi in ospedale e ad un controllo di tutti i parametri vitali, in modo da poter decidere la priorità dell’intervento medico. Triage, che in italiano starebbe per selezione, è un termine francese acquisito dalla medicina militare in tempo di guerra, dove sta a significare la selezione dei soldati feriti, il cui ordine di cura è subordinato alle possibilità di ricostituire nel miglior modo possibile e in tempi brevi la forza combattente. Ovviamente in tempo di pace, e sicuramente nell’ambito della medicina non militare, dove non è preso in considerazione il principio di utilità misurato sulla scorta della forza combattente, per rimpinguare la quale è preferibile curare immediatamente il paziente recuperabile o quantomeno che presenti una minore gravità, rispetto ai pazienti più gravi che vengono posposti nella priorità di curare, la selezione dei pazienti e l’attribuzione di una priorità per il loro accesso alle cure mediche presenta una diversa concezione, per quanto valga comunque il principio di utilità, secondo il quale è necessario cercare di salvare e salvaguardare il maggior numero di pazienti. Vedremo in seguito come secondo questo principio non si riesca a salvaguardare il minor numero dei pazienti. Sarà pertanto necessario cercare di ricorrere ad una diversa concezione etica che tenti di salvaguardare anche questa minoranza. Il triage, come dicevamo, è stato inizialmente preso in prestito dalla medicina militare, e la medicina delle catastrofi e delle maxi-emergenze è stata la prima a servirsene. Finora abbiamo avuto occasione di assistere a operazioni in caso di catastrofi da cause naturali. Viene ora da pensare, inoltre, a quello che potrebbe succedere in caso di perseverazione e diffusione di situazioni, attualmente emergenti, quali quelle conseguenti al bio-terrorismo, ma questo è un altro discorso. Per quanto ci riguarda abbiamo voluto restringere il caso alla normale quotidianità dei nostri Ospedali. Prenderemo in considerazione, pertanto, soltanto il triage ospedaliero. Il triage è entrato di pieno diritto nel linguaggio della medicina civile e soprattutto nell’ambito dei Dipartimenti di Emergenza e Accettazione. Vero è che ormai è divenuto di dominio comune la conoscenza dei codici di selezione effettuati all’arrivo in ospedale. Quando infatti è finita la selezione da parte degli operatori sanitari preposti all’opera, i pazienti vengono classificati con un codice di colore in base alla gravità della situazione. Attualmente si riconoscono 4 gradi di gravità:

1. Rosso

2. Giallo

3. Verde

4. Bianco

Il colore rosso corrisponde al paziente che giunge in condizioni di estrema gravità, con le funzioni vitali altamente compromesse, se non già in arresto cardiorespiratorio, e rappresenta la priorità assoluta; è la vera emergenza e deve pertanto avere un pronto accesso alle cure mediche.

Il codice giallo rappresenta le urgenze e non può aspettare mediamente più di venti - trenta minuti.

Il codice verde non rappresenta né una emergenza, né una urgenza e può attendere tranquillamente l’intervento dei medici.

Il codice bianco definisce la situazione più lieve e ne decreta la gestione di tipo ambulatoriale del caso; in questo frangente il paziente potrebbe essere rinviato a domicilio con l’indicazione a rivolgersi ad un medico del territorio, ma è buona norma che, comunque sia, il paziente venga visitato, anche se l’attesa è di molte ore.

Si ricorda infatti che comunque il triage è una selezione sommaria, fatta più spesso da personale infermieristico, che talora viene viziato sia da sottostime sia da sovrastime, e che in ultima analisi la diagnosi medica deve scaturire da una visita approfondita eseguita dal personale specialistico preposto all’uopo. Quello che spesso ci si potrebbe chiedere è se sia proprio indispensabile eseguire una selezione. Ci si potrebbe chiedere, come fanno molti pazienti ancora oggi, se non sia più appropriato continuare a fare come si faceva fino a pochi anni fa, quando vigeva il criterio del “chi prima arriva, prima alloggia”. Diciamo che di principio sarebbe ideale non selezionare, ma la realtà vuole che il triage sia, almeno per il momento, vista la situazione degli Ospedali delineata in precedenza, e vista la situazione reale della microallocazione delle risorse disponibili, ineludibile. Allora seguono delle domande: Come selezionare? A chi dare la priorità? E secondo quali criteri? La scelta non è affatto né semplice né facile e i criteri non sono facilmente standardizzabili. Soprattutto i criteri non sono univoci, perché al di là del criterio puramente clinico di selezione, nel singolo caso convergono problematiche di natura psicologica, sociale, etica e spirituale oltre che fisica. Il quesito clinico allora dovrebbe essere il seguente: “Quale paziente può realmente ricevere un beneficio proporzionato da cure prestate con priorità rispetto ad altro/i ?” Si vede come nella scelta/triage, in cui vi sono espliciti parametri di giudizio clinico, paziente – cure, emerga anche una consapevolezza morale esplicitata da termini/concetti quali: beneficio, proporzionato, altro/i. E’ necessario pertanto che la selezione sia pensata anche, se non soprattutto, eticamente, oltre che clinicamente, ammesso che si possano scindere i due momenti. Ecco perché in molti altri nostri scritti abbiamo sostenuto l’importanza di una formazione che dia ai futuri medici o agli specialisti in formazione, oltre alle competenze scientifiche, anche una adeguata consapevolezza etica. E abbiamo sostenuto che, nel panorama delle specialità mediche, la Medicina Interna con la sua visione olistica potrebbe essere la candidata ideale a farsi carico di quella nuova disciplina emergente che è la Bioetica. Certo sarebbe necessario per l’internista formarsi anche nell’ambito delle Scienze Umane.

LA BIOETICA E IL SUO METODO

La Bioetica, tra le altre accezioni, va vista come quel nuovo strumento conoscitivo e applicativo che ha come oggetto proprio la riflessione sui problemi morali che si presentano in ambito medico, biologico e sanitario. Essa è lo studio sistematico delle dimensioni morali - comprendenti la visione morale, le decisioni, i comportamenti e le politiche - delle scienze della vita e della salute, avvalendosi di una varietà di metodologie etiche e con una struttura multidisciplinare, per stare a quanto sostiene la definizione universalmente accettata proposta da W. T. Reich nella sua ultima edizione dell’Encyclopedia of Bioethics del 1995. Primo momento necessario per la decisione etica è dunque una sana metodologia. Allora nel caso del triage, ma anche in altre situazioni, il medico cercherà di elaborare il giudizio in questo modo, seguendo il metodo triangolare di Sgreccia che noi riproponiamo:

A. partendo dai dati clinici,

si passerà al

B. quadro antropologico di riferimento,

per giungere quindi a

C. indicazione etica.

L’antropologia è fondamentale, tanto quanto la conoscenza scientifica, dal momento che è importante chiedersi chi è l’uomo che ci troviamo davanti e in che consiste la sua dignità e che senso ha fare quello che si prefigge la medicina. In un contesto di questo tipo, che cerca di fondare razionalmente i comportamenti, possono avere un qualche valore i principi del principialismo americano, che pur valendo prima facie e ut in pluribus, nella situazione del triage possono avere un significato, purché sia basato su uno sfondo antropologico fondante. Il principio di giustizia in questo caso è importante.

IL PRINCIPIO DI GIUSTIZIA

Che cosa è la giustizia? Per rispondere sinteticamente a questa domanda possiamo ricordare sinteticamente:

IUSTITIA EST AD ALTERUM

EMINEM LAEDERE - giustizia commutativa rapporto interindividuale

SUUM CUIQUE TRIBUERE - giustizia distributiva rapporto sociale - GIUSTIZIA ALLOCATIVA

Nel principio di giustizia emerge quantomeno un terzo individuo (nel nostro caso un altro, un terzo oltre al medico e al primo paziente, ovvero un secondo paziente ). Nel caso del triage abbiamo davanti un problema di giustizia allocativa e nella fattispecie microallocativa. Quando abbiamo più di un paziente che si reca contemporaneamente o in tempi ravvicinati in Ospedale con una richiesta di cura, sorge il quesito in base al principio di giustizia: “A chi dare la priorità? In base a quali criteri di giustizia possiamo rifarci? Che tipo di giustizia invochiamo?”

QUALE GIUSTIZIA?

Esistono diverse teorie etiche, che qui sinteticamente delineiamo, a cui si può richiamare un diverso principio di giustizia. Spesso i medici applicano uno di questi approcci, pur non essendone pienamente consapevoli, in modo del tutto pragmatico. Sarebbe invece necessario andare in deroga a principi di indole pragmatica e rendersi consapevoli dei fondamenti sottesi alle scelte che si compiono. Le teorie etiche più diffuse sono:

  • LIBERALISMO INDIVIDUALISTICO
  • UTILITARISMO SOCIALE
  • EGUALITARISMO
  • PERSONALISMO ONTOLOGICO

LIBERALISMO INDIVIDUALISTICO

Il liberalismo individualistico prevede il cosiddetto minimo stato e il massimo mercato. Secondo questa concezione è bene non ostacolare in nessun modo la libertà altrui. Per il liberalismo si deve dare a ciascuno secondo le capacità, i meriti, le libere iniziative. Il libero mercato deve essere favorito e anche in sanità si deve privilegiare un rapporto contrattuale di tipo privato. L’assistenza sanitaria pubblica è negata e non vi è l’obbligo da parte della società di aiutare i più bisognosi, i poveri, gli emarginati, ecc. A tutto è sottesa una logica del profitto.

UTILITARISMO SOCIALE

Per l’utilitarismo è indispensabile non provocare sofferenze e frustrazioni nell’altro, altro inteso come individuo senziente. E’ necessario dare al maggior numero possibile di individui la soddisfazione dei propri desideri/piaceri /preferenze. Per l’utilitarismo ha somma importanza il benessere della società sul singolo. La priorità deve essere data al paziente senziente, non o meno sofferente che possa avere un previsto recupero migliore. Le minoranze, come abbiamo avuto modo di dire prima, per questa visione etica che riscuote attualmente i maggiori consensi, sono neglette. Il rapporto costi/benefici è importantissimo; in tal modo si ha una cosificazione degli esseri umani.

EGUALITARISMO

Per l’egualitarismo, a differenza del liberalismo, si invoca il massimo stato e il minimo mercato. L’altro non deve essere trattato in modo diseguale. E’ necessario dare a ciascuno in modo eguale ciò di cui ha bisogno. Il rapporto è esclusivamente pubblico e il privato va bandito. Non c’è spazio per il privato. E’ lecita solo l’assistenza sanitaria pubblica. Tutti devono avere uguale accesso alle cure. Il bene collettivo è prioritario rispetto al bene del singolo. Viene privilegiata la quantità a discapito della qualità.

PERSONALISMO ONTOLOGICO

Per il personalismo ontologico la persona è una unitotalità somato-psichico-spirituale che si trascende e vale per quello che è e non per quello che fa. La persona è aperta all’altro. La persona deve essere vista sempre come un fine, mai come un mezzo, è un valore di per sé ed ha dignità proprio in virtù del diritto naturale che la vede fondata ontologicamente - ovvero sull’essere. Ne consegue che si deve proteggere e rispettare la vita di ogni essere umano e gli si deve riconoscere ciò che gli spetta di diritto. Per il personalismo ontologicamente fondato si ha giustizia se si applicano i seguenti principi:

  1. valore personalista della corporeità
  2. rispetto e difesa della vita fisica come valore fondamentale
  3. principio terapeutico o di totalità
  4. libertà e responsabilità
  5. socialità e sussidiarietà
  6. principio di proporzionalità.

Il principio di socialità impegna il singolo a realizzare se stesso nella partecipazione alla realizzazione del bene altrui. Il bene comune lo si realizza attraverso il bene dei singoli e non viceversa. Secondo il principio di sussidiarietà la comunità deve aiutare di più là dove c’è più bisogno, dove più grave è la necessità, ossia bisogna curare di più e prioritariamente chi è più bisognoso di cure anche se è necessario spendere di più per chi è malato.

CONCLUSIONI

Per i medici è necessaria la conoscenza e l’applicazione del metodo triangolare, che cerca di fondare antropologicamente i dati scientifici. Nel tentativo di giungere a decisioni etiche in accordo ad un significato che abbia senso non soltanto da un punto di vista pragmatico e procedurale, bensì si rifaccia ad una sana proporzionalità, adeguata ai fondamenti e ai valori di un essere umano che non è solo corpo, ma è una totalità composta oltre che di corpo anche di psiche e di spirito, riteniamo che il metodo triangolare sia indispensabile. Inoltre i principi del personalismo ontologicamente fondato, che sopra abbiamo richiamato semplicemente, ma che invitiamo a rimeditare con letture più approfondite, garantiscono, a nostro avviso, a proposito della giustizia e nella fattispecie a proposito delle giuste decisioni da assumere nei confronti dei pazienti che si recano con una domanda di cura in ospedale, un comportamento equilibrato e prudente dal punto di vista etico.

Allora chi è giusto curare prioritariamente?

Il medico e l’infermiere dovranno cercare di dare tempestivamente una risposta a questo interrogativo responsabilmente e non solo in conformità ad una adeguata prassi scientifica - medica e infermieristica - ma anche con adeguata consapevolezza e preparazione etica, che renda le decisioni, spesso difficili, ponderate da una coscienza moralmente guidata, che faccia prendere le stesse decisioni conformemente ad un sano principio di proporzionalità che sappia dare il giusto valore al soppesamento di tutti i pro e i contro senza mai trascurare l’importanza della persona vista come un tutto. Abbiamo detto che il triage nei nostri tempi è ineludibile. Come è ineludibile che tutti gli attori del mondo sanitario e in particolar modo ospedaliero, dagli amministratori ai medici agli infermieri agli amministrativi, si sforzino di adottare tutte quelle misure che nel rispetto della dignità di ogni persona tornino ad umanizzare un Ospedale che per colpe varie ha perduto negli ultimi decenni il suo originario significato legato all’ hospitalitas. E qui si deve chiedere molto allo sviluppo delle virtù personali di ciascuno. Per tornare al triage, in conclusione, a prima vista questo strumento operativo potrebbe sembrare brutale, se solo si pensa che si stanno selezionando malati, e infatti ogni malato pensa al suo stato e non a quello altrui e spesso non accetta di essere etichettato, codificato con un colore. Ma se solo si riuscisse a meglio organizzare e a potenziare le strutture territoriali e gli Istituti di ricovero a livello di macroallocazioni, gli operatori sanitari dei Dipartimenti di Emergenza e Accettazione sarebbero alleggeriti nelle loro decisioni e la diminuzione di quantità di persone che si recano in Ospedale, essendo limitate alle vere urgenze ed emergenze, renderebbero più semplice e giusta la loro scelta microallocativa. Per il momento però purtroppo bisogna accontentarsi di come vanno le cose e nella contingenza è necessario adottare principi e visioni etiche, nonché comportamenti, che possano sopperire alla bisogna e rendere più proporzionata possibile la giustizia.

Maurizio Soldini
Dipartimento di Emergenza e Accettazione e Corso di Perfezionamento in Bioetica Clinica
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

Bibliografia

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