da Leadership Medica n. 4 del 2002
Abstract
L’ascite rappresenta la più frequente complicanza della cirrosi epatica e la sua comparsa comporta una prognosi negativa.
Sul piano fisiopatologico, lo scompenso ascitico è conseguenza dell’ipertensione portale post-sinusoidale e della concomitante ritenzione renale di sodio.
La terapia medica dell’ascite, le cui linee-guida scaturiscono da Conferenze di consenso internazionali, si fonda sulla restrizione dell’apporto dietetico di sodio e sull’impiego di farmaci diuretici. In considerazione del ruolo fondamentale giocato dall’iperaldosteronismo secondario nella genesi della ritenzione renale di sodio, i diuretici anti-aldosteronici rappresentano i farmaci di prima scelta, ai quali associare un diuretico dell’ansa in caso di fallimento terapeutico.
La paracentesi terapeutica, associata ad adeguata espansione plasmatica, rappresenta l’approccio di scelta in caso di ascite massiva o refrattaria. Quest’ultima, definita come il versamento addominale non mobilizzabile con l’impiego di dieta iposodica, spironolattone (400 mg/die) e furosemide (160/die), compare in poco meno del 20% dei casi, specie nei portatori di cirrosi in stadio avanzato, ed ha prognosi grave.
Quando le paracentesi terapeutiche necessarie a controllare il riformarsi dell’ascite divengono particolarmente frequente, sono indicati approcci terapeutici alternativi. Le sonde peritoneo-venose sono ormai cadute in disuso, mentre vi è grande interesse circa l’impiego dello shunt intraepatico transgiugulare (TIPS).
Con questa metodica si sono ottenuti risultati assai incoraggianti, ma sono necessarie ulteriori esperienze, specie al fine di selezionare adeguatamente i pazienti. Infatti, il TIPS è certamente efficace nel controllare l’ascite, ma può peggiorare la funzionalità epatica residua ed influenzare negativamente la sopravvivenza in alcuni pazienti con cirrosi avanzata.
La sopravvivenza assicurata dal trapianto di fegato supera oggi quella della cirrosi con ascite, specie se refrattaria. Per questa ragione, la comparsa dello scompenso ascitico deve rappresentare un elemento per candidare a trapianto i pazienti, in assenza di controindicazioni.
La durata del tempo di atteso propria di ciascun Centro diviene un elemento cruciale per stabilire il momento nel quale effettuare questa opzione.
Sommario:
- Introduzione
- Cenni di Fisiopatologia
- Trattamento dell'ascite
- Ascite non complicata
- Ascite refrattaria
- Ruolo del trapianto di fegato nel trattamento dell'ascite
- Bibliografia
Introduzione
Lo scompenso ascitico rappresenta la più frequente complicanza della cirrosi compensata, con un’incidenza variabile dal 5 al 10% per anno (1,2). La sua comparsa rappresenta un punto cruciale nella storia naturale della cirrosi ed assume un preciso significato prognostico negativo: la sopravvivenza a 5 anni dei pazienti con cirrosi pre-ascitica varia dal 45 all’80%, mentre precipita al 15-40% in coloro che hanno sviluppato ascite (1-5).
Nella nostra esperienza, lo scompenso ascitico è la causa principale di ospedalizzazione dei pazienti affetti da cirrosi epatica (6) e spesso condiziona il prolungamento della degenza. Inoltre, esso provoca un deterioramento della vita lavorativa e di relazione, rende necessarie ripetute contatti con le strutture sanitarie ed impone la necessità di un trattamento cronico.
L’ascite costituisce, quindi, un problema clinico di notevole importanza, la cui gestione rappresenta non di rado l’impegno più rilevante per i medici che seguono i pazienti affetti da cirrosi in fase avanzata.
Tabella 1. Linee guida
Cenni di Fisiopatologia
La comparsa di ascite è strettamente legata all’alterazione dell’equilibrio delle forze di Starling nel microcircolo epatico.
Gli eventi fisiopatologici “locali”, tuttavia, sono in stretta relazione con eventi “sistemici”, alcuni dei quali precedono ed altri seguono lo scompenso ascitico. I fattori patogenetici locali ne favoriscono la comparsa e ne condizionano la compartimentalizzazione; i fattori sistemici contribuiscono ad iniziarne, favorirne e perpetuarne la formazione.
Il più importante fattore patogenetico locale è rappresentato dall’ipertensione portale post-sinusoidale: nei modelli animali di cirrosi si è dimostrato che vi è una relazione lineare fra entità della pressione portale e produzione di linfa epatica (7) e, nell’uomo, si sono identificati livelli di pressione portale al di sopra dei quali (25 mmHg) l’ascite è pressoché invariabilmente presente e sotto i quali (15 mmHg) è sempre assente (8).
L’evento sistemico che si associa e, anzi, precede la comparsa del versamento ascitico è rappresentato dalla ritenzione renale di sodio e di acqua (9). Queste alterazioni della funzionalità renale sono strettamente legate al particolare assetto emodinamico dei pazienti con cirrosi avanzata, che realizza il quadro della sindrome circolatoria iperdinamica (10).
Esso è dovuto a vasodilatazione arteriosa periferica, che si manifesta eminentemente a livello della circolazione splancnica, ed è tale da realizzare una riduzione della volemia efficace (od arteriosa). Si instaurano, quindi, fenomeni compensatori, quali l’aumento della gittata cardiaca e l’attivazione dei sistemi neuro-ormonali in grado di promuovere vasocostrizione e ritenzione renale di sodio ed acqua (sistema renina-angiotensina-aldosterone, sistema nervo adrenergico, endoteline, vasopressina) (11,12). Le cause della vasodilatazione non sono completamente definite; tuttavia, è chiaro che la reattività arteriolare agli stimoli vasocostrittori dei pazienti con cirrosi scompensata è deficitaria (13-16).
Questa anomalia è riferibile ad una aumentata produzione di vasodilatatori sistemici, quali il glucagone, ed autacoidi quali il nitrossido e le prostaglandine (17,18). Ne consegue che anche l’efficacia dei meccanismi compensatori ai quali si è fatto riferimento è parziale.
I pazienti con cirrosi avanzata, infatti, nonostante l’incremento della gittata cardiaca e della volemia totale e l’attivazione dei sistemi vasocostrittori, presentano tachicardia ed ipotensione arteriosa. In questo contesto si perpetua la ritenzione renale di sodio e di acqua e si va progressivamente deteriorando la perfusione renale, fino all’instaurarsi di insufficienza renale (19).
È importante ricordare che la ritenzione di sodio avviene prevalentemente a livello del nefrone distale, ad opera dell’iperaldosteronismo, nei pazienti con perfusione renale conservata, mentre quando questa declina il riassorbimento da parte del tubulo prossimale si fa progressivamente più marcato, fino a divenire prevalente (20).
In questo contesto si realizzano anche le premesse per la comparsa di iponatremia da diluizione: da un lato, infatti, la presenza di ipovolemia efficace eccita la produzione non osmotica ADH e, dall’altro, lo spiccato riassorbimento di sodio prossimale riduce il trasporto distale dello ione, interferendo negativamente sulla capacità di diluire la pre-urina (21).
Figura 1. Cirrosi del fegato: malattia cronica che causa danni al tessuto epatico, cicatrizzazione del fegato (fibrosi; rigenerazione nodulare), progressiva diminuzione della funzionalità epatica, quantità di fluidi eccessiva nell'addome (ascite), disordini di sanguinamento (coagulopatie), pressione aumentata nei vasi sanguigni (ipertensione portale), e disordini funzionali del cervello (encefalopatia epatica). L'uso eccessivo di alcool è la causa maggiore di cirrosi.
Trattamento dell'ascite
Nel corso degli anni sono state elaborate linee guida al trattamento dell’ascite che sono andate evolvendo parallelamente al miglioramento delle conoscenze sulla fisiopatologia di questa complicanza, anche se non mancano aspetti che attendono tuttora una compiuta definizione. Nell’esposizione successiva farò riferimento alle linee guida più recenti, pubblicate dall’American Association for the Study of Liver Diseases (22) e dall’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (23), nonché a quelle, in fase di preparazione definitiva, fatte proprie dell’International Ascites Club in occasione di una conferenza di consenso tenutasi a Dallas nel novembre 1999.
Ascite non complicata
Si definisce “non complicata” l’ascite non infetta e non associata ad insufficienza renale (sindrome epatorenale).
Riposo a letto.
L’assunzione della posizione eretta da parte dei pazienti con cirrosi ed ascite evoca un’intensa attivazione dei sistemi che promuovono vasocostrizione e ritenzione di sodio, così che la perfusione renale e la natriuresi peggiorano (24). Coerentemente con questi risultati, si è dimostrato che il mantenimento della posizione supina migliora la risposta ai diuretici (25). Tuttavia, in assenza di studi clinici controllati, non vi è, attualmente, l’indicazione al mantenimento prolungato della posizione supina.
Dieta iposodica.
Come si è ricordato, il più importante evento sistemico associato alla formazione di ascite è rappresentato dalla ritenzione renale di sodio e di acqua, cui consegue un bilancio positivo di fluidi. Su questo assunto si fonda l’impiego di regimi dietetici iposodici, volto a rendere negativo il bilancio idrosodico, il che avviene nel 10-15% dei casi, o a ridurne lo squilibrio, rallentando così la formazione di ascite e rendendo più efficace l’effetto dei diuretici. Il loro impiego è largamente condiviso (26) e raccomandato (22,23).
Tuttavia, questo ampio consenso non sembra essere supportato dagli studi clinici controllati che, per la verità, non sono numerosi né tutti esenti da bias metodologici.
Comunque, l’impiego di diete iposodiche non ha comportato un maggior tasso di risposta al trattamento diuretico (27-30); al contrario, sono emerse perplessità circa possibili effetti negativi connessi all’uso di diete particolarmente povere di sodio (20 mmol/die), che è seguito da una maggiore incidenza di insufficienza renale ed iponatremia (31). A ciò si aggiunga che la riduzione del contenuto dietetico di sodio a livelli inferiori a 40 mmol/die rende la dieta scarsamente palatabile e, cosa ancora più importante, diviene difficile approntare diete che assicurino un adeguato apporto nutrizionale al di sotto di questo limite.
Nella nostra esperienza (30), confrontando due regimi dietetici che fornivano, rispettivamente, 40 e 120 mmol di sodio/die, non si sono riscontrate differenze nel tasso di risposta al trattamento e nel dosaggio dei diuretici.
Inoltre, nei pazienti con valori di clearance della creatinina inferiori a 50 ml/min e/o iponatremia, la dieta iposodica ha reso più spesso necessario associare furosemide al diuretico anti-mineralcorticoide.
Essa, quindi, non ha assicurato un vantaggio rispetto ad un apporto sodico controllato e moderatamente contenuto ed è risultata svantaggiosa nei pazienti con velocità di filtrazione glomerulare compromessa ed iponatremia.
Nonostante questi risultati, anche se non viene più indiscriminatamente raccomandata una esasperata restrizione dietetica di sodio, il concetto della dieta iposodica è, evidentemente, radicato nel razionale e nelle abitudini cliniche del medico: alla Consensus Conference dell’International Ascites Club (Dallas, 1999) si è concluso che la dieta iposodica potrebbe non essere necessaria solo nei pazienti che sviluppano una soddisfacente risposta ai diuretici e si è posta l’indicazione ad una moderata restrizione del contenuto sodico della dieta (90 mmol/die; 5,4 g/die di sale); in alcuni casi si può rendere necessaria una riduzione più marcata.
Farmaci diuretici.
La dieta iposodica, da sola, può assicurare un bilancio sodico negativo; tuttavia, ciò avviene raramente ed in maniera imprevedibile. È, quindi, indicato l’impiego di diuretici, la cui scelta non può prescindere dai meccanismi patogenetici che stanno alla base della ritenzione renale di sodio. Nei pazienti con perfusione renale sufficientemente conservata (ad esempio: velocità di filtrazione glomerulare superiore a 60 ml/min), l’iperaldosteronismo gioca un ruolo di primaria importanza e la ritenzione di sodio si verifica principalmente a livello del nefrone distale (20): ne consegue che i diuretici anti-aldosteronici rappresentano i farmaci di prima scelta.
Anti-mineralocorticoidi.
L’efficacia dello spironolattone e del canrenoato di potassio è stata dimostrata da diversi studi clinici controllati (27,30,32,33). In questo contesto, lo spironolattone è risultato più efficace della furosemide, pur possedendo una potenza natriuretica intrinseca assai inferiore (33). Questo apparente paradosso si spiega tenendo conto che il sodio non riassorbito a livello della branca ascendente dell’ansa Henle per l’azione della furosemide viene riassorbito in quantità anche rilevante dal nefrone distale se non si antagonizza efficacemente l’iperaldosteronismo.
L’assorbimento intestinale dei farmaci anti-aldosteronici è facilitato dalla presenza di cibo. Va ricordato che l’aldosterone interagisce con un recettore citosolico e, successivamente, con un recettore localizzato a livello nucleare (34), con conseguente produzione di una proteina a lunga emivita che stimola il riassorbimento di sodio. Si spiega, così, la latenza di circa 48 ore dell’effetto farmacologico degli anti-mineralocorticoidi, che inibiscono competitivamente il legame dell’aldosterone al recettore citoplasmatico (34).
La dose iniziale raccomandata è di 100-200 mg/die (20,21).
La quantità di anti-aldosteronico da somministrare per promuovere natriuresi deve essere proporzionale all’entità dell’iperaldo steronismo (35); se necessario, il dosaggio va aumentato progressivamente ogni terzo giorno, fino a raggiungere 400 mg/die, che assicurano una risposta terapeutica in circa il 75% dei casi (30).
Ulteriori incrementi inducono natriuresi in un numero relativamente limitato di pazienti, a fronte di una maggiore incidenza di effetti collaterali. Il principale effetto collaterale dello spironolattone è rappresentato dalla ginecomastia dolente, che può essere sostanzialmente attenuato dall’impiego del suo derivato idrofilico canrenoato di potassio (36). L’acidosi metabolica (acidosi tubulare renale di tipo IV) diviene raramente un problema clinicamente rilevante (37).
Nei pazienti con insufficienza renale o, comunque, velocità di filtrazione glomerulare significativamente compromessa, gli anti-aldosteronici possono indurre grave iperkaliemia; in caso contrario, dosaggi anche elevati non provocano questa disionia (30).
Diuretici “distali”.
L’amiloride ed il triamterene bloccano i canali del sodio siti nella membana basolaterale delle cellule del tubulo collettore (38). Non vi sono studi clinici controllati circa l’impiego del trimterene. L’amiloride non è presente sul mercato farmaceutico italiano se non in associazione con l’idroclorotiazide; l’unico studio randomizzato che ne ha paragonato l’effetto a quello del canrenoato di potassio ne ha dimostrato una minore efficacia (39).
Furosemide.
Nei pazienti con cirrosi in stadio avanzato e perfusione renale compromessa (velocità di filtrazione glomerulare inferiore a 60 ml/min), il riassorbimento di sodio a livello del tubulo prossimale si fa progressivamente più importante, fino a diventare preminente (19). In queste circostanze, l’impiego isolato di farmaci anti-aldosteronici è destinato al fallimento e diviene necessaria l’associazione con diuretici attivi a livello della branca ascendente dell’ansa di Henle. L’impiego dei diuretici dell’ansa è formalmente indicato anche quando non si sia ottenuta risposta con la somministrazione di 400 mg/die di un farmaco anti-aldosteronico; nella pratica clinica, tuttavia, molti esperti associano la furosemide quando il trattamento con 200 mg/die di spironolattone non abbia ottenuto una soddisfacente risposta terapeutica (22).
La dose iniziale di furosemide, che rappresenta il diuretico dell’ansa impiegato più frequentemente, è di 25-50 mg/die (20-40 mg e.v.); se necessario, essa viene aumentata a giorni alterni fino ad un massimo di 150 mg/die (160 e.v.) (22,23).
Elevati dosaggi di furosemide possono indurre effetti collaterali anche gravi, quali deplezione di potassio, alcalosi metabolica ipocloremica, iponatremia ed iperammoniemia. La loro potente e brusca azione può indurre una contrazione emodinamicamente significativa della volemia, con conseguente deterioramento della perfusione renale (40,41).
È, quindi, opportuna un’attenta valutazione del bilancio di fluidi, che può essere agevolmente effettuato monitorizzando il peso corporeo; questo non deve ridursi più di 500 g/die in assenza di edemi, o di 1 Kg/die in presenza di edemi, più facilmente mobilizzabili dell’ascite. Gli studi clinici controllati hanno dimostrato che il trattamento medico basato sull’impiego di anti-mineralocorticoidi, furosemide e dieta iposodica assicurano il successo terapeutico in circa il 90% dei casi (30). Tuttavia, in pazienti non selezionati, il trattamento può fallire in oltre il 20% dei casi. La comparsa di effetti collaterali (natremia < 120 mmol/L; kaliemia > 6 o < 3,5 mmol/L; encefalopatia di grado II; insufficienza renale) impone la sospensione, almeno temporanea, del trattamento diuretico.
Altri diuretici dell’ansa.
Non vi sono studi clinici controllati che abbiano dimostrato la superiorità di altri diuretici dell’ansa (acido etacrinico, bumetanide, piretanide) rispetto alla furosemide. La torasemide (16 mg sono equipotenti rispetto a 40 mg di furosemide), caratterizzata da una più lunga durata d’azione, sembra essere più efficace e, soprattutto, meglio tollerata (42).
Paracentesi terapeutica. In presenza di un versamento ascitico massivo, che può essere causa diretta di complicanze quali insufficienza respiratoria restrittiva per sopraelevazione diaframmatica, rottura di un sacco erniario o strangolamento dell’ansa erniata e dolore da tensione della parete addominale, è indicata l’effettuazione di paracentesi evacuativa.
Questa può essere parziale e ripetuta in più giorni consecutivi o totale (43-46). Attualmente, è preferita la seconda opzione, una volta che gli studi clinici controllati ne hanno dimostrato la sicurezza. Queste esperienze hanno anche dimostrato che la paracentesi, rispetto al trattamento diuretico, elimina l’ascite più efficacemente, induce un minor numero di complicanze e riduce sensibilmente la durata dell’ospedalizzazione.
Per prevenire l’ipovolemia indotta dalla paracentesi, potenzialmente responsabile di ipotensione arteriosa, insufficienza renale, iponatremia, encefalopatia epatica (47), è di fondamentale importanza effettuare un’adeguata espansione plasmatica, che deve iniziare una volta completata la paracentesi, mediante: · albumina umana: 40 g per paracentesi parziali di 4-6 litri (43); · albumina umana: 6-8 g per ogni litro di ascite rimossa con paracentesi totale (44); · poligelina (Emagel): 150 ml per ogni litro di ascite rimossa con paracentesi totale (45); · destrano 70: 8 g per ogni litro di ascite rimossa con paracentesi totale (46); · soluzione fisiologica: 170 ml per ogni litro di ascite rimossa con paracentesi totale (48).
Fra queste sostanze, l’albumina umana assicura la migliore protezione dall’ipovolemia a seguito di paracentesi superiori ai 5 L, come si è dimostrato non solo attraverso la determinazione seriata dell’attività reninica plasmatica, indice sensibile di volemia efficace, ma anche sul piano clinico. Infatti, nei pazienti trattati con albumina si sono osservati una migliore stabilità dello stato emodinamico e della funzionalità renale, intervalli di tempo più prolungati fra paracentesi successive ed una migliore sopravvivenza rispetto a quelli trattati con destrano o poligelina (49). In caso di paracentesi di volume inferiore a 5 L, si possono, invece, impiegare espansori plasmatici artificiali con pari efficacia rispetto all’albumina umana (49).
Non vi sono, in pratica, controindicazioni alla paracentesi terapeutica, se si eccettua la grave coagulopatia che accompagna una coagulazione intravascolare disseminata. Nei pazienti con pregressi interventi chirurgici addominali, a causa della possibile presenza di aderenze, vi è un maggior rischio di perforazione di anse intestinali e di inefficacia della paracentesi (ascite loculata). La paracentesi non elimina la necessità del trattamento diuretico: in uno studio, l’ascite è nuovamente comparsa entro 4 settimane nel 18% dei pazienti che hanno ricevuto diuretici e nel 93% di coloro che hanno ricevuto placebo (50).
L’ascite è definita refrattaria quando non può essere mobilizzata o la sua ricomparsa dopo paracentesi terapeutica non può essere prevenuta dal trattamento medico (51). Si distinguono l’ascite resistente ai diuretici, in caso di mancata riposta ad un regime terapeutico comprendente dieta iposodica, spironolattone (400 mg/die) e furosemide (160 mg/die), e l’ascite intrattabile con diuretici, quando la terapia diuretica non è possibile a causa dell’insorgenza di gravi effetti collaterali.
Le cause della refrattarietà dell’ascite sono molteplici e non tutte definitivamente chiarite; un ruolo importante, comunque, è giocato dalla intensa attivazione di sistemi neuro-ormonali, in grado di antagonizzare l’azione dei diuretici, e dalla ridotta perfusione renale, che condiziona, da un lato, un prevalente riassorbimento di sodio a livello del tubulo renale prossimale, con ridotto trasporto distale dello ione, e, dall’altro, un insufficiente trasporto dei diuretici stessi ai rispettivi siti d’azione. Come si è ricordato, in base ai risultati degli studi clinici controllati, la prevalenza di ascite refrattaria varia dal 5 al 10%.
Tuttavia, tenendo conto che i pazienti arruolati sono soggetti ad una selezione che, in genere, esclude i casi con patologie particolarmente severe, è verosimile che, nella pratica clinica, tale prevalenza sia più elevata: nella nostra esperienza, maturata in un Centro di riferimento di II-III livello, essa raggiunge, infatti, circa il 20%. L’ascite refrattaria compare, di regola, nei pazienti con cirrosi avanzata e comporta una prognosi sfavorevole: come si è ricordato, la sopravvivenza dei pazienti ascitici è pari al 50% circa a due anni, mentre l’aspettativa di vita in caso di ascite refrattaria è ridotta al 50% a sei mesi (3).
Paracentesi terapeutica.
La paracentesi terapeutica rappresenta l’approccio di prima scelta per il trattamento dell’ascite refrattaria.
Va sottolineato, tuttavia, che tutti gli studi clinici controllati hanno valutato pazienti con ascite massiva o tesa, non necessariamente refrattaria. Non possiamo quindi ritenere con certezza che i risultati ottenuti siano automaticamente trasferibili al contesto dell’ascite refrattaria propriamente intesa.
Dal momento che questi pazienti sono quasi sempre affetti da cirrosi in stadio avanzato e presentano una marcata instabilità emodinamica, è necessario attenersi scrupolosamente alle misure atte a promuovere espansione plasmatica e può essere opportuno procedere ad una supplementazione volumetrica maggiore di quanto abitualmente indicato. Mentre i cirrotici con ascite tesa sottoposti a paracentesi possono poi essere gestiti con la terapia diuretica in oltre il 90% dei casi, ciò accade assai raramente nel caso di ascite refrattaria (6), che impone la ripetuta effettuazione di paracentesi.
Questo approccio può divenire, quindi, poco pratico e particolarmente costoso quando venga impiegata albumina umana per effettuare l’espansione plasmatica. Si rendono, perciò, necessari trattamenti alternativi, che devono essere presi in considerazione quando sono necessarie più di 3 paracentesi/mese.
Sonde peritoneo-venose.
Le sonde peritoneo-venose (Le-Veen, Denver) consistono in un catetere dotato di valvola unidirezionale; un’estremità viene posta in peritoneo e l’altra, attraverso un tunnel sottocutaneo, raggiunge la vena giugulare interna, permettendo così la rimozione dell’ascite e la sua reinfusione in circolo. L’espansione plasmatica che ne consegue migliora la perfusione renale e favorisce la diuresi (52). Studi clinici controllati hanno dimostrato che l’ospedalizzazione per ricomparsa di ascite è meno frequente nei pazienti con ascite massiva ai quali è stata applicata una sonda peritoneo-venosa rispetto a quelli trattati con paracentesi (53-55); tuttavia, la sopravvivenza non è risultata significativamente diversa.
Non è provato, anche se è verosimile, che tali risultati possano essere validi anche per i pazienti con ascite refrattaria. L’impiego di sonde peritoneo-venose in pazienti con cirrosi avanzata è gravato da elevate morbidità e mortalità: le complicanze immediate, riconducibili alla rapida infusione di notevoli quantità di liquido ascitico, comprendono l’edema polmonare acuto, la rottura di varici esofagee, la coagulazione intravascolare disseminata, la sepsi.
La loro incidenza si è ridotta rimuovendo il versamento peritoneale in fase pre-operatoria ed attuando terapia antibiotica profilattica.
Le complicanze a lungo termine sono rappresentate dalla dislocazione dello shunt, dalla sua ostruzione (» 50% in un anno), dalla trombosi cavale superiore e dalla peritonite plastica.
Per queste ragioni l’impiego di sonde peritoneo-venose non è indicato nei candidati a trapianto di fegato; più in generale, la loro utilizzazione è oggi in disuso.
Shunt porto-sistemico transgiugulare intraepatico (TIPS). Il TIPS è un mezzo sicuramente efficace per ridurre la pressione portale e rappresenta una definita indicazione per il trattamento delle emorragie digestive non dominabili con terapia medica e/o scleroterapia o legatura delle varici esofagee (56). L’applicazione del TIPS può dar luogo a complicanze immediate (sanguinamento intraperitoneale) e tardive (trombosi o stenosi dello shunt nel 50-80% dei casi ad un anno).
Un’altra conseguenza è rappresentata dallo sviluppo o peggioramento dell’encefalopatia epatica, il che avviene in circa il 65% dei casi; l’incidenza di questa complicanza è particolarmente elevata nei pazienti di età superiore a 60 anni o che presentano encefalopatia prima dell’applicazione dello shunt. Il razionale per l’impiego del TIPS nel trattamento dell’ascite refrattaria discende dal fatto che l’ipertensione portale gioca un ruolo fondamentale nella genesi dello scompenso ascitico; oltre a ciò, il TIPS migliora la volemia efficace e, quindi, la perfusione renale e la natriuresi (57-60). In effetti, numerosi studi non controllati ne hanno suggerito l’efficacia in questo contesto.
Gli studi clinici controllati che hanno comparato l’efficacia del TIPS rispetto alla paracentesi terapeutica nei pazienti con ascite refrattaria non sono numerosi. In un primo studio, effettuato su un numero limitato di casi, l’applicazione di TIPS ha portato al controllo del versamento ascitico, ma la mortalità dei pazienti sottoposti a TIPS è risultata significativamente maggiore (61) a causa dell’elevatissima mortalità registrata dei pazienti con cirrosi in stadio C di Child-Pugh.
Più recentemente, in uno studio condotto su 60 pazienti con ascite refrattaria o ricorrente, l’applicazione del TIPS si è dimostrata più efficace nel controllare l’ascite, mentre la sopravvivenza senza trapianto epatico a due anni effettivamente osservata non è stata significativamente diversa nei due gruppi (58 vs 32%). Tuttavia, l’analisi multivariata ha dimostrato che l’applicazione del TIPS era indipendentemente associata alla probabilità di sopravvivenza senza trapianto (62).
Anche se i risultati ottenuti sono quanto mai incoraggianti, l’indicazione del TIPS nei pazienti con ascite refrattaria necessita di ulteriori esperienze prima di essere definitivamente sancita. In particolare, devono ancora essere ben definite le caratteristiche dei pazienti nei quali è lecito attendersi il miglior risultato, ed è appunto su questo versante che si stanno sviluppando le ricerche. La risposta natriuretica sembra essere correlata al grado di funzionalità renale pre-esistente ed all’età del paziente: i soggetti con età superiore a 60 anni e con velocità di filtrazione glomerulare inferiore a 40 ml/min tendono ad avere una risposta natriuretica ritardata, oltre i tre mesi dall’applicazione dello shunt, od insoddisfacente (63,64). Non va poi dimenticato che il brusco incremento del pre-carico cardiaco provocato da questa procedura può precipitare un’insufficienza cardiaca in soggetti con cardiopatia subclinica.
Oltre a ciò, la diversione del sangue portale può contribuire ad un peggioramento della funzionalità epatica residua, il che può spiegare perché, in quasi tutte le esperienze, il TIPS può avere effetti deleteri nei pazienti con cirrosi in stadio avanzato (classe C di Child-Pugh) (65,66).
Al momento, perciò, le controindicazioni parziali all’applicazione del TIPS sono rappresentate dall’esistenza di encefalopatia epatica e disfunzione cardiaca pre-operatorie, dall’età superiore a 70 anni e da un punteggio secondo Child-Pugh superiore a 12 (Consensus Conference International Ascites Club, Dallas, 1999).
Trattamento dell’iponatremia. Si rende necessario con valori di natremia inferiori a 130 mmol/L e si fonda sulla restrizione dell’apporto idrico a 500-1.000 ml/die e, quando questa alterazione compare durante il trattamento con diuretici, sulla loro sospensione almeno temporanea. L’efficacia della restrizione idrica è spesso limitata, dal momento che non incide sui meccanismi patogenetici che provocano l’iponatremia.
Sotto questo profilo, potrebbe essere utile promuovere un miglioramento della volemia efficace e della perfusione renale mediante l’espansione plasmatica e l’impiego di vasocostrittori (glipressina, midodrina), ma non vi sono studi clinici controllati che abbiano saggiato l’efficacia di questo approccio terapeutico.
È, invece, controindicato l’impiego di soluzioni saline ipertoniche, che provocano sovraccarico di sodio e, in caso di rapida correzione dell’iponatremia, possono precipitare complicanze neurologiche irreversibili, quali la mielinolisi pontina (67).
In un futuro ormai prossimo, la disponibilità di farmaci acquaretici potrà rappresentare un valido mezzo per il trattamento dell’iponatremia nel paziente con cirrosi (21).
Ruolo del trapianto di fegato nel trattamento dell'ascite
Come abbiamo ricordato, la prognosi della cirrosi epatica con ascite, specie se refrattaria, è sfavorevole. La sopravvivenza a 5 ed 8 anni dei pazienti sottoposti a trapianto di fegato è pari a circa il 66 e 61% rispettivamente e si eleva considerevolmente (» 75% a 5 anni) in assenza di fattori avversi quali il trapianto per epatocarcinoma, insufficienza epatica acuta ed il re-trapianto (68). Tutti i pazienti con ascite e patologia epatica irreversibile dovrebbero, quindi, essere candidati al trapianto, in assenza di controindicazioni. Infatti, nonostante gli indubbi miglioramenti nella gestione dello scompenso ascitico, non vi è dimostrazione che i mezzi attualmente disponibili riescano a prolungare la sopravvivenza di questi pazienti.
La presenza pre-operatoria di ascite condiziona sfavorevolmente l’esito del trapianto: oltre a condizionare la comparsa di problemi emostatici di maggiore portata durante il trapianto (69), essa si associa ad una maggiore incidenza di insufficienza renale post-operatoria e ad un maggiore rischio di mortalità operatoria (70,71). Nonostante questi risultati, la sopravvivenza a lungo termine non è significativamente diversa rispetto a quella dei pazienti sottoposti a trapianto senza ascite (72).
Va anche ricordato che i pazienti con cirrosi avanzata candidati al trapianto presentano frequentemente (circa un quarto dei casi) insufficienza renale (sindrome epatorenale), che influisce ancor più negativamente sull’esito dell’intervento in termini di morbilità (complicanze settiche ed emorragiche, sindrome da insufficienza multiorganica), mortalità, compromissione della funzionalità renale post-operatoria con necessità di supporto dialitico, durata della permanenza nei reparti di terapia intensiva (73-75).
È, quindi, necessario compiere ogni sforzo per poter effettuare il trapianto prima che si instaurino sostanziali alterazioni della funzionalità renale. Diviene, perciò, di cruciale importanza la scelta del momento nel quale inserire i pazienti nella lista di attesa, il che dipende in buona parte dalla disponibilità di organi e dalla durata dell’attesa stessa.
Nei Centri nei quali tale durata è prolungata e, comunque, superiore ad 1 anno, la candidatura va posta quando si manifesta lo scompenso ascitico.
Altrimenti, potranno essere considerati altri fattori prognostici negativi, quali la refrattarietà dell’ascite, precedenti episodi di peritonite batterica spontanea, iponatremia, persistente ipotensione arteriosa (pressione arteriosa media inferiore ad 80 mmHg), escrezione renale di sodio inferiore a 10 mmol/die e la comparsa di sindrome epatorenale (Consensus Conference International Ascites Club, Dallas, 1999).
Mauro Bernardi
Semeiotica Medica
Policlinico S.Orsola-Malpighi Bologna
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