da Leadership Medica n. 9 del 2002
Due anni fa è stato tradotto in italiano, con il titolo "La medicina impossibile. Le utopie e gli errori della medicina moderna", il volume di Daniel Callahan "False Hope", che riprendeva ed approfondiva alcuni argomenti emersi da un’ampia indagine, promossa nella seconda metà degli anni Novanta dallo Hasting Center, intitolata "The Goals of Medicine". Partendo dalla situazione della medicina e della ricerca negli USA, sia la ricerca dello Hasting Center sia il volume di Callahan cercano di fare, per così dire, il punto su quali siano gli obiettivi che la medicina può e soprattutto deve realisticamente proporsi, evitando di scadere in prospettive utopistiche e di alimentare aspettative ingiustificate.
Il 14 dicembre 2001, anche il nostro Comitato Nazionale per la Bioetica ha pubblicato un “parere” dedicato all’individuazione degli Scopi, limiti e rischi della medicina (1) .
Si tratta dell’ultimo documento prodotto sotto la direzione di Giovanni Berliguer, che, pur restando presidente onorario del CNB, è stato recentemente sostituito da Francesco D’agostino.
Il tema affrontato rispecchia, in un certo senso, un’esigenza cara a Berlinguer, e spesso reiterata: quella di dare maggior spazio alla riflessione sulle questioni bioetiche “quotidiane”, troppe volte trascurate rispetto agli interrogativi sollevati dalla “frontiera” della ricerca e delle sperimentazioni biomediche.
L’argomento, quello degli scopi della medicina, è peraltro rilevante sia per la quotidianità sia per la frontiera.
La medicina può ancora essere definita soltanto in funzione della salute dell’uomo e, quindi, secondo una caratterizzazione esclusivamente di stampo terapeutico?
Non tutti gli atti medici sono terapeutici, e non tutti gli atti medici hanno a che fare con la salute: queste distinzioni sono state più volte evidenziate nelle discussioni etiche riguardanti, per esempio, la procreazione extracorporea, l’eutanasia, l’interruzione volontaria di gravidanza, ma anche la cosiddetta medicina dello sport o la chirurgia estetica, dove è più evidente che non tutto ciò che i medici di fatto compiono è finalizzato alla salute.
Ma, come è noto, il dibattito sui confini della medicina è oggi complicato proprio dalla difficoltà di stabilire i confini stessi della salute, non più pensata soltanto come assenza di malattia.
Se si assume la nozione di salute, velleitaria ma fascinosa, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, intesa “come condizione di perfetto benessere fisico, mentale e sociale”, e si afferma che lo scopo della medicina è la salute, allora si deve concludere che la medicina si occupa di tutto, che nulla le è estraneo.
Ma questo piccolo delirio di onnipotenza si frantuma già nella difficoltà di stabilire in che cosa consista il benessere, specie in un’epoca come la nostra nella quale non si ritiene che sia possibile tracciare una linea di demarcazione tra ciò che risponde alle categorie del bisogno e ciò che appartiene alla categoria del desiderio, tra ciò che è normale e ciò che è patologico: in che modo occuparsi di indefinite e potenzialmente infinite aspirazioni che costituiscono l’ideale soggettivo del benessere?
Laddove la medicina non sa fissare i propri compiti, è destinata a vederseli fissare da altri, siano essi la società civile, il potere pubblico, l’economia, o, più banalmente, la scelta individuale del singolo paziente, spesso trasformato in un esigente “cliente” che crede in ciò che gli viene promesso attraverso i mezzi di comunicazioni di massa, che non sempre sanno distinguere tra scienza e letteratura.
Il rapporto tra società e medicina resta, in ogni caso, un rapporto costitutivo, perché la medicina dipende dalla società, sia per quanto attiene ai mezzi economici del suo sviluppo, sia per quanto riguarda la sua stessa finalità pratica, che ha sempre una qualche ricaduta sociale. Il carattere pervasivo della medicina, spesso denunciato con il termine “medicalizzazione” dell’esistenza, deriva anche dal fatto che, come ricorda lo stesso documento del CNB, "la medicina si occupa oggi, nella sua attività quotidiana, anche della “non-malattia”; sia per l’area sempre più ampia che la teoria e la prassi medica riservano alla prevenzione “primaria” di malattie, sia per il gran numero di individui che quotidianamente, nel timore di essere malati (..) si sottopongono ad accertamenti, ai fini della prevenzione cosiddetta “secondaria”, spesso risultando in “buona salute” ". La determinazione, perciò, degli scopi della medicina non è, come sembrava a prima vista, un’impresa semplice e nello stesso risulta essere sempre più urgente: bisogna dare atto al documento del CNB di essere pienamente consapevole di tutto ciò. Il testo percorre, in effetti, quasi tutti i temi-chiave della questione medica: dalla definizione della malattia, all’evoluzione epistemologica della medicina; dalla valutazione delle pratiche di cura alternative rispetto alla medicina scientifica, al problema del rapporto tra medico-paziente; dall’analisi dei limiti e dei rischi della medicina fino alle questioni della giustizia sociale e delle allocazioni delle risorse. Vale la pena, pertanto, leggerlo, perché fornisce una sintetica panoramica dei termini del dibattito attuale e fa comprendere la necessità di individuare criteri precisi per definire che cosa debba e non debba essere oggi la medicina, perché soltanto così si potranno dare delle risposte concrete ad alcuni (anche se non a tutti) i problemi sollevati dalla prassi medica quotidiana e di “frontiera”. Ma, dopo aver ribadito temi e problemi, sottolineato difficoltà e complessità, il documento si chiude con un capitolo intitolato Sintesi e raccomandazioni nel quale, al di là, appunto, della sintesi del già detto, non si trova nessuna indicazione concreta, nessuna presa di posizione, né dogmatica né argomentata, circa gli scopi e i limiti della medicina.
Nel primo punto (le sintesi e raccomandazioni si articolano in 8 punti) c’è forse l’unica raccomandazione “esplicita”, che vale la pena citare.
Dopo aver ricordato che il tema affrontato è "di rilevanza cruciale" e che esistono dei conflitti tra le diverse concezioni della medicina, il "Comitato Nazionale per la Bioetica raccomanda, in luogo della contrapposizione, la ricerca di un dialogo continuo della medicina con la società, al fine di rendere la medicina consapevole del ruolo sociale che svolge, ecc. ecc.".
Non si può che restare delusi di fronte a simile conclusione: la vastità dei dati e dell’informazione, infatti, facevano sperare (False Hopes?) che i componenti del CNB avessero avuto tempo e modo per maturare proposte concrete da fare, se non all’Europa, almeno alla comunità scientifica e civile italiana.
Senza spirito polemico, verrebbe la tentazione di parafrasare il titolo di questo Parere per proporre un’altra riflessione, sugli scopi, i limiti e i rischi di un Comitato Nazionale per la Bioetica.
Gli scopi, a dire il vero, dovrebbero essere chiari, visto che alla voce “compiti” (2) del CNB è prevista anche l’indicazione di “soluzioni” che possano servire ad elaborare delle leggi. Sui limiti, intrinseci ed estrinseci, di un CNB sarebbe opportuno svolgere un’articolata riflessione, che però dovrebbe essere fatta dal CNB stesso. Possiamo, invece, indicare quali sono i rischi nei quali può incorrere il CNB nel tentare di rispondere al difficile compito a cui è chiamato. Essi sono, mi sembra, potenzialmente di tre tipi:
1) il rischio di non andare oltre la descrizione dello status quaestionis e di non riuscire a formulare delle motivate e concrete linee guida;
2) il rischio di esercitare un arbitrario potere di condizionamento dell’opinione pubblica assecondando alcuni interessi di parte rappresentati dalle maggioranze che si possono formare al suo interno;
3) il rischio di produrre pareri concreti, circoscritti, motivati ed argomentati, sapendo che, in ogni caso, il CNB non potrà mai avere il consenso da parte di tutta l’opinione pubblica e di tutti coloro che sono all’origine del conflitto teorico affrontato.
Solo il terzo è il rischio compatibile con un impegno etico e scientifico come quello che ci si attende dal Comitato Nazionale per la Bioetica, che ha saputo dare miglior prova di sé in altre occasioni (e con gli stessi componenti).
Nessuno pretende che i componenti del CNB siano i migliori studiosi possibili del miglior comitato etico possibile, né che formulino il miglior parere possibile: il cittadino si accontenterebbe di pareri precisi, motivati, espliciti e circostanziati.
Altrimenti a che serve un CNB? Forse questa domanda non è sempre del tutto peregrina.
Professor Adriano Pessina
Cattedra di Bioetica
Università Cattolica di Milano
NOTE
(1) Il testo è pubblicato sul sito di Palazzo Chigi al seguente indirizzo: http://www.palazzochigi.it/bioetica/notizie/notizie_etici.html
(2) I compiti dichiarati sono i seguenti:
a) elaborare, anche avvalendosi della facoltà di accedere alle necessarie informazioni presso i centri operativi esistenti in sede nazionale, e in collegamento con gli analoghi comitati istituiti presso altri Paesi nonché le altre organizzazioni internazionali operanti nel settore, un quadro riassuntivo dei programmi, degli obiettivi e dei risultati della ricerca e della sperimentazione nel campo delle scienze della vita e della salute dell’uomo;
b) formulare pareri e indicare soluzioni, anche ai fini della predisposizione di atti legislativi, per affrontare i problemi di natura etica e giuridica che possono emergere con il progredire delle ricerche e con la comparsa di nuove possibili applicazioni di interesse clinico con il dovuto riguardo alla salvaguardia dei diritti fondamentali e della dignità dell’uomo e degli altri valori così come sono espressi dalla Carta costituzionale e dagli strumenti internazionali ai quali l’Italia aderisce;
c) prospettare soluzioni per le funzioni di controllo rivolte sia alla tutela della sicurezza dell’uomo e dell’ambiente nella produzione di materiale biologico, sia alla protezione da eventuali rischi dei pazienti trattati con prodotti dell’ingegneria genetica o sottoposti a terapia genica;
d) promuovere la redazione di codici di comportamento per gli operatori dei vari settori interessati a favorire una corretta informazione dell’opinione pubblica.