Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 9 del 2002

La prima metà del diciannovesimo secolo ha visto un aumento continuo e massiccio della diffusione delle malattie cardiovascolari nel mondo occidentale, insieme a una riduzione della mortalità per malattie infettive, della mortalità infantile e delle malattie legate alla scarsa alimentazione e alla cattiva igiene. Questo fenomeno conseguì a un rapido aumento della patologia aterosclerotica, responsabile dell’infarto cardiaco e dell’ictus cerebrale.
Nella seconda metà del secolo la probabilità di ammalare di aterosclerosi e delle sue conseguenze cliniche non aumentò ulteriormente e nelle ultime decadi si ridusse, tuttavia la prevalenza della malattia si mantenne su livelli molto alti, tanto che oggi circa la metà delle morti è dovuta a cause cardiovascolari (più del doppio delle morti per tumore).
La cardiopatia ischemica, che è la più frequente patologia cardiovascolare, secondo dati recenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è oggi la più frequente causa di morte nel mondo e la quinta causa di disabilità. L’OMS stima che resterà la prima causa di morte e diventerà la prima causa di invalidità nel 2020.
Perché nonostante gli sforzi e le risorse impiegate per implementare la prevenzione e la disponibilità di farmaci efficaci il controllo della malattia è così insoddisfacente? Le ragioni sono numerose. La prima è il prolungamento della vita media. Vivere più a lungo espone a malattie degenerative, come l’aterosclerosi, che sono molto più frequenti nell’età media e avanzata. La seconda è che si muore meno per eventi cardiaci acuti, grazie all’efficacia delle terapie disponibili, ma si vive con un cuore ammalato.
La terza è che controlliamo poco e male i fattori di rischio per la patologia aterosclerotica.
Quanto contino i fattori di rischio è dimostrato platealmente da quanto sta avvenendo nei paesi in via di sviluppo. Là è in corso ora lo stesso processo vissuto nel mondo occidentale nella prima metà del secolo scorso: un aumento esponenziale della patologia cardiovascolare.
Anche le ragioni sono più o meno le stesse, moltiplicate dall’accelerazione che caratterizza i processi sociali nel nostro tempo. Le variazioni dello stile di vita sono la causa prevalente dell’epidemiologia aterosclerotica: inurbamento associato ad inattività fisica, uso di tabacco, dieta con prevalenza di grassi e proteine animali, stress. Popolazioni con patrimonio genetico invariato, quindi con una propensione invariata ad ammalare di patologia cardiovascolare, ammalano molto di più se esposti a fattori favorenti l’insorgenza della malattia.

Ad esempio, gruppi etnici come i giapponesi o latino-americani che hanno una prevalenza di malattia cardiovascolare relativamente bassa nei loro paesi, se vivono negli USA, dove la prevalenza di malattia è elevata, acquisiscono la probabilità di ammalare simile a quella della popolazione americana. Un altro esempio: in una ricerca recente (lo Strong Heart Study) condotta in oltre 3000 indiani d’America, in quattro riserve statunitensi geograficamente distanti tra loro, si è notato che il 51% è diabetico. In una popolazione selezionata dalle carestie ricorrenti, che ha sviluppato un corredo genetico-metabolico improntato al risparmio (tra l’altro mediante l’azione della insulina), una dieta abbondante e grassa porta al diabete, all’obesità, alla ipercolesterolemia.
Tutti fattori favorenti l’aterosclerosi. Ancora, gli afro-americani sono più predisposti dei bianchi all’ipertensione arteriosa. Probabilmente perché, maggiormente selezionati da condizioni di carenza d’acqua e disidratazione, sono più efficienti nel trattenere sodio (e quindi per meccanismo osmotico, acqua), un fattore favorente lo sviluppo di ipertensione, che è a sua volta un fattore favorente l’aterosclerosi.
Quindi il controllo dei fattori di rischio è di importanza chiave per la prevenzione cardiovascolare. Ho accennato ai fattori di rischio comportamentali: fumo, alimentazione, inattività fisica, stress.
Per ciascuno di questi sono noti i meccanismi attraverso i quali danneggiano i vasi sanguigni o favoriscono i danni indotti da altri fattori, ed è stata provata con certezza in studi epidemiologici quanto sia vantaggiosa la loro eliminazione. Non esistono farmaci per controllare questi fattori di rischio. Sono comportamentali, quindi vanno cambiati i comportamenti, lo stile di vita. Altri fattori sono più legati al profilo biologico individuale: tra questi un tasso elevato di colesterolo nel sangue, l’obesità, l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito.
Tutti possono essere in parte controllati anche comportamentalmente, (con la dieta, con l’attività fisica) ma per lo più vengono controllati con farmaci antipertensivi, statine, grassi polinsaturi ù-3 ecc…. Tuttavia i risultati delle campagne educative e per l’uso dei farmaci sono del tutto insoddisfacenti.
La Tabella riporta i dati nazionali di diffusione dei fattori di rischio nel nostro paese raccolti dall’Osservatorio epidemiologico nazionale a cura dell’Istituto Superiore di Sanità e dall’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO).

Ipertensione arteriosa franca e ipercolesterolemia rilevante sono presenti rispettivamente per oltre il 30% e per il 25% circa negli italiani. Sovrappeso, inattività fisica e fumo incidono in modo importante ovunque, ma in modo particolarmente marcato nel Sud del nostro paese.
L’efficacia solo parziale della terapia emerge con chiarezza dai dati dello stesso Osservatorio. Circa la metà dei pazienti ipertesi e due terzi degli ipercolesterolemici non vengono trattati, nella metà circa dei pazienti trattati il risultato in termini di riduzione del parametro target è insoddisfacente.
E’ evidente che resta molto da fare.

Luigi Tavazzi
Policlinico San Matteo
Divisione di Cardiologia - Pavia