da Leadership Medica n. 258 del 2007
L’ospedale contemporaneo può essere assunto come il luogo emblematico delle trasformazioni culturali e relazionali legate allo sviluppo tecnologico.
Tempo e spazio sono due categorie che sono ancora oggetto di riflessione filosofica.
Che cosa sia propriamente il tempo, liberato dalla sua relazione con lo spazio e con il movimento, con lo spazio di un quadrante di orologio e con il movimento di una lancetta, non è così facile da dire e da pensare.
Il tempo, nozione che, come ci ricordava Agostino, ci è familiare soltanto fino al momento in cui non ci chiediamo in che cosa consista, è la parola che unisce esperienze che non sono più (il passato) e che non sono ancora (il futuro), attraverso un presente che non sembra consistere in nulla, proteso al futuro, eroso dal passato.
Eppure il tempo è così decisivo nelle nostre relazioni, umane e no, da costituire un problema sommerso, ma decisivo. Spesso non si ha tempo (per esempio, per comunicare con il paziente), a volte non c'è più il tempo (per esempio, per intervenire in un' emergenza), altre volte ancora bisogna attendere il tempo necessario (per esempio, per formulare una diagnosi).
E poi c'è lo spazio: il luogo dove vivere i tempi della vita, dell'attesa, del ricordo, dell'azione. Il tempo, misura del movimento, secondo un'espressione classica, ci rimanda a ciò che misura, cioè alla consapevolezza dell'uomo, alla sua coscienza, luogo privilegiato dell'esperienza del tempo.
Le conoscenze e le proiezioni statistiche circa il futuro delle malattie cambiano radicalmente il modo di essere pazienti e il modo con cui la medicina e il medico deve fare i conti con il paziente.
Ma risulta difficile fare della coscienza un luogo perché risulta difficile pensarla nei termini di un ambiente, o di un contenitore, perché risulta impossibile arrestarla e privarla della sua dinamica e della sua temporalità.
Nella prassi clinica c'è sempre stata la pratica dell'anamnesi: il tempo del ricordo e della ricostruzione.
Esiste persino un'espressione che legge la malattia secondo la categoria del tempo: la storia della malattia. Il tempo attraversa tutte le esperienze umane, senza essere propriamente qualcosa di cui si possa fissare in modo definitivo il significato.
C'è stato un tempo nel quale si è cercato di localizzare il tempo: la localizzazione cerebrale dei ricordi aveva la pretesa di fissare nello spazio e nel corpo, che è a portata di mano, qualcosa che difficilmente si riusciva a pensare come un oggetto che avesse, per così dire, un luogo proprio.
La tentazione di fissare in un luogo qualcosa che non ha propriamente un luogo, anche se forse dipende da qualcosa che esiste in un luogo, è una tentazione ricorrente.
Il dolore fisico è localizzabile nel corpo e le sensazioni di dolore sono localizzabili nei centri nervosi e i centri nervosi sono localizzabili nel corpo senziente: ci sembra che tutto ciò che sia localizzabile sia anche, per così dire, manipolabile. Il luogo e lo spazio sono più rassicuranti del tempo perché sono simboli dello statico e siamo soliti rappresentarci il movimento come successione (cioè …movimento ) di punti immobili: ma un insieme di punti statici, ci ricordava Bergson, non ci restituirà mai il senso del movimento stesso. Forse ci è più facile dire che pensiamo attraverso il tempo, piuttosto che dire che cosa sia propriamente il tempo stesso. Eppure, al di là del problema del tempo in sé, resta il fatto che molte delle questioni cliniche sono legate alla dimensione del tempo e dei tempi.
L'organizzazione della stessa prassi assistenziale rimanda alla temporalità: ai tempi delle visite, ai tempi delle relazioni, al tempo della degenza e così via. Qualificare il tempo e sottrarlo alla sola logica della quantità (cioè della sua misurazione) significa compiere un'azione particolarmente rilevante, perché significa introdurre una variabile esistenziale nell'approccio scientifico alla malattia: significa pensare alla malattia dentro l'esperienza del malato e, quindi, dentro le dinamiche del presente, del passato e del futuro come dinamiche personali e non soltanto come strategie numeriche e statistiche.
I tempi della malattia e i tempi della guarigioni, come i tempi dell'assistenza e delle relazioni, sono sia tempi numerici sia tempi vissuti: sono formule temporali differenti, dalle quali dipendono strategie relazionali differenti.
Nella medicina che si prende cura del paziente il tempo non è una variabile insignificante. Laddove il tempo della guarigione non è misurabile, occorre fare i conti con i tempi dell'esistenza del malato e l'approccio clinico non può essere soddisfatto pienamente senza una nuova considerazione del significato della nozione di paziente. Il paziente è colui che ha pazienza, cioè colui che fa l'esperienza dell'attesa: le attese (non soltanto quelle imposte dai ritmi delle visite e dalla disorganizzazione sanitaria) sono le domande dell'esistenza che vive nella temporalità e che si proietta nel futuro, modificando il presente.
Il presente, che sembra essere l'unico tempo di cui disponiamo, è in realtà così intriso del passato e del futuro atteso da non poter essere pensato come un istante matematico.
Le conoscenze e le proiezioni statistiche circa il futuro delle malattie cambiano radicalmente il modo di essere pazienti e il modo con cui la medicina e il medico deve fare i conti con il paziente. Il futuro della medicina è legato anche al modo con cui sapremo pensare alla temporalità e predisporre strategie temporali.
Prof. Adriano Pessina
Cattedra di Bioetica
Università Cattolica di Milano