da Leadership Medica n. 2 del 2000
Continua il dibattito sulla bioetica e il confronto, questa volta, si focalizza sui comportamenti etici.
Il primo ad essere intervistato è il prof. Pretolani, Presidente del Comitato Etico dell'Ospedale "Bufalini" di Cesena.
Segue l'intervista con il prof. Novarini, della facoltà di medicina di Parma.
Intervista al prof. Enzo Pretolani Presidente del Comitato Etico dell'Ospedale "Bufalini" di Cesena
L. M. - Professore, lei non ritiene che l'etica nei comportamenti, tanto discussa, abbia origine dall'educazione, sia pure formale, che ogni individuo riceve sia nell'ambito familiare che sociale?
P. - L'etica, intesa come disciplina dei comportamenti, è indubbiamente influenzata dall'educazione che ogni individuo riceve prima nell'ambito familiare e successivamente nella scuola e nella società, con indubbi e talora fondamentali apporti religiosi e/o culturali.
Il primo "nucleo" dovrebbe essere dunque quello familiare, per cui esiste la necessità dell'insegnamento e di una continua riflessione critica dei comportamenti da parte degli adulti in modo da fornire spunti educativi al bambino in attesa che la società attraverso la scuola dia un insegnamento, che non abbia risvolti politici - non deve esistere una bioetica di stato o di parte - limitandosi ad esporre, senza preconcetti, i dati biologici, la natura dei problemi etici. Occorre dunque che le varie posizioni etiche siano esposte e commentate dall'educatore con imparzialità, senza privilegiarne alcuna.
Un discorso a parte merita l'insegnamento della bioetica nelle facoltà di Medicina, che dovrebbe essere considerato come necessità assoluta se si vuole riscoprire l'umanesimo come elemento fondamentale nella professione medica.
Sempre nell'ambito della bioetica occorre inoltre tenere presente che i progressi della biologia e della medicina pongono sempre nuovi quesiti etici in un continuo divenire delle conoscenze scientifiche, con possibilità di risposte non univoche. Si deve affermare con sempre maggior forza che il concetto della Bioetica Medica e della Biomedicina non appartiene esclusivamente ai biologi e ai medici, ma riguarda in pratica tutti gli uomini, in quanto ognuno di loro può doversi confrontare con questioni di vita e di morte e con scelte di coscienza dolorose, nelle quali può essere d'aiuto una preesistente formazione etica.
L. M. - Riguardo all'etica, quali sono attualmente i "virus" che portano l'umanità alla degenerazione?
P. - E' una domanda complessa che comporta una risposta articolata, che tenga presente dal punto di vista etico il buon uso dei progressi scientifici, dei loro aspetti positivi e la prevenzione/limitazione delle eventuali azioni negative. La domanda si riferisce specificatamente ai "virus" che possono portare l'umanità alla sua degenerazione. Ne potremmo elencare quattro: l'ignoranza, il fanatismo dogmatico, il senso di onnipotenza del ricercatore e il lucro. Un grande pericolo è costituito dalla sensazione che la coscienza etica dello scienziato possa ignorare quella dell'umanità.
Occorre sottolineare con forza che non è necessariamente etico tutto quello che è o che può sembrare scientifico.
Compito dell'etica è quello di controllare non solo la validità di una ricerca, ma anche la sua evoluzione, in maniera che l'eventuale "apprendista stregone" non si faccia prendere la mano, attuando esperimenti che possono sfuggire al suo controllo. La ricerca scientifica, intesa in senso etico, deve rifuggire dal dogmatismo fanatico e tendere non solo alla conoscenza del fenomeno ipotizzato, ma anche alla sua utilizzazione razionale e lecita in sintonia con un modello etologico (comportamentale) ed ecologico (ambientale) nell'ambito di un equilibrato ecosistema, che caratterizzi il rapporto di rispetto dell'uomo verso gli altri esseri viventi e l'ambiente.
Il progresso delle conoscenze comporta indubbi risvolti economici costituiti da investimenti importanti che implicitamente sottendono la speranza di ritorni remunerativi in termini di denaro. Questo problema di equilibrio fra uscite ed entrate può porre delicati problemi di ordine etico, in quanto si possono configurare situazioni di reale lucro, che possono stravolgere i comportamenti, finalizzandoli solo in questo senso e che occorre eticamente contrastare.
L. M. - Nell'ambito della ricerca quali possono e devono essere i limiti della sperimentazione?
P. - Nell'ambito della sperimentazione esistono delle frontiere metodologiche di delimitazione, nell'opera del ricercatore, che debbono essere rispettate, nonostante che spesso si senta dire che la scienza è di per se stessa neutra, in quanto si interessa del come si producano i fenomeni e non del loro perché e per che cosa. Così è stata giustificata la ricerca e la realizzazione della bomba atomica, pur essendo noto ai ricercatori come potesse essere usata!
La medicina scientifica si basa sulla sperimentazione, che parte da basi biologiche cellulari fino ad arrivare all'uomo. La sperimentazione su animali secondo i bioetici va rigorosamente limitata, tenendo conto della solidarietà con le altre specie viventi nell'ambito del principio assoluto di non provocare sofferenza. D'altronde sono assolutamente necessari studi preliminari i più completi possibili prima di passare all'uomo, tenendo sempre presente che la sperimentazione più attenta non consente sempre di prevedere quello che può succedere nell'uomo. Dal punto di vista gestionale esistono regole procedurali molto rigide nella valutazione di un nuovo farmaco, che tengono conto della tolleranza, efficacia, confronto nell'ambito di test comparati.
Ogni sperimentazione sull'uomo deve essere condotta seguendo un rigoroso protocollo, sottoposto all'approvazione di un comitato etico, che per essere veramente tale, deve essere assolutamente indipendente sia dallo sponsor committente (di solito una industria farmaceutica) sia dallo sperimentatore.
Il principio dell'autodeterminazione dell'individuo (volontario sano e/o paziente) è la regola fondamentale della sperimentazione il cui ruolo centrale è costituito dal consenso informato, che configura il dovere dello sperimentatore di spiegare, in modo chiaro, al soggetto coinvolto nella ricerca i rischi e/o i vantaggi possibili connessi con l'uso del farmaco. Nell'ambito del consenso informato è di fondamentale importanza non solo una corretta informazione, ma anche la sua comprensione da parte del soggetto, che conserva la volontà non solo di adesione al protocollo di ricerca, ma anche di interruzione della stessa. Un limite inderogabile di una sperimentazione è quello di non privare il paziente di un trattamento già consolidato, anche se in casi particolari la sperimentazione può prevedere, con il consenso ottenuto al riguardo, l'uso di una sostanza inerte a tipo placebo.
L. M. - Le biotecnologie devono avere dei limiti e, nel caso, a quale livello devono arrestarsi?
P. - Le biotecnologie rappresentano una scienza della vita relativamente giovane, che pongono numerosi problemi etici nei confronti dell'uomo, delle varie specie viventi e dell'ambiente. Le biotecnologie, che sono alla base della ingegneria genetica, sono costituite da tecniche di manipolazione del vivente, che prevedono l'utilizzo di cellule di agenti biologici, sfruttando le conoscenze della biochimica, della genetica, dell'immunologia, della biologia.
Con il progredire delle scoperte sono stati identificati i geni contenuti nelle cellule, che costituiscono i "comandi" della vita. I geni sono la sede delle informazioni ereditarie e sono costituiti da frammenti di DNA (acido deossiribonucleico), collocati all'interno del nucleo delle cellule stesse. I geni assemblati formano i cromosomi, che costituiscono l'impalcatura di ciascun individuo e sui geni lavora l'ingegneria genetica, che è rappresentata dall'insieme delle tecniche, che consentono di variare i caratteri genetici degli organismi trasferendoli da un essere vivente ad un altro con possibilità di provocare straordinarie modifiche del patrimonio genetico.
A questo punto sorgono però interrogativi angoscianti: fino a che punto l'ingegneria genetica può modificare l'uomo? Si può lasciare che si sviluppi senza leggi e limitazioni? Le ricerche che prevedono il trasferimento di un gene nelle cellule di un organo con lo scopo di correggerne certe patologie possono essere sicuramente accettate e legalizzate, mentre le riserve più importanti sono legate alla possibilità di trasferire l'intero patrimonio genetico di un essere umano. Queste ipotesi di manipolazione "totale" dovrebbero e dovranno essere vietate non solo dal punto di vista strettamente etico, ma anche per evitare le tentazioni di speculazioni commerciali, che inevitabilmente ne deriverebbero, come si evince dalle richieste già avanzate da importanti ditte di brevettare in anticipo il genoma umano, cioè di potere diventare proprietari di diversi componenti del genoma stesso al momento della loro identificazione.
Leggi molto rigorose, ma senza preventive e strumentali tecnologie finalizzate alla creazione di animali transgenici o di piante con relativi prodotti alimentari.
L. M. - Il "Giuramento di Ippocrate" pare ormai divenuto obsoleto, visto che gli Ordini dei Medici provvedono autonomamente a redigere un codice deontologico. Qual è il suo parere? Si può stilare un vero e proprio decalogo al quale un medico dovrebbe attenersi?
P. - Il giuramento di Ippocrate mantiene una sua validità concettuale e morale, su cui debbono innestarsi le linee fondamentali della Bioetica medica e del rinnovato codice nazionale di Deontologia medica. La bioetica evolve con i costanti progressi della scienza, che propongono sempre nuove problematiche, nell'ambito delle quali i valori centrali sono costituiti dal beneficio da offrire al paziente, nel pieno rispetto della sua autonomia e libertà decisionale, per cui l'atto medico deve mirare a dare al paziente un ruolo attivo e consapevole.
Negli ultimi decenni è diventato sempre più difficile praticare la professione medica, che è cambiata sotto molteplici aspetti, in primis per quanto concerne il rapporto medico-paziente, diventato talora conflittuale. La medicina è stata la prima professione laica a dotarsi di un codice etico, inteso come condotta di vita e di regole comportamentali assimilabili con la Deontologia medica, dal greco "deonthos", che significa dovere, regola, obbligo, concetti derivati dal medico greco Ippocrate (IV-V sec. a.C.) a cui si fa risalire il dovere medico primario di non nuocere al malato, unitamente al rispetto della sua autonomia.
I grandi cambiamenti determinati dalla Biomedicina hanno richiesto un costante aggiornamento del codice deontologico a cui ogni stato fa riferimento nel continuo divenire delle conoscenze mediche con la finalità non secondaria, un po' utopistica, di trovare un punto di incontro tra l'antica tradizione professionale medica di tipo paternalistico e quella moderna efficentistica, pubblica, burocraticamente sempre più disumanizzata.
Il codice di deontologia medica, recentemente aggiornato, contiene, oltre al Giuramento professionale, un corpus di regole di autodisciplina che sono vincolanti per gli iscritti all'Ordine ed a cui, deve essere adeguata la condotta professionale.
Il codice di deontologia medica è costituito da sei titoli per complessivi 79 articoli, più una disposizione finale, il tutto comprensivo dei vari aspetti della professione medica, dai doveri generali del medico, ai trapianti, alla fecondazione assistita, alle sperimentazioni, all'informazione, al consenso informato, all'eutanasia per terminare con le problematiche relative al rapporto con il cittadino, con i colleghi, con i terzi, il Servizio Sanitario Nazionale, con enti pubblici e privati.
L. M. - Il medico può essere condizionato nella sua attività da un discorso puramente economico? Questo non lede la libertà sia del medico che del paziente?
P. - Il medico nell'esercizio della sua professione non dovrebbe essere condizionato, né nell'ambito pubblico, né in quello privato, dall'aspetto esclusivamente o prevalentemente economico, perché si dovrebbe pretendere un atteggiamento equilibrato e non sbilanciato tra la ricerca del lucro ed un ipotetico volontariato di tipo missionario.
Occorre peraltro sottolineare che l'attuale impostazione farmaco-economica imposta dalla medicina moderna con tutti i relativi vincoli burocratici, costituiti dai protocolli terapeutici, dalle linee guida derivate dalla Medicina basata sull'evidenza (Evidence Based Medicine), cioè sulle prove di efficacia, costituisce una chiara, anche se talora necessaria, limitazione nell'opera del medico, che deve porre attenzione ai costi sempre crescenti derivati dall'eccessiva medicalizzazione, pena l'incorrere in pesanti sanzioni economiche. Il futuro della professione medica sarà sempre più connotato dal conflitto tra l'interesse del singolo paziente e le esigenze della società nel suo complesso, così da costituire il problema etico centrale della medicina del futuro, che dovrà essere affrontato in maniera da non ledere o diminuire la libertà del medico e quella del paziente, affermando la centralità del rapporto medico-paziente.
L. M. - Professore, nel suo libro "Bioetica medica e biomedicina", di recente pubblicazione, lei affronta alcuni temi essenziali: il rapporto medico-paziente, i dilemmi etici, che coinvolgono la medicina olistica. Quali sono, a suo parere i nodi cruciali da sciogliere?
P. - Il rapporto medico-paziente costituisce lo "snodo" centrale della medicina olistica, termine derivato dal greco "holos", che sta a significare l'insieme, il tutto, per cui ogni essere vivente deve essere considerato nella sua interezza. Per medicina olistica s'intende una maniera di esercitare questa professione non solo avvalendosi della totalità delle conoscenze mediche, ma anche della loro applicazione nella cura della persona umana considerata nella sua globalità, rifiutandone l'analisi o la visione frazionata, talora tipicamente derivata da una visione distorta delle superspecializzazioni. Non deve esistere esclusivamente l'organo ammalato, ma l'uomo nella sua interezza ed unicità; in questa ottica la medicina olistica è una scienza etica al contrario di quella esclusivamente tecnologica o burocratizzata, che tende in una visione aziendalistica a considerare il paziente non già come un uomo sofferente dal punto di vista psico-fisico, ma come "un cliente" secondo la logica sempre più prevalente del rapporto costo-beneficio.
Nella medicina olistica è di primaria importanza il contatto "diretto" con il malato, la sua partecipazione attiva, psicologica, consapevole al procedimento terapeutico che l'interessa; in questo modo si realizza un'unione operativa di forze e di sforzi congiunti nei confronti della malattia.
Intesa in questo senso profondamente etico la medicina olistica, sinonimo di medicina internistico-clinica, sarà la medicina del futuro, che supererà le barriere della medicina pragmatica, tesa ad isolare l'organo dal contesto globale della malattia. Sarà restituita dignità al medico, non più considerato come un funzionario della salute ed al paziente, che non sarà più un oggetto o caso da analizzare, ma un soggetto da aiutare nelle sue speranze di guarire o di vedere comunque attenuate le sofferenze. Con la medicina olistica sarà veramente reale la libera scelta terapeutica del singolo nell'ottica di una medicina personalizzata, finalizzata alla riappropiazione della identità del singolo uomo.
Intervista al prof. Almerico Novarini, direttore dell'Istituto di Semeiotica Medica dell'Università degli studi di Parma
L. M. - Quali sono i settori in cui, secondo lei, l'etica professionale è meno sentita dalla classe medica?
N. - Quello dell'etica è un problema forte che emerge in modo crescente per i dilemmi posti attualmente dalla professione medica. Da clinico noto delle difficoltà soprattutto nei rapporti medico-paziente, sulla possibilità che le decisioni vengano prese attraverso un libero consenso informato e sulla partecipazione attiva del medico che propone libere alternative diagnostico-terapeutiche.
L. M. - Esistono carenze di preparazione?
N. - Sicuramente.
La formazione medica presenta carenze in campi via via emergenti come nell'economia sanitaria e nell'etica sanitaria.
L'esplosione delle conoscenze scientifiche, delle possibilità diagnostiche e terapeutiche e la crescente emergenza dei diritti che hanno posto il rapporto medico-paziente su un piano non più paternalistico, ma quasi paritario, necessitano di proposte adeguate e la formazione non viene data oggi in termini adeguati, completi.
L. M. - I problemi posti dalla bioetica pongono poi i medici di fronte a scelte di natura personale, religiosa...
N. - Credo che il problema di fondo sia quello di avere ben chiaro quali sono gli atteggiamenti da seguire di fronte alla difesa della vita e al rispetto della dignità della persona. Sono due beni intoccabili che un medico deve avere sempre presenti.
L. M. - Non vi è il rischio che si crei una frattura fra medici cattolici, forse più sensibili a questo tipo di problematica, ed altri su posizioni laicistiche?
N. - Penso che la frattura non esista se si dice però chiaramente quale ruolo deve assumere il medico di fronte alla difesa della vita e alla dignità della persona umana. per esempio non si può affermare che in certe condizioni non vi è più vita; la vita è uno dei beni intoccabili, anche secondo la Costituzione italiana.
Se noi ci mettiamo di fronte alla grande dignità e bellezza della nostra professione, allora dobbiamo capire che il medico deve difendere la vita, rispettarla.
Le scelte non debbono essere imposte, ma discusse.
Io sono poi favorevole a un aspetto fondamentale dell'etica professionale: quello della libertà reciproca, la libertà del malato e quella del medico che si deve comportare secondo coscienza.
L. M. - E nel caso in cui un malato sostiene che non c'è più vita?
N. - Non intervengo. Per me non è così.
Voglio dire che il medico deve rispettare la volontà del paziente, ma non la deve accettare se contrasta con la sua conoscenza.
E ciò per ogni tipo di scelta. Io dico la mia opinione al paziente, gli dico ciò che la scienza mi dice di fare se quella terapia o quell'intervento rispettano le mie idee morali, le mie convinzioni, diversamente mi rifiuto di intervenire.
Provo entusiasmo per questo concetto di libertà e di responsabilità del medico e del malato quando è correttamente informato.
L. M. - Non le sembra che a causa del progresso scientifico i medici siano divenuti superbi?
N. - La superbia c'è sempre stata. Il medico del resto si trova in una posizione di superiorità perché può curare.
Va però tenuto presente un principio fondamentale: l'uomo non è mai un mezzo ma sempre un fine.
L'uomo non può mai essere considerato un mezzo per effettuare delle ricerche, per sfruttare l'immagine personale.