da Leadership Medica n. 9 del 2003
Inoltre lo scrittore ha saputo coniugare l’idea e lo scopo politico con la sua poetica cercando un punto di riferimento estetico che potesse raggiungere una validità di espressione.
In Brecht è evidente la struttura e la tecnica del teatro espressionista, coabitano con il gusto del grottesco, della satira corrosiva e dell’analisi traslucida della quotidianità con tutti i vizi, la decadenza di una società corrotta o corruttibile.
Tutto ciò è evidente nelle sue prime opere e in particolare in “Trommeln in der Nacht” (Tamburi nella notte) del 1922 dove la Germania del primo dopoguerra viene analizzata con cruda realtà, senza dimenticare il dramma storico: “Das Leben Eduards II von England” (La vita di Edoardo II d’Inghilterra) del 1924, rimaneggiato da Marlowe ed in altri lavori di pari importanza. Aldilà della sua produzione teatrale è importante puntualizzare la collaborazione con il compositore Kurt Weill, con il quale scrisse pagine immortali dell’opera del XX secolo.
E’ proprio con “Mahagonny” del 1929 e con “Dreigroschenoper” (L’opera da tre soldi) del 1931 che si è testimoni di una perfetta coesione fra testo e musica. Per quanto riguarda Weill troviamo che nel primo dopoguerra si crearono varie direzioni che influenzarono notevolmente il futuro della musica; per esempio la “Neue sachlickeit” (la nuova obiettività) che si ispirò ad una forma di denuncia e di presa di coscienza dei problemi della società. Di conseguenza la musica si avvicinò alle altre forme d’arte, formando un fronte unico che vide la pittura di Kandinskij come propulsore di un radicale cambiamento e l’architettura Walter Groupius, fondatore e artefice del famoso “Bauhaus”.
Nell’altro caso Schönberg era l’alternativa, svincolata però dal contesto sociale.
E’ in questa dimensione che Weill si trovò ad operare, insieme a Paul Hindemith. Egli fu un compositore che si identificò con la realtà storica, utilizzando nelle proprie composizioni frammenti sonori della società del tempo e cioè temi di cabaret e canzoni di strada. In tutto questo stato di “anarchia” culturale i compositori si trovarono in balia di se stessi, anche se l’idea comune che si stava delineando era stata tracciata da Gropius in una sua frase ormai entrata nella storia: “L’arte non è una professione. Non ci è alcuna differenza essenziale tra l’artista e l’artigiano. L’artista non è che un artigiano ispirato… Formiamo, dunque, uma comunità di artefici senza la distinzione di classe che alza un’arrogante barriera tra l’artigiano e l’artista” (1)
Weill se non avesse incontrato Bertold Brecht avrebbe cambiato il suo stile?
La risposta la si trova nel libro di Luigi Rognoni, nel quale egli scrive che: “K.W. ha scritto musica atonale ma giunto al limite di tale esperienza, anziché organizzarla, come faranno altri musicisti, attraverso una nuova sintassi sonora (la dodecafonia), cambia bruscamente rotta, convinto, come Brecht, della necessità di usare una forma di linguaggio che sia accessibile a tutti e che parli dei comuni sentimenti e delle comuni aspirazioni dell’uomo ad una vita migliore, di fratellanza e di giustizia sociale” (2).
La vera collaborazione con Brecht ebbe inizio nel 1927 con un breve ad una “Songspiel” che anticipa un lavoro più ampio ed ispirato, il quale prende il titolo di: “Aufstieg” , vera ricerca espressionistica, per aprire un dialogo con la musica teatrale e da commento. Brecht rende eccessivamente radicale il suo pensiero teatrale, in quanto egli tende a utilizzare gli schemi del teatro epico con lo scopo di mettere in crisi le tradizioni, cambiando alla base ogni schema precostituito. Invece Weill crede nel rinnovamento di elementi già esistenti, per cui si instaura una tensione che porterà alla crisi della loro collaborazione. Brecht persegue la concretezza, testimoniando la volontà di sradicare il romanticismo del teatro. Lo spettatore diventa il protagonista riuscendo a vivere il prima persona quello che si sta verificando sul palcoscenico.
Anche un altro lavoro testimonia la sua continua evoluzione e “L’Opera da tre soldi” si dimostra un capolavoro di eterogeneità che metta luce sulle intenzioni del compositore riguardo alla teatralità musicale di inizio secolo.
Weill riesce ad accostare elementi tra di loro contrastanti, utilizzando un montaggio che persegue un medesimo risultato visto da una differente prospettiva. Da creatore Weill diventa spettatore, chiedendosi più volte che cosa si aspettava il pubblico ormai informato e sollecitato sui cambiamenti che stavano avvenendo.
Il lavoro fu rappresentato il 31 agosto 1928 al Schiffbauderman Theater di Berlino ottenne un buon successo rendendo ufficiale la famosa collaborazione fra i due. Il brano prese lo spunto dalla settecentesca “Beggar’s Opera” inglese di John Gay apparsa a Londra nel 1728. Esiste, da come si può notare, un antecedente che rispecchia a distanza di due secoli il medesimo scopo di riscattare una parte di potenziali ascoltatori volutamente dimenticati.
“The Beggar’s Opera” conosciuta anche come “L’Opera del mendicante” fu scritta da Gay e da Johan Christopher Pepusch per la musica. Brecht modella il testo adottandolo ad un tempo moderno. Un ideale collegamento con il passato, filtrato attraverso le conquiste e le innovazioni avvenute nei secoli.
Anche Boris Porena accomuna più volte Weill a Britten, non dimenticando di ricordare Brecht: “Dopo la ripresa del 1920 (del lavoro di Gay) è noto infatti come la famosa Ballad opera sia caduta sotto l’unghia leonina di Brecht e quella, meno leonina, ma pur sempre affilatissima di Weill”.
Anche il costante passaggio dallo stile jazzistico a quello colto viene pensato da Weill e Brech come un elemento frantumatore di un discorso classico. Il melodramma non ha più alcuna funzione storica o fantasiosa e la musica vive una nuova realtà, meno favolistica. L’ironia e la satira dominano costantemente commentando il presente e cioè la Berlino del primo novecento. Anche l’attore cambia il suo ruolo classico e Brecht in una sua frase definisce la difficile funzione dell’attore-cantante, riprendendo l’ormai famoso “Sprechgesang”: “L’attore non ricopre il ruolo voluto dalla tradizione, ma deve cantare, ballare.
Quindi deve saper creare uno spettacolo ‘totale’ distruggendo gli schemi e le programmazioni imposte da una cultura élitaria. L’attore deve comunicare il messaggio, in questo caso di Brecht al pubblico che non raccoglie passivamente la trama, ma la vive da protagonista. Sempre Brecht sottolinea in modo polemico che: “..Le opere comuni non sono fatte per il pubblico, ma per le organizzazioni teatrali”.
Per comprendere più profondamente il messaggio di Brecht, possiamo citare particolarmente due brani che evidenziano la differente ambientazione psicologica che Weill viveva all’interno della medesima composizione. Nel primo caso si tratta di “Salomon Song” interpretata da Jenny. Una pagina dolce, morbida che rievoca periodi passati, temi tranquilli che si perdono nella fanciullezza e nel gioco più ingenuo.
Tutto ciò era voluto e ricercato anche da Brecht che il più delle volte esigeva da Weill queste letture musicali. Indubbiamente il rapporto fra i due personaggi fu importante per commentare e cristallizzare un momento storico, sociale del nostro secolo. L’unico neo, se così lo vogliamo chiamare, consiste nelle numerose interferenze di Brecht nei confronti del lavoro di Weill, creando tensioni che più volte furono stemperate da Weill stesso. Rimane, comunque, il fatto che il binomio si è dimostrato nel tempo vincente per una propensione alla polemica costruttiva, trascurando, volutamente, le strade del riformismo “tout-court” e della moda.
Adriano Bassi