Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 4 del 2002

Una Legge per malati terminali senza alcuna speranza di vita che consente di far cessare l’esistenza di un essere umano è stata approvata di recente dal Parlamento Olandese.

La notizia è stata riportata con risalto da tutta la stampa e le televisioni mondiali che si sono sbizzarrite a sottolineare che si tratta della prima Legge sull’eutanasia in Europa, dimenticando di dire che essendo l’unico Stato ad averla approvata, oltre ad essere i primi, sono anche gli ultimi dell’elenco. Era dal processo di Norimberga che non si sentiva parlare di Stati che autorizzassero medici a sopprimere delle vite umane per Legge. Purtroppo è successo e ancora una volta è avvenuto nella civilissima Europa dove la “Commissione per la protezione dell’ambiente, la sanità pubblica e la tutela dei consumatori” del Parlamento Europeo ha stilato un documento che al punto 8 prevede che “mancando qualsiasi terapia curativa e dopo il fallimento delle cure palliative correttamente impartite sul piano tanto psicologico quanto medico, e ogni qualvolta un malato pienamente cosciente chieda in modo insistente e continuo che sia fatta cessare un’esistenza priva per lui di qualsiasi dignità e un collegio di medici, costituito all’uopo, constati l’impossibilità di dispensare nuove cure specifiche, detta richiesta deve essere soddisfatta senza che, in tal modo, sia pregiudicato il rispetto della vita umana.” Come si faccia poi a sopprimere un essere vivente senza pregiudicarne il rispetto della vita umana non è dato di sapere, ma il Parlamento Olandese ha subito approfittato di questo illustre parere di una Commissione nata per tutelare la protezione dell’ambiente e la tutela dei consumatori per emanare una Legge che, nello spirito del dettato legislativo, dovrebbe tendere al miglioramento dell’assistenza ai pazienti definiti “terminali”. E’ evidente che attraverso la formulazione riportata si è di fatto legalizzata la cosiddetta “eutanasia attiva”, cosa ben più grave della “eutanasia passiva” che non va comunque confusa con la rinuncia all’accanimento terapeutico. Peraltro, il Comitato Nazionale per la Bioetica rigetta in modo categorico il documento della Commissione Europea nella parte in cui afferma che il medico “deve” soddisfare la domanda del paziente, che gli chiede di porre fine alla sua vita. Certamente il coinvolgimento del medico nell’azione criminosa di porre fine alla vita di un paziente riveste degli aspetti morali, giuridici e deontologici che non possono e non devono sfuggire agli Ordini dei Medici che devono insorgere contro questa invasione della Politica nella sfera della deontologia professionale e nella coscienza del medico. Troppo comodo per il legislatore decidere la soppressione di vite umane e poi stabilire che a farlo sia un medico che ha posto tutta la sua vita e il suo sapere al servizio della vita e non della morte del paziente. Il precedente di Adolf Hitler che si era servito di medici per stabilire i sistemi da usare per sopprimere tutti coloro che erano portatori di handicap e poi, mano a mano, di tutti coloro che lui riteneva un peso per lo Stato, dovrebbe aver insegnato qualcosa al genere umano. Il Concilio Ecumenico Vaticano II nel riaffermare solennemente l’eccellente dignità della persona umana ed in modo particolare il suo diritto alla vita, ha denunciato i crimini contro la vita “come ogni specie di omicidio, il genocidio, l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario.” E’ necessario comunque sottolineare che nessuno può autorizzare l’uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato incurabile o agonizzante. Nessuno può richiedere questo gesto omicida per se stesso o per un altro affidato alla sua responsabilità, né può acconsentirvi in maniera implicita od esplicita. Nessuna Autorità può imporlo per Legge né permetterlo. Si tratta infatti di una violazione gravissima dei diritti dell’uomo, di una offesa alla dignità della persona umana, di un crimine contro la vita, di un attentato contro l’umanità. Il nascondersi dietro la richiesta di un intervento di pietà della medicina diretto ad attenuare i dolori della malattia e dell’agonia non diminuisce la responsabilità di chi deve procurare la morte sia pure allo scopo di eliminare radicalmente le ultime sofferenze o di evitare a bambini anormali, ai malati mentali o agli incurabili il prolungarsi di una vita infelice, forse per molti anni, che potrebbe imporre degli oneri troppo pesanti alle famiglie o alla Società. Dinanzi a patologie gravemente invalidanti, con dolori prolungati, potrebbero nascere delle considerazioni da far ritenere legittima la richiesta del paziente o di altri a porre termine alla vita di una persona; ma pur considerando la buona fede di chi fa la richiesta, ciò non modifica la natura dell’atto omicida e la grave responsabilità di chi compie tale atto che non può certo qualificarsi come atto medico, ma solo come crimine. Le suppliche dei malati, anche molto gravi, che talvolta invocano la morte non devono essere intese come espressione di una volontà di eutanasia: si tratta di una richiesta angosciata di aiuto e di affetto. Oltre che di cure mediche, l’ammalato sente il bisogno di una persona che gli stia vicino con il suo amore, con il suo affetto, con quel calore umano che devono possedere tutti coloro che gli sono intorno. E’ solo questo il dovere di un vero medico, non quello di risolvere il problema staccando la spina.

Dott. Amedeo Pavone