da Leadership Medica n. 6 del 2005
La mummia delle mummie è stata scoperta poco tempo fa a Saqqara (periferia ovest del Cairo) ed ha suscitato un interesse mediatico degno di nozze reali o dell’allunaggio del 1969 o comunque di eventi dal forte appeal giornalistico da veicolare in tutto l’orbe terracqueo. Zahi Hawass, onnipresente Indiana-Jones di marca egizio-hollywoodiana (comunque stimato Direttore del Consiglio Supremo delle Antichità Egizie), l’ha pomposamente e - speriamo - scherzosamente definita: “La mummia in technicolor, un cadavere che sarebbe stato assai gradito a Walt Disney”.
Questo bellissimo manufatto dell’Egittologia-spettacolo risale alla XXX Dinastia (all’epoca di Nectanebo I, attorno al 370 a. C., poco prima che in riva al Nilo arrivassero Alessandro il Grande e i suoi macedoni); eppure è stata trovata in un’area della vasta necropoli di Saqqara, solitamente ospitante sepolture dell’Antico Regno. Il reperto era interrato non distante dall’area sepolcrale di Teti, il primo faraone della VI Dinastia (regnò attorno al 2250 a.C.); una simile circostanza una volta di più mostra il riutilizzo di una stessa zona in periodi successivi e distanti secoli tra loro; ed evidenzia come il più vasto cimitero della storia dell’uomo, vale a dire l’area che da Abu Rawash attraverso Gizah, Saqqara, Abusir va fino a Dashur per più di 50 km, abbia ospitato più di tre millenni di morti, tutti scrupolosamente mummificati e seppelliti, chi in semplici fosse, chi in tombe straordinariamente decorate, chi addirittura in piramidi monumentali e dall’aspetto immortale.
La nuova mummia, pur appartenendo a un semplice funzionario di Nectanebo I (forse aveva anche incarichi sacerdotali, ma ne sapremo di più al momento della pubblicazione), è di forte impatto emotivo e splendida a vedersi - per quanto una mummia possa essere splendida. Un simile giudizio è spiegabile per il fatto che i colori, che presso gli antichi egizi erano stesi sui manufatti senza l’ausilio di fissativi, sono ancora perfettamente conservati in virtù del clima secco e offrono uno spaccato cromatico senza eguali. Il sarcofago più esterno è in rozzo legno; quello interno finemente decorato è in realtà un cartonnage antropomorfo, realizzato con bende di lino e fogli di papiri non più utilizzati e pensato per fasciare il cadavere come un vestito attillato: un simile prodotto era tipico delle ultime dinastie (e del periodo greco-romano) e permetteva ai parenti del caro estinto di risparmiare sul costo del materiale; un sarcofago in granito o anche solo in legno all’epoca raggiungeva infatti costi esorbitanti.
E sul cartonnage ecco scene di un’espressività mozzafiato, affreschi di grande pregio artistico tratti dalla variegata mitologia egizia; spicca Maat, dea della giustizia, incaricata di pesare il cuore del defunto su una bilancia speciale: su un piatto il muscolo cardiaco, sull’altra una piuma; se il cuore fosse risultato più pesante, il morto non sarebbe entrato nel regno dell’oltretomba eterno e sarebbe stato sbranato da un mostro. Qui Maat è raffigurata a braccia tese che assumono la forma di ali piumate; e viene descritta come divinità della Ragione, dell’Equilibrio e della Verità, valori che poi nella storia trasmetteva al faraone, unico depositario in terra delle funzioni di Maat. Molto finemente sono poi disegnati i quattro figli del dio-falco Horus, a sua volta figlio di Iside e Osiride, accanto a quadretti dettagliati del processo di mummificazione.
Insomma una mummia di scarsa importanza storica, ma di indiscutibile impatto mediatico, come già anticipato, e che ha la funzione di veicolare ancora una volta un’immagine positiva dell’Egitto in un momento geopoliticamente assai delicato per il Paese guidato da Hosni Mubarak. E’ infatti quasi inutile dire come il giudizio positivo e l’indubbio appeal verso l’Egitto dipendano esclusivamente da una regolare e costante attenzione archeologica, in grado da sola di seppellire nell’anonimato le nefandezze antidemocratiche e le cose poco nobili di un’amministrazione spesso redarguita dai governi occidentali per la sua brutalità; redarguita comunque in modo blando in quanto salda barriera all’estremismo islamico in un punto nodale di una regione sensibile.
Ecco che allora subito dopo torture ed efferatezze, ma anche dopo sanguinosi attentati (attribuiti con voluta superficialità a isolati attentatori) salta fuori la mummia, la statua, il manufatto di gran pregio a tamponare le ferite d’immagine e ad attirare i turisti come mosche al miele. Ed è un flusso continuo, con l’eccellente regia di Hawass e del suo team. Dopo la mummia colorata e a suggello di un tormentone che durava da mesi, con penose esibizioni pseudoscientifiche, Hawass ha mostrato il presunto volto di Tut Ankh Amon, così come l’ha ricostruito il computer sulla base di 1700 immagini scannerizzate.
E’ un volto verisimile, un po’ effeminato, rispettoso della nuca sporgente di Tut (era dolicocefalo), visto di fronte e di lato proprio come se si volesse schedare un serial killer. E poi, scandalo degli scandali!, in qualcuna di queste ricostruzioni il faraone-bambino appare truccato come una persona di facili costumi. Qualcuno tra i più attenti lettori ricorderà senz’altro che proprio Sua Maestà Zahi Hawass gridò allo scandalo quando gli studiosi del Museo di Berlino montarono su un corpo di pin up il famoso busto di Nefertiti là conservato; e che l’Egitto negò il visto (e lo nega ancora) a quei burloni rei di aver giocato con la storia. Ora in riva al Nilo, dimentichi delle critiche ai tedeschi, ripetono la stessa sceneggiata, sbeffeggiando il simbolo indiscusso, l’incarnazione stessa della civiltà dei faraoni (Tut Ankh Amon appunto): un ennesimo esempio di scarsa sensibilità e di memoria corta..
Dottor Aristide Malnati