da Leadership Medica n. 5 del 2001
Il campo della bioetica si trova oggi in fermento creativo dovuto al fatto che sempre più la riflessione etica si è spostata dalle aule universitarie e dagli studi degli eticisti sul luogo della sua stessa origine, il letto del malato, laddove si generano i dilemmi che gli eticisti contemplano, e laddove in definitiva le discussioni etiche si concretizzano nella decisione dell’azione particolare. L’istanza etica, intrinseca alla prassi medica, scaturisce infatti con tutta la sua problematicità proprio nel momento della decisione clinica, di fronte cioè ad un atto squisitamente umano che, pur essendo espressione della libera volontà, presuppone un esame attento di tutti quegli elementi conoscitivi per cui possa poi essere giustificata l’azione intrapresa. L’etica clinica, perciò, viene a costituirsi come un ponte tra l’etica teorica e l’etica al capezzale del paziente, e su questo ponte le idee si muovono non solo nella direzione dalla teoria alla pratica, deduttivamente, ma anche dalla pratica alla teoria, in senso induttivo. Entrambe le discipline, la bioetica e la clinica, vengono, infatti, reciprocamente ad arricchirsi al letto del paziente in quanto da un lato ci si trova di fronte ad un caso unico che è quello dello specifico paziente, con la sua storia, le sue aspettative, le sue sofferenze; dall’altro non vi può essere una completa “separazione” con una riflessione più generale sui valori etici implicati nel caso concreto ed i principi di riferimento. E’ necessario, cioè, che vi sia sempre un qualche collegamento con una riflessione più generale, poiché è solo in questo modo che nella decisione concreta si può raggiungere un affinamento del giudizio valutativo, anche se non si tratta semplicemente di adattare i giudizi morali teorici alle singole circostanze. I protagonisti dell’etica clinica, coloro cioè che sono chiamati a prendere decisioni non hanno la possibilità di astenersi dal farlo o di sospendere per un momento il giudizio: la decisione deve essere comunque presa ed anche non decidere è una decisione eticamente rilevante. La situazione concreta non è un’esemplificazione come un’altra di un principio ma la sfida esistenziale e personale di coloro che vi sono coinvolti; e la discussione non fa emergere semplici opinioni su ci che dovrebbe essere fatto ma conduce ad agire secondo ciò che deve essere fatto. Chi è coinvolto nella decisione clinica ha indubbiamente una responsabilità maggiore dell’eticista accademico in quanto la sua interrelazione personale col paziente, i suoi valori, il suo stile di ragionamento modulano in modo significativo la decisione: messe da parte le argomentazioni, è lui che deve convivere con la decisione, portarla a compimento, affrontarla in casi analoghi nel futuro. Oggi, poi, l’etica clinica è diventata anche una questione pubblica: ogni decisione del medico non può non essere giustificata di fronte al paziente, ai suoi familiari, ai propri colleghi, ai giudici. Di conseguenza ogni medico sente sempre di più l’esigenza di una maggiore conoscenza sistematica e formale dell’analisi etica dei singoli casi; egli perciò deve cominciare ad imparare come usare gli strumenti e le metodologie proprie della bioetica, considerando che un’adeguata formazione etica nel campo della biomedicina e della medicina clinica rappresenta anche il presupposto e la garanzia per un corretto esercizio professionale. Dunque, al letto del paziente non si possono più fare scelte etiche improvvisate, in modo solamente intuitivo ed è per questo che sempre più spesso viene chiesto l’aiuto a consulenti etici o a Comitati Etici affinché le decisioni possano essere ponderate, analizzate in tutti i loro diversi aspetti e chiarite circa i valori implicati e le conseguenze a cui possono portare. Questo non comporta l’annullamento della responsabilità, morale e civile, di chi continua a rimanere il titolare della decisione: si tratta solo di un aiuto, di un’offerta di competenza che un consulente o un Servizio di Bioetica Clinica o un Comitato Etico può offrire, dando concreta attuazione alla metodologia interdisciplinare propria della bioetica.
La bioetica clinica si è sviluppata negli USA, la culla dove la stessa bioetica ha visto il suo sorgere come disciplina. Nel 1971 viene fondato il Kennedy Institute of Ethics presso la Georgetown University, a Washington D.C., con l’obiettivo di sistematizzare la bioetica dal punto di vista dei principi di riferimento e dei problemi emergenti. Il lavoro si concluderà alcuni anni dopo (1978) con la pubblicazione della prima edizione della Enciclopedia di Bioetica in quattro volumi. Ben presto, tuttavia, la bioetica clinica si ritagliò uno specifico spazio all’interno dell’Istituto portando alla costituzione del Centro di Bioetica Clinica strettamente connesso con la Facoltà di Medicina e l’Ospedale della Georgetown University e dunque a stretto contatto con la “fonte” dei problemi etici clinici.
In questo primo, e tuttora uno dei più importanti, “tempio” della bioetica clinica nord-americana abbiamo incontrato il professor Edmund Pellegrino (in foto), che è stato il primo Direttore del Centro. A lui abbiamo chiesto di spiegarci come la bioetica clinica si sia sviluppata negli USA, (in particolare nella Facoltà di Medicina della Georgetown University) e come è strutturata all’interno dell’ospedale, che tipo di relazione ha con il comitato etico e i possibili cambiamenti nella relazione medico-paziente.
Professor Pellegrino, la bioetica clinica si è sviluppata quando l’etica medica si è trasferita dalle università e dai luoghi degli eticisti là dove i problemi sorgono realmente. In altre parole, al capezzale del paziente. Questo sviluppo in qualche modo ha cambiato il processo decisionale del dottore? E questo è stato un vantaggio o uno svantaggio per il paziente?
Lo spostamento dell’etica all’arena clinica ha modificato il processo decisionale del medico in diversi modi. Innanzitutto, ha impartito un certo tipo di ordine all’intero processo. I medici avevano e mantengono tuttora l’abitudine di prendere le loro decisioni etiche in maniera intuitiva. Adesso, invece, stanno iniziando a servirsi di alcuni rudimenti di analisi etica e stanno acquisendo una certa familiarità con la teoria etica. In secondo luogo, hanno fatto il loro ingresso sulla scena la consulenza etica clinica ed il comitato etico e, come risultato, le decisioni difficili adesso vengono prese in collaborazione. Le consulenze forniscono un supporto psicologico e logico a coloro che devono prendere le decisioni. Di conseguenza, i medici hanno dovuto specializzarsi maggiormente nell’ambito della psicodinamica e della risoluzione dei conflitti. In terzo luogo, i medici sono stati sensibilizzati alla distinzione fra dilemma etico e non etico e quindi sono maggiormente consapevoli della necessità di una consulenza. Questi sono, in linea di massima, i vantaggi per il paziente. Gli svantaggi sono i seguenti. Innanzitutto, i medici hanno iniziato a fare troppo affidamento sulla “competenza” etica ed a considerare l’etica sempre più distante dall’ambito d’interesse e di responsabilità del medico. In secondo luogo, la stretta relazione fra medico e paziente risulta indebolita quando le decisioni vengono prese in un processo di gruppo. Alcuni medici si limitano ad accettare una decisione di gruppo invece di ammettere che, in ultima analisi, la responsabilità di qualsiasi decisione presa nei riguardi del paziente ricade solo su loro stessi.
Molti ritengono che la presenza di un eticista a fianco sarebbe dannosa nella relazione dottore-paziente, nel senso che aumenterebbe il numero di persone coinvolte nel processo, il quale dovrebbe rimanere comunque una relazione diadica. Come potrebbe un consulente etico aiutare questo tipo di relazione senza alterarne la qualità?
Gli eticisti possono contribuire ad attenuare l’intensità della loro influenza chiarendo sin dall’inizio che il loro compito è di aiutare i responsabili delle decisioni – medico, paziente, famiglia – a prendere la decisione eticamente migliore per il paziente. Devono precisare che non svolgono la funzione di “polizia” dell’etica e che non si trovano lì per fare indagini né impartire punizioni. I consigli degli eticisti devono essere consigli che i responsabili ultimi delle decisioni (medico, paziente, famiglia) sono liberi di accettare o di rifiutare. Essi devono mettere in rilievo che nessun consulente, comitato o esperto può sollevare coloro che devono prendere le decisioni dalle loro responsabilità.
Quali qualità dovrebbe avere un consulente di bioetica e quale tipo di formazione?
I bioeticisti dovrebbero ricevere una formazione attestata in filosofia o in bioetica logica. Devono essere inclini ai rapporti umani. Non devono imporre le loro opinioni, ma esporle con una certa fiducia e con la capacità di comprendere le difficoltà incontrate da coloro che devono prendere le decisioni. Durante l’esposizione di quella che reputano essere la decisione buona e giusta, devono evitare qualsiasi tipo di coercizione, morale o psicologica. A lungo termine, la loro abilità nella psicologia e nelle dinamiche di gruppo sarà importante quanto la conoscenza tecnica della bioetica.
Quale importanza ha oggi, negli ospedali Americani, il consulto etico clinico?
Le consulenze etiche stanno acquisendo un’importanza sempre maggiore negli ospedali americani. Vengono richieste dalle agenzie di accreditamento; vengono utilizzate praticamente in tutti gli ospedali; attualmente sono riconosciute come parte della comune pratica clinica, e in molte istituzioni i pazienti e le famiglie si aspettano che tale servizio sia a loro disposizione. Non sono ancora stati compiuti studi empirici ad ampio raggio sull’argomento, ma queste sono le impressioni che ho tratto dalla mia esperienza personale e dai viaggi da me effettuati negli Stati Uniti.
Una recente pubblicazione sul Journal of Clinical Ethics (2000,11:31-38) ha mostrato che il consulto etico può diminuire i costi sanitari dovuti ad accanimento terapeutico. Lei pensa che il consulto etico potrebbe realmente aiutare ad impedire interventi medici futili?
Mi sta molto a cuore il legame fra le consulenze etiche e la riduzione dei costi sanitari. Si tratta di una liaison dangereuse. L’economia e la merceologia esercitano già troppa influenza sulla sanità americana. Le consulenze etiche devono concentrarsi sulla questione etica, e non sulla possibilità di risparmiare denaro, rappresentata dall’interruzione delle terapie. È vero che l’utilizzo di terapie non necessarie per casi clinicamente inutili non è eticamente sostenibile, ma questa decisione va presa su basi etiche, non certo economiche. Nella cura del singolo paziente, il fattore economico è valido solo se viene introdotto dal paziente stesso, oppure da un suo delegato. Il medico deve tenere in considerazione tale fattore solo per evitare lo spreco di risorse per terapie inutili, determinate su base clinica, e non economica. Inoltre, il medico deve sempre ricorrere a terapie meno dispendiose purché garantiscano la medesima efficacia.
Quale tipo di relazione c’è tra il servizio di etica clinica e il Comitato etico?
Lavorano indipendentemente o sono (dovrebbero essere) collegati insieme? Il comitato etico dell’ospedale e il servizio di etica clinica devono essere strettamente collegati. Il comitato etico dell’ospedale è responsabile della formazione alla politica, dell’educazione all’etica di coloro che sono già in servizio e della supervisione del servizio di etica clinica. Il comitato dell’ospedale dovrebbe delegare l’effettiva gestione delle consulenze al servizio di etica clinica. Quest’ultimo è tenuto a presentare regolarmente delle relazioni circa le sue attività, in quanto il comitato etico dell’ospedale deve essere certo della qualità, dell’entità e della natura delle consulenze prestate. Un ulteriore pericolo per l’eticista ed il medico è quello di cadere nella trappola di identificare il compito della consulenza etica nella risoluzione di un conflitto, piuttosto che nella ricerca della decisione buona e giusta per il paziente che si trovano davanti. È questa la tendenza attuale in America, come conseguenza diretta del pluralismo, della perdita di consenso religioso e del multiculturalismo. Ci troviamo di fronte alla sostituzione dell’etica normativa con la psicologia. Questo consente di evitare di prendere posizione nei casi più difficili, ma evita anche la fatica di esercitare il giudizio etico nelle questioni più complesse. È l’inizio della fine dell’etica come ricerca formale di ciò che è buono e giusto nelle azioni umane.
Antonio G. Spagnolo
Direttore dell’Istituto di Bioetica, Facoltà di Medicina e Chirurgia “A. Gemelli”, Università Cattolica del S. Cuore, Roma
Bibliografia
Fletcher J.C. et al (eds.), Introduction to clinical ethics, University Publishing Group, Frederick 1995.
Pellegrino E.D., Clinical ethics: biomedical ethics at bedside. Journal of the American Medical Association 1988; 260: 837-839.
Pellegrino E.D., Thomasma D.C., For the patient’s good. The restoration of beneficence in health care, Oxford University Press: New York 1988: 73-91.
Sgreccia E., Bioetica clinica (Editoriale), Medicina e Morale 1988; 3/4: 395-396.
Spagnolo A.G., Presupposti bioetici della decisione clinica, Federazione Medica 1994; 5: 23-28.
Spagnolo A.G., Trent’anni di Bioetica. Ripensare alle origini, ai problemi e alle prospettive, Camillianum 2001, 1: 33-72.
Alcuni siti Internet internazionali sul tema della bioetica:
http://www.medicalethics.com/index.asp
http://www.clinicalethics.com/
http://www.med.upenn.edu/~bioethic/center/people/clinsyl.html
http://www.sjdm.org/~alansz/courses/mhpe494/
http://www.istituto.org/caso0001.htm#casi%20clinici
http://www.mcw.edu/bioethics/ce/lap-sch.html
http://www.asbh.org/
http://eduserv.hscer.washington.edu/bioethics/