La mostra non autorizzata che ha accolto più di 65.000 visitatori in quattro mesi
“Un artista chiamato Banksy” è l’esposizione organizzata al Palazzo dei Diamanti di Ferrara (nella foto - Lungoleno, CC BY-SA 2.5 via Wikimedia Commons) è durata dal 30 maggio al 27 settembre 2020.
Nonostante i tempi di pandemia mondiale, durante i quattro mesi di apertura della mostra, questa ha contato ben 65.138 visitatori. L’assessore Marco Gulinelli dichiara “sono numeri che portano Ferrara al vertice delle mostre italiane e che, nei fatti, collocano la mostra nelle prime posizioni a livello nazionale per presenze. Mostra che è stata la prima inaugurata in Italia dopo il lockdown”.
L’esposizione è stata curata da Stefano Antonelli, Gianluca Marziani e Acoris Andipa, è stata ideata e prodotta da MetaMorfosi Associazione Culturale in collaborazione con Ferrara Arte.
Banksy, artista così amato e tanto desiderato, che si presenta in ogni angolo del mondo in cui vuole mandare un messaggio. Nessuno lo ha mai visto in faccia, per questo è stato anche coniata la nomea di “artista senza volto”. Una presenza quasi eterea, che si materializza senza preavviso, lasciando dietro di sé opere d’arte su muri o su supporti inusuali. Non a caso la tecnica che usa è quella dello stencil, che gli permette di essere rapido, furtivo e sorprendente.
È originario di Bristol, nato intorno al 1974 (forse), ed al momento è considerato uno dei maggiori esponenti della street art, tanto che è stato inserito nel 2019 da ArtReview al quattordicesimo posto nella classifica delle cento personalità più influenti nel mondo dell’arte.
Secondo Stefano Antonelli e Gianluca Marziani “Banksy mette in discussione concetti come l’unicità, l’originalità, l’autorità e soprattutto la verità dell’opera tratteggiando una nuova visione sulla relazione tra opera e mercato, istituendo, di fatto, un nuovo statuto dell’opera arte, una nuova verità dell’arte stessa, ovvero l’opera originale non commerciabile”.
Quello che arriva a Palazzo dei Diamanti è un imponente evento che riunisce oltre 100 opere e oggetti originali dell’artista britannico, in un percorso espositivo che dà conto della sua intera produzione: vent’anni di attività che iniziano con i dipinti della primissima fase della sua carriera, fino agli esiti dello scorso anno con le opere provenienti da Dismaland (nella foto Dismaland - Byrion Smith from UK, CC BY 2.0 via Wikimedia Commons), come la scultura MickeySnake con Topolino inghiottito da un pitone. Ci sono poi gli stencil e, ovviamente, le serigrafie che Banksy considera vitali per diffondere i suoi messaggi. Un quadro raccontato esaurientemente in mostra da ricche schede testuali in grado di ricostruire storie, aneddoti, provenienze e relazioni, in un percorso di approfondimento ideato affinché il pubblico possa scoprire l’artista nelle sue molteplici angolazioni.
La mostra si presenta allo spettatore ben organizzata negli spazi del Palazzo dei Diamanti, rispettosa di tutte le misure di sicurezza anti-COVID.
Per l’allestimento è stato scelto un’ambientazione buia, in contrasto con le opere messe invece in risalto con illuminazioni che le contornano. Didascalie chiare, descrittive, alla giusta altezza per tutti gli utenti e ben leggibili guidano l’osservatore, cosa non scontata ma sempre molto apprezzata.
Ma tralasciando i tecnicismi, quello che si evince dal percorso della mostra è un senso di distaccamento emozionale dalle opere.
La sfida nella rappresentazione della street art sta proprio nel collocare il messaggio da strada, quello rivolto alle genti e al volgo, in uno spazio espositivo. Impresa ardua e quasi mai vinta. Infatti, è ben difficile rappresentare un artista di strada e bloccarlo in uno spazio chiuso, al buio, che non ricorda per nulla il background del mondo esterno. Esposte, non c’erano infatti mura dipinte, ma serigrafie, pitture e sculture.
Nonostante gli altri veicoli espressivi usati dall’artista, la sua poetica è diventata talmente forte, talmente potente ed incisiva che non lo si riuscirebbe comunque a pensare all’interno degli schemi. Spazi liberi e sconfinati, fanno parte della cornice delle sue opere d’arte che però, ahimè, non si potrebbero a mio parere relegare in una istituzione museale.
La mostra non è stata autorizzata da Banksy, come anche quelle precedenti di Milano e Genova: infatti non c’è il diretto coinvolgimento dell’artista, ma le opere provengono interamente da collezioni private. La decontestualizzazione della sua arte è un fenomeno che sta prendendo molto piede, dal momento che in due anni sono state organizzate ben sei esposizioni: Mudec a Milano, Palazzo Ducale di Genova, Palazzo dei Diamanti di Ferrara, il Chiostro del Bramante a Roma e Teatro degli Arcimboldi di Milano e nel Loggiato San Bartolomeo e a Palazzo Tricacria a Palermo da ottobre (le ultime due non compaiono tra le mostre “fake” del sito per il momento).
Egli si esprime così a riguardo “L’arte che guardiamo è fatta da solo pochi eletti. Un piccolo gruppo crea, promuove, acquista, mostra e decide il successo dell’Arte. Solo poche centinaia di persone nel mondo hanno realmente voce in capitolo. Quando vai in una galleria d’arte sei semplicemente un turista che guarda la bacheca dei trofei di un ristretto numero di milionari”.
La “situazione Banksy” però sfugge di mano, perché nolente delle dinamiche nel mondo dell’arte, entra a far parte comunque del sistema e di ciò che ne consegue. Mostre, merchandising non autorizzati, aste, compravendite e creazioni di falsi. Tanto grande il giro che si viene a creare, che nasce una società senza scopo di lucro, la Pest Control Office (Pest Control Office - https://pestcontroloffice.com/), che vigila e monitora le opere dell’artista.
Il genio artistico del nostro tempo ha inventato appositamente un sistema crittografato in cui viene dato un certificato di autenticazione con mezza banconota falsa ma codificata e collegata direttamente al nome del possessore dell’opera, mentre l’altra metà viene custodita dalla Pest Control Office.
Ma il vero possessore delle opere di Banksy è il popolo, non il collezionista privato, non l’istituzione museale né Banksy stesso probabilmente. Tant’è che una controversia con la società Full Color Black, ha portato alla luce anche problematiche di proprietà e di diritto d’autore in virtù dell’anonimato dell’artista. Il soggetto “The Flower Thrower” registrato come marchio proprio da Banksy, è stato vittima della sentenza dell’Ufficio Unione Europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) che ha dichiarato che con l’anonimato non esiste la proprietà intellettuale. Di conseguenza, “proteggere i suoi diritti di proprietà intellettuale richiederebbe la perdita dell’anonimato, che lo danneggerebbe” specifica il testo EUIPO.
La risposta dell’artista? Aprire un proprio temporary shop online (Gross Domestic Product - https://www.grossdomesticproduct.com/) in cui in poco tempo ha venduto poche sue opere eseguite artigianalmente.
Neanche il suo intento di distruggere l’opera iconica “Girl with Balloon” al momento della battuta all’asta, è riuscito. Il video, presentato all’entrata dell’esposizione di Ferrara, mostra chiaramente il momento di sgomento, incredulità ed impotenza quasi ipnotica che ha coinvolto il pubblico e gli addetti ai lavori in quel preciso istante. L’inceppo del sistema del mangiacarte inserito all’interno della cornice, era però inaspettato e l’acquirente della sua nuova opera si è ritrovata con un pezzo da collezione inatteso dal valore quasi raddoppiato. Anzi quella che è avvenuta è stata una vera e propria creazione di una nuova opera d’arte, quasi una performance, che ha imposto addirittura un cambiamento nel nome in “Love is in the bin”.
L’intento di Banksy è quello di mostrare la realtà, nuda e cruda. D’impatto infatti è ogni opera da lui eseguita, che mette in luce le contraddizioni del mondo contemporaneo, delle guerre, del capitalismo e dei governi. “I graffiti sono stati utilizzati per dare inizio a rivoluzioni, fermare le guerre e, in generale, sono la voce delle persone non ascoltate”. Lo si potrebbe chiamare “cronista di attualità”, che invece della penna adopera gli stencil e l’effetto sorpresa, per la rappresentazione della realtà che ci circonda ma che ci fa riflettere, perché ogni “cronaca” ha anche un’interpretazione della visione dell’artista.
Nella mostra di Ferrara, come quella precedente di Milano a cui ho partecipato, la poetica underground dell’artista non traspare in tutta la sua potenza. Ma come potrebbe risultare possibile?
È l’artista del momento, ineguagliabile e di fama internazionale. La tentazione di prenderne possesso è forte e ci si cede abbastanza facilmente. Ha davvero senso però, strappare la poetica del messaggio di un artista così definito e appenderlo ad un muro?
Dal mio punto di vista, è stato inevitabile però, che Ferrara sia stata in grado di far sentire lo spettatore a disagio, quasi in colpa per aver pagato un biglietto per entrare a vedere esposto un artista contro il sistema e soprattutto non autorizzata da egli stesso. Un sistema contro il sistema di chi è contro il sistema, forse segue anche la filosofia, di non “eseguire gli ordini”. Sarà stato quindi l’intento dei curatori far sì che i visitatori si sentissero in imbarazzo a partecipare a cotanta spettacolarizzazione pacata?
Il vero proprietario delle opere di Banksy è la popolazione, ma non perché l’arte di Banksy si compra, ma perché si vive. Il linguaggio che usa è universale, non serve sapere una lingua specifica o una formazione critico-artistica per comprenderne il messaggio. Con precisione di ispirazione matematica, fa riflettere, fa rabbia, fa commuovere e arriva con sgomento dritto al cuore. Potremmo considerarlo un precursore della realtà immersiva, perché non servono visori VR per immergersi nell’animo e fare i conti con la propria coscienza.
Dott.ssa Sonia Spiniello
Art Care Expert
Bibliografia
-https://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/arte/2020/09/29/mostre-oltre-65mila-visitatori-per-banksy-a-ferrara_04e7e36c-2495-4a36-b7e5-0675df18eee4.html
- https://www.chiostrodelbramante.it/post_mostra/banksy/
- https://www.repubblica.it/esteri/2020/09/18/news/banksy_perde_marchio_flower_launcher_gb_aziende_proprieta_intellettuale_brevetti_ue-267707631/
- https://www.gqitalia.it/lifestyle/design/2018/10/08/banksy-opera-che-si-e-autodistrutta-ha-raddoppiato-il-suo-valore