da Leadership Medica n. 268 del 2008
Abstract
Sono state pubblicate di recente le nuove Linee Guida 2007 sulla diagnosi e trattamento dell’ipertensione arteriosa, redatte da un Comitato “ad hoc” della Società Europea di Ipertensione e di Cardiologia. Le nuove Linee guida riaffermano con vigore l’importanza del controllo pressorio, finalizzato alla riduzione del rischio cardiovascolare del paziente iperteso, e mettono in luce aspetti innovativi relativi alla diagnosi del danno d’organo e all’intervento terapeutico.
Articolo
Il processo di elaborazione, stesura e quindi di revisione periodica delle Linee Guida per il trattamento dell’ipertensione arteriosa ha avuto inizio intorno alla metà degli anni Settanta. Le prime Linee Guida sull’ipertensione arteriosa sono state redatte dal Joint National Committee Americano nel 1977.1 Ad esse fecero seguito a breve distanza di tempo quelle elaborate da un Comitato “ad hoc” di esperti internazionali sotto l’egida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della Società Internazionale di Ipertensione.2 Al pari di quelle americane, le Linee Guida Internazionali sono state oggetto nel corso degli anni di revisione periodica3,4,5,6, consentendo di mantenere le raccomandazioni sempre aggiornate, in linea cioè con le nuove informazioni raccolte nel campo della fisiopatologia, diagnostica e terapia dell’ipertensione. Nel caso delle Linee Guida Internazionali il processo di revisione periodica ha col tempo coinvolto Comitati Scientifici della Società Europea di Ipertensione e della Società Europea di Cardiologia7, rendendole di fatto espressione della esperienza clinica e di ricerca accumulata in Europa.
Le Linee Guida sull’Ipertensione Arteriosa, presentate nell’ambito del 17th European Meeting on Hypertension, tenutosi nel Giugno 2007 a Milano, sono state oggetto di pubblicazioni sulle riviste ufficiali delle due Società Scientifiche che hanno partecipato alla loro stesura, e cioè la Società Europea di Ipertensione e la Società Europea di Cardiologia.8-9 La presentazione e la pubblicazione delle Linee Guida sull’Ipertensione Arteriosa hanno rappresentato le ultime tappe di un lungo processo di revisione critica dei dati disponibili, di analisi di risultati di trial clinici, di discussione tra esperti e di valutazione del “peso” scientifico di evidenze e opinioni che ha impegnato per circa un anno il Comitato per la stesura delle Linee Guida, definito dalle due Società e presieduto dal Prof. Giuseppe Mancia (Società Europea di Ipertensione) e dal Prof. Guy de Backer (Società Europea di Cardiologia). Rispetto alle Linee Guida pubblicate nel 20037, la versione del 2007 presenta diversi elementi di conferma ma anche un elevato numero di importanti novità che riguardano l’approccio diagnostico e terapeutico alla patologia ipertensiva e alle sue diverse forme cliniche. Questo articolo passerà in breve rassegna gli elementi di conferma al pari degli aspetti più peculiari ed innovativi delle Linee Guida 2007 rispetto alle precedenti edizioni.
Linee Guida 2007: alcuni aspetti irrinunciabili del passato
La definizione e la classificazione dell’ipertensione arteriosa in base ai cut off pressori già definiti nel 20037 hanno trovato conferma nelle nuove Linee Guida.8-9 E’ stata nuovamente ribadita l’importanza, nell’iter diagnostico del paziente, della valutazione non solo delle cosiddette pressioni “alternative”, ma anche del danno d’organo e del rischio cardiovascolare globale. In campo diagnostico, i test “fondamentali” menzionati nelle precedenti Linee Guida rimangono invariati così come gran parte delle procedure raccomandate, finalizzate, come noto, alla definizione della eventuale presenza di danno d’organo cardiaco (ipertrofia ventricolare sinistra, disfunzione diastolica), vascolare carotideo (placche e/o stenosi), retinico e renale (albuminuria, microalbuminuria).
In merito alla stratificazione del rischio del paziente iperteso, un esame di laboratorio che nelle nuove Linee Guida non viene più ritenuto routinariamente utile in termini di possibile significato prognostico è rappresentato dalla proteina C reattiva. Tale marker mantiene tuttavia il suo valore predittivo e pertanto il suo significato diagnostico nei pazienti ipertesi nei quali si presentino associate anche le altre componenti della Sindrome Metabolica. Possibile spiegazione a ciò potrebbe risiedere nel fatto che nel paziente non complicato modesti incrementi dei livelli plasmatici di proteina C non necessariamente sono indice di “infiammazione vascolare” ma piuttosto di altre condizioni confondenti.
Anche nell’ambito terapeutico, diversi sono gli elementi di conferma delle Linee Guida 2003. Questi includono, ad esempio, la definizione dell’obiettivo del trattamento, che deve essere finalizzato ad ottenere la massima riduzione del rischio cardiovascolare globale a lungo termine. Le Linee Guida del 2007 ribadiscono la necessità che il trattamento sia finalizzato alla correzione di tutti i fattori di rischio reversibili, oltre alla riduzione farmacologica dei valori pressori. Sempre in campo terapeutico viene ribadita l’utilità degli interventi non farmacologici finalizzati al trattamento degli elevati valori pressori nonché degli altri fattori di rischio (tra cui il sovrappeso, l’obesità, la sedentarietà, il dismetabolismo glico-lipidico). Infine, come verrà ricordato in seguito, particolare enfasi viene posta relativamente all’importanza della terapia di associazione farmacologica, tenendo presente che l’impiego dei farmaci alfa-bloccanti (pur se menzionati dalle Linee Guida 2007) ha perso nel tempo la rilevanza terapeutica iniziale.
Linee Guida 2007: peculiarità ed aspetti innovativi rispetto alle precedenti edizioni
Accanto agli elementi di conferma appena ricordati, le Linee Guida 2007 presentano una serie di importanti novità sia in campo diagnostico che terapeutico. Le principali novità (riassunte schematicamente nella Tabella 1) saranno brevemente commentate in seguito.
1. Stratificazione del rischio cardiovascolare
L’ accurata valutazione del rischio cardiovascolare associata ad una adeguata valutazione pressoria rappresenta una delle caratteristiche peculiari delle nuove Linee Guida Europee. Il profilo pressorio del paziente iperteso include non solo la misurazione pressoria sfigmomanometrica (o pressione clinica) ma anche quella ambulatoria nell’arco delle 24 ore e quella domiciliare. L’enfasi data a tale valutazione, il continuo riferimento ad essa nell’ambito delle Linee Guida e la “modulazione” dell’intervento terapeutico antipertensivo in base al profilo di rischio cardiovascolare del paziente rappresentano elementi di differenza rispetto alle precedenti Linee Guida.
Nella stratificazione del profilo di rischio cardiovascolare ci si dovrà riferire alle carte del rischio cosiddetto “assoluto”, basate sui modelli elaborati dal Progetto Framingham o dallo SCORE Project10,11, e finalizzate a definire il rischio di eventi cardiovascolari morbosi e mortali nell’arco di un decennio. Diverso è il caso di un paziente iperteso più giovane, per il quale è invece indicata la stima del cosiddetto “rischio relativo”, che consente di determinare in modo più preciso il rischio cardiovascolare nelle fasce di età anagrafica giovani o intermedie. Per la stratificazione del rischio (a cui partecipano non solo i valori pressori, ma anche la presenza di fattori di rischio concomitanti, quali diabete, sindrome metabolica e patologie coronariche o renali associate) si identificano 5 categorie di rischio e cioè: 1) rischio medio, 2) rischio aggiunto lieve, 3) rischio aggiunto moderato, 4) rischio aggiunto elevato e 5) rischio aggiunto molto elevato.
Un nuovo concetto introdotto dalle Linee Guida 2007 consiste nella definizione dei livelli-soglia a cui programmare l’inizio del trattamento, e cioè la cosiddetta “soglia flessibile”. Essa sottolinea l’importanza del rischio cardiovascolare totale nella strategia decisionale su quando incominciare l’approccio terapeutico. Nel caso dei soggetti a basso rischio cardiovascolare la soglia pressoria di trattamento rimane invariata (e cioè 140/90 mmHg), mentre nelle condizioni a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato tale limite scende sensibilmente al di sotto della soglia classica appena menzionata. Nella valutazione del rischio cardiovascolare le Linee Guida 2007 raccomandano l’accurata raccolta dei dati relativi ai fattori di rischio cardiovascolare e al danno d’organo. Le novità riguardano l’inclusione tra i fattori di rischio in grado di influenzare la prognosi a) della glicemia a digiuno > ai 102-125 mg/dl e b) della sindrome metabolica, classificata come condizione clinica che presenta l’aggregazione di 3 o più fattori di rischio nell’ambito di quelli elencati nella classificazione ATP III. La valutazione del danno d’organo emerge comunque come uno step fondamentale nella stima del rischio cardiovascolare, con l’introduzione di 2 nuovi parametri, rappresentati dalla velocità dell’onda pulsatoria carotido-femorale e dall’indice pressorio femoro-brachiale. Entrambi questi indici sono suggestivi di alterazioni vascolari su base aterogena in grado di ridurre la distensibilità arteriosa e di riflettersi sfavorevolmente sulla prognosi della malattia.
Tabella 1. Elementi di novità nelle Linee Guida 2007 |
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2. Valutazione del danno d’organo
Questa specifica sezione delle Linee Guida 2007 comprende alcuni aspetti innovativi. In primo luogo viene data particolare enfasi alle indagini finalizzate alla determinazione del danno d’organo subclinico (Tabella 2), in quanto diversi studi hanno dimostrato che tale fattore ha un considerevole impatto sulla prognosi del paziente iperteso e sullo sviluppo degli eventi cardiovascolari. In secondo luogo, viene proposta una valutazione dei costi/benefici delle diverse metodiche di studio del danno d’organo, basata sul loro significato predittivo, sulla loro disponibilità nella clinica di ogni giorno nonché sul costo economico. Dall’analisi di questi fattori emerge la raccomandazione di un più diffuso utilizzo di marker semplici ma affidabili, quali la ricerca della microalbuminuria che tra l’altro è espressione di un danno vascolare generalizzato e in grado quindi di riflettere la presenza di altri danni d’organo, quali l’ipertrofia cardiaca, l’ipertrofia vascolare e la disfunzione endoteliale. Particolare attenzione deve essere dedicata alla determinazione del danno d’organo renale a livello subclinico con la valutazione del filtrato glomerulare (formula MDRD e Cockroft-Gault) e del rapporto microalbuminuria/creatinina. Infine, nel caso del danno d’organo cardiaco le nuove Linee Guida riconoscono l’importanza in termini prognostici non solo dell’identificazione dei quadri di ipertrofia ventricolare sinistra ma anche del rimodellamento concentrico del ventricolo sinistro. In diverse sezioni del documento viene comunque sottolineata la necessità che la valutazione del danno d’organo sia effettuata su base polidistrettuale in modo da poter acquisire un maggior numero di informazioni utili sul reale impatto di elevati regimi pressori sul rischio cardiovascolare.
Tabella 2. Markers di danno d'organo subclinico |
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Due ulteriori elementi dell’iter diagnostico del danno d’organo raccomandato dalle Linee Guida devono essere ricordati. In primo luogo, le Linee Guida, pur menzionando alcuni dei “nuovi markers” di danno d’organo (quali la valutazione backscattering del tessuto cardiaco e vascolare, la determinazione mediante risonanza magnetica della presenza di lacune cerebrali e la determinazione dei markers circolanti di collagene), ne riconoscono il limitato impiego clinico attuale, sia per il costo che per il reale valore predittivo di eventi. Infine, le Linee Guida 2007 raccomandano di effettuare valutazioni seriate del danno d’organo anche nel corso del trattamento antipertensivo, in modo da identificare con maggiore precisione la riduzione del rischio cardiovascolare indotta dall’intervento terapeutico.
3. L’intervento terapeutico
La prima finalità dell’intervento terapeutico è rappresentata dalla riduzione pressoria “in sè”. Tale concetto, già introdotto dalle Linee Guida del 2003, è ribadito con crescente vigore dalle nuove Linee Guida Europee. Il beneficio del trattamento dipende infatti strettamente dal raggiungimento dei valori pressori il più possibile vicino (e se possibile inferiori) ai 140/90 mmHg che tuttora rappresentano il target dell’intervento terapeutico.
Se dunque l’obiettivo primario del trattamento è quello della “normalizzazione pressoria”, il quesito relativo al tipo di farmaco da impiegare come prima scelta passa necessariamente in secondo piano. La cosiddetta “normalizzazione pressoria” implica infatti pressoché invariabilmente l’utilizzo di una terapia di associazione farmacologica. Quest’ultima necessità risulta ancora più evidente nel paziente diabetico iperteso, nel coronaropatico con elevati valori pressori e, in genere, nel paziente a rischio cardiovascolare elevato o molto elevato in cui l’obiettivo pressorio del trattamento si colloca a valori pari o inferiori ai 130/80 mmHg.
La scelta terapeutica raccomandata dalle Linee Guida sui farmaci da impiegare nella terapia antipertensiva si basa sulle caratteristiche del paziente, sul suo profilo di rischio cardiovascolare nonché sulla presenza di danno d’organo e/o di condizioni cliniche associate. Le classi di farmaci che le Linee Guida includono nella scelta terapeutica sono 5, e cioè ACE inibitori, Beta-bloccanti, Calcio Antagonisti, Diuretici e Sartani. Tale indicazione si contrappone alle recenti Linee Guida Inglesi12, in quanto le Linee Guida Europee affermano con vigore la necessità di ottenere un efficace controllo pressorio indipendentemente dal tipo di trattamento farmacologico impiegato. Una particolare attenzione va dedicata, comunque, alle proprietà dismetaboliche sfavorevoli di alcuni classi di farmaci antipertensivi (Diuretici e Beta-bloccanti), la cui somministrazione non è indicata come prima scelta terapeutica nel paziente con pre-diabete, obesità o comunque in presenza condizioni che possono favorire la comparsa di alterazioni metaboliche, inclusa l’insulino-resistenza.
Rispetto alle raccomandazioni contenute nelle Linee Guida 20037, le nuove Linee Guida sottolineano la necessità di ricorrere alla terapia di associazione quando la monoterapia, come molto spesso accade in pratica, non è in grado di “normalizzare” la pressione arteriosa (Figura 1). Ciò vale in misura maggiore nel paziente ad elevato rischio cardiovascolare, in cui la riduzione pressoria deve essere più marcata in modo da garantire una maggior protezione nei confronti del danno d’organo e degli eventi cardiovascolari.
Le Linee Guida, infine, evidenziano le associazioni farmacologiche più indicate nella terapia antipertensiva (Figura 2). Esse includono :
- Diuretici tiazidici e ACE inibitori
- Diuretici tiazidici e bloccanti recettoriali dell’angiotensina II
- Calcio antagonisti e ACE inibitori
- Calcio antagonisti e bloccanti recettoriali dell’angiotensina II
- Calcio antagonisti e diuretici tiazidici
- Beta-bloccanti e calcio antagonisti (diidropiridinici)
E’ dunque evidente che le associazioni farmacologiche basate sull’impiego dei farmaci che agiscono con il sistema renina-angiotensina (in particolare sartani) rappresentano la terapia di combinazione che per la duttilità di impiego, l’efficacia terapeutica e l’elevato rapporto costo/beneficio più si adatta al trattamento antipertensivo in diverse condizioni cliniche a rischio cardiovascolare medio, elevato e molto elevato.
Conclusioni
Le nuove Linee Guida rappresentano, rispetto alle precedenti pubblicazioni, e in particolare rispetto a quella del 2003, un documento assai più dettagliato e completo sul “rischio ipertensione” e sulle modalità di trattamento. L’obiettivo è che esse possano rappresentare non solo uno strumento educativo per il medico ma soprattutto una guida per l’approccio clinico quotidiano della malattia ipertensiva.
Mancia G. - Arenare F. - Grassi G.
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