da Leadership Medica n. 3 del 2000
Internet: poiché i numeri che riguardano la rete stanno cambiando alla velocità del suono e quindi rischierei di essere troppo approssimativo tra quanto scrivo e quando leggete, mi terrò sulle generali.
Sono ancora la maggior parte gli italiani senza computer e quindi senza navigazione in rete, anche se appunto per noi come per tutta Europa, sulle tracce degli Stati Uniti, la progressione è geometrica.
Ebbene, pare che in America l'ottanta per cento di quelle folle di internauti sia costituito da chi va in rete per comperare. Per comperare ormai qualunque cosa. E per vendere, qualche volta.
Insomma, l'aspetto marketing è sovrano. Di qui l'idea italiana di correre dietro al trading on line di borsa, alle-commerce, il commercio elettronico, e tutte le voci del sistema. Un sistema pensato a misura dei clienti, dei consumatori.
Non è un caso che i “portali”, cioè i supersiti di internet, i contenitori, le case-madri ecc. siano finora nati, stiano crescendo, si stiano moltiplicando per questo. E che anche la fenomenale opportunità per l'informazione, che ha già fatto scorrere fiumi, Mississippi di inchiostro anche elettronico su aspetti che sarebbero decisivi come per esempio la libertà da censure, l'indipendenza creativa da padroni, e l'abbordabilità dei costi, ecc. si stia rivelando “semplicemente” un veicolo commerciale molto più spinto.
Mi spiego: forse non è azzardato pensare che il “portale” di Espresso e Repubblica, Kataweb, serva essenzialmente a offrire possibilità di investimenti pubblicitari, naturalmente inseriti in contesti informativi. Ma ormai la torta è così grossa anche lì, che nessuno si stranisce se, quando vai a proporre una pagina di pubblicità sui giornali stampati, ti rispondono “si, ma devi farla anche via Internet”.
Saremmo quindi semplicemente degli emuli quantitativamente ridotti degli americani. Faccio una modestissima, swiftiana proposta. Fermiamoci a riflettere un momento. Perché se è vero che Internet è Internet dovunque, ed è questo il senso copernicano della realtà della rete, noi “non” siamo gli americani, non lo saremo ancora per un po' di tempo, forse non lo saremo mai del tutto ecc.ecc.
Per ora, uno dei siti più “cliccati” (lascio le virgolette in modo che l'uso comune del termine lo faccia metabolizzare senza di esse) da noi è “Barzellette”. Ma sì, avete letto bene, www.barzellette.it. In esso dei ragazzi raccontano barzellette, non vendono nulla, vengono “visitati” con sorprendente, “megabitica” frequenza.
Non credo sia un caso: giriamo insieme per i negozi delle città, cioè i luoghi più vicini ai siti nel rapporto realtà fisica/realtà virtuale. La maggior parte di noi guarda le vetrine. Negli Stati Uniti le distanze, l'uso della carta di credito, l'abitudine a comprare per comprare si è tradotta e identificata nell'analoga attitudine in rete. Ma se gli americani tout court “contengono” gli stessi navigatori, e ciò vale lo stesso per noi, sarà diverso l'uso della rete che ci aspetta, almeno per un certo lasso di tempo. Quelli oltreoceano comprano, noi visitiamo, navighiamo, ci informiamo.
Se è così, Internet ci dà la possibilità di parlare, destandolo se è in sonno da depressione, all'italiano intero, a quello che forse potrebbe essere più informato, più stimolato culturalmente, più provocato politicamente. Insomma, l'incontro tra una civiltà di memoria, che sempre più la sta perdendo, e un mezzo che sembra azzerarla potrebbe dare da noi frutti ben più maturi e non soltanto commercializzabili, potrebbe far risparmiare tempo all'americana per investirlo all'italiana, all'Europa. Mi aspetto dunque anche una qualità di siti, una semplicità di messaggi, una varietà di comunicazioni che abbia sì anche la sue veste di marketing ma possegga una natura gratuita, che veicoli il mezzo identificandolo con il fine, quello di saperne di più.
Mi aspetto, o mi piacerebbe che si andasse verso una rete di consapevolezza, un Internet di coscienza, non sempre e da subito mercato, o città-mercato, ma città-città, con la sua complessità che comprende il mercato senza esserne totalmente compresa.
Dicono che dovremo a breve riconsiderare l'homo erectus, ma più buono a definirci perché il computer potrebbe trasformarci in altro, in uomini seduti, che atrofizzeranno certi muscoli e ne svilupperanno solo alcuni.
Ebbene, se ci attende questa mutazione genetica, vorrei che almeno via Internet se ne parlasse, che insomma il computer criticasse (vox media)il computer.
Mi sembrerebbe indispensabile e più umano. Anzi, e-Human...
Oliviero Beha