da Leadership Medica n. 7 del 2001
Sommario
L’infertilità rappresenta un problema di salute sociale dal momento che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, circa il 15% delle coppie in età fertile nei paesi occidentali ne è affetta. (Greenhall e Vessey, 1990; Bhasin et al., 1994; Howards, 1995; Dawson e Whitfield, 1996; de Kretser, 1997). In Italia si può stimare che circa 60 mila coppie l’anno siano affette da infertilità. Fattori maschili e femminili contribuiscono in percentuale analoga a determinare l’infertilità di una coppia. Nonostante la prevalenza dell’infertilità, la ricerca si è focalizzata solo di recente sui fattori genetici che possono causare infertilità maschile e femminile. É ormai chiaro che alterazioni genetiche sono presenti in circa il 15% degli uomini e il 10% delle donne infertili, ed includono sia alterazioni cromosomiche che mutazioni di singoli geni. Alcuni fattori genetici sono stati studiati a fondo e molti geni collegati alla fertilità sono stati clonati, altri sono stati assegnati a specifiche regioni cromosomiche, ma la maggior parte è tuttora ignota. La ricerca genetica in questo campo ha subito un notevole sviluppo negli ultimi anni ed ha seguito i progressi delle tecniche di fecondazione in vitro, che attualmente permettono la gravidanza in un gran numero di coppie infertili. Queste tecniche tuttavia rendono possibile che alterazioni genetiche con probabilità siano trasmesse ai figli e tale rischio è in molti casi veramente elevato. L’iniezione intracitoplasmatica del singolo spermatozoo (ICSI) ha suscitato i dubbi maggiori circa un possibile aumento di malattie genetiche nei figli, poichè essa oltrepassa i normali meccanismi fisiologici della fertilizzazione. Tuttavia il rischio di trasmissione riguarda anche la fertilizzazione in vitro (FIVET) classica e l’inseminazione endouterina (IUI), poiché anche soggetti infertili normozoospermici possono essere portatori di anomalie genetiche (per esempio 47,XYY). La selezione naturale previene la trasmissione di mutazioni che provocano infertilità, mentre tale meccanismo protettivo viene sorpassato dalle tecniche di riproduzione assistita. Il rischio è quindi che tali difetti genetici persistano o addirittura aumentino nelle generazioni future. L’identificazione di fattori genetici in una coppia infertile è pertanto obbligatoria sia per una diagnosi ed un trattamento accurati che ai fini prognostici. La mancanza di regole nazionali ed internazionali per la diagnosi di difetti genetici nella coppia infertile ha spinto i ricercatori e i clinici italiani che si occupano di medicina della riproduzione a mettere a punto le seguenti linee guida: Il gruppo di esperti include le diverse discipline coinvolte nella riproduzione umana (ginecologia, andrologia, endocrinologia, biologia della riproduzione, urologia, embriologia e genetica) e rappresenta dodici società scientifiche nazionali con l’apporto di quattro internazionali. Il Comitato ha lavorato per cinque mesi ed in Febbraio 2001 i risultati sono stati discussi ad un convegno nazionale. La bozza conclusiva è rimasta disponibile su Internet per un altro mese per ulteriori commenti e poi è stato preparato il documento definitivo. Le linee guida rappresentano quindi una “consensus” approvata dalla comunità italiana degli addetti ai lavori in riproduzione umana. Nelle linee guida non sono state incluse tutte le cause di infertilità, ma,solamente quelle clinicamente rilevanti, sia in termini di prevalenza nell’infertilità maschile e femminile che come rischio di trasmissione ai figli. Pertanto le sindromi genetiche in cui l’infertilità rappresenta solamente una manifestazione secondaria non sono state incluse, poichè in questi casi il medico della riproduzione svolge un ruolo minore o nessun ruolo. Inoltre le linee guida sono state concepite per un uso clinico e quindi non analizzano gli aspetti tecnici legati a ciascun test genetico. Poiché questo campo è in rapida espansione le line guida e l’approccio diagnostico proposto qui di seguito saranno periodicamente rivisti. Come spiegato di seguito alcuni test genetici sono suggeriti dal Comitato come obbligatori mentre altri sono da considerarsi facoltativi.
Le conoscenze sui meccanismi molecolari della spermatogenesi sono in rapida evoluzione ed è probabile che molti altri geni coinvolti nell’infertilità maschile verranno identificati nei prossimi anni. Le ricerche più recenti hanno permesso di chiarire che diverse alterazioni genetiche hanno un’importante rilevanza clinica, sia come causa di infertilità maschile che in termini di rischio di trasmissione mediante metodiche di riproduzione assistita. Queste alterazioni includono sia aberrazioni cromosomiche che mutazioni di specifici geni. Inoltre, altre mutazioni geniche (per esempio quelle dei geni delle subunità b dell’LH e dell’FSH, dei recettori per FSH e LH, altri geni coinvolti nello sviluppo sessuale) sembrano svolgere un ruolo minore e ulteriori studi sono necessari per chiarire la loro importanza clinica. Le linee guida pertanto non considerano queste mutazioni, che potranno tuttavia essere inserite in futuro se i dati scientifici chiariranno la loro importanza. La tabella 1 riassume le cause genetiche di infertilità maschile che saranno discusse oltre. La tabella 2 elenca i test genetici che il Comitato raccomanda di includere nell’uso clinico. L’infertilità maschile è stata classificata sulla base dell’analisi seminale (normo-, oligo-, azoospermia) anche se infertilità e alterazione seminale non sono sinonimi. Tuttavia questa classificazione rispecchia la pratica clinica poichè i pazienti candidati a tecniche di riproduzione assistita sono spesso classificati in base alle caratteristiche seminali. Altri criteri includono il profilo ormonale, l’anamnesi, eventuali anomalie associate e altri dati che vanno valutati nel soggetto infertile. Infatti la diagnosi ed il counselling genetico devono sempre far parte di un’estesa valutazione clinica dei pazienti. Analisi cliniche di base, come la ricerca di infezioni seminali o di anticorpi anti-spermatozoi, devono quindi sempre precedere qualsiasi analisi genetica. In ogni caso una valutazione genetica è raccomandata anche quando l’infertilità è apparentemente collegata ad altre cause ovvie di infertilità (per esempio varicocele o criptorchidismo), poiché diverse cause possono coesistere.
È noto da più di 20 anni (Chandley, 1979) che la prevalenza di anomalie cromosomiche è maggiore nei maschi infertili e la percentuale è inversamente proporzionale alla conta spermatica. Rispetto alla popolazione generale le alterazioni cromosomiche sono molto comuni nei partner maschili di coppie sottoposte a ICSI (Peshka et al., 1999; Gekas et al., 2001). Sono stati condotti diversi studi in passato dai quali risulta che l’incidenza di fattori cromosomici nei soggetti infertili è compresa tra il 2 e l’8% con un valore medio di circa il 5% (Chandley, 1979; Retief et al., 1984; Chandley e Hargreave, 1996; Van Assche et al., 1996; Yoshida et al., 1996; Meschede et al., 1998; Tuerlings et al., 1998; Van der Ven et al., 1998; Peshka et al., 1999; Antonelli et al., 2000; Egozcue et al., 2000; Hargreave, 2000; Gekas et al., 2001). Questa percentuale aumenta fino al 15% nei soggetti azoospermici nei quali l’anomalia maggiore è rappresentata dall’aneuploidia 47,XXY. Le alterazioni dei cromosomi sessuali sono l’anomalia maggiore nei soggetti azoospermici, ma nei pazienti infertili si possono riscontrare anche diverse anomalie strutturali degli autosomi, che includono le traslocazioni Robertsoniane e reciproche, inversioni, duplicazioni e delezioni. Nella tabella 1 sono anche inseriti gli eteromorfismi cromosomici che tuttavia rappresentano varianti normali senza rilevanza clinica. Nei soggetti infertili sottoposti ad ICSI in Francia il 3.7% ha anomalie dei cromosomi sessuali ed il 2.4% ha anomalie degli autosomi nel (Gekas et al., 2001). Nei soggetti azoospermici le anomalie dei cromosomi sessuali si ritrovano nel 15.9% e anomalie degli autosomi nel 2.8% dei casi. È interessante notare che nei soggetti normozoospermici la percentuale delle alterazioni cromosomiche era del 3.0%, comprendente aneuploidie dei cromosomi sessuali (per esempio 47,XXY e mosaicismi) (1.4%) e anomalie strutturali bilanciate (1.6%). Studi preliminari sulle gravidanze ottenute mediante ICSI suggeriscono che le alterazioni dei cromosomi sessuali sono più frequenti rispetto alle gravidanze naturali (Jacobs et al., 1992; In’t Veld et al., 1995; Liebaers et al., 1995a; Van Opstal et al., 1997). In generale i bambini nati mediante ICSI hanno un più alto rischio di anomalie cromosomiche (Liebaers et al., 1995a; 1995b; Westergaard et al., 1999; Loft et al., 1999). Anche se i dati sono ancora contrastanti sembra che la percentuale di alterazioni cromosomiche nei nati ICSI sia nell’ordine del 3%, la metà delle quali viene trasmesso dal padre. Data la frequenza delle aberrazioni cromosomiche nei soggetti infertili con testicolopatia grave, il Comitato ha raccomandato l’analisi del cariotipo durante il processo diagnostico dei soggetti con azoospermia e grave oligozoospermia. In questi pazienti lo screening citogenetico è obbligatorio prima di qualsiasi forma di riproduzione assistita. Inoltre l’analisi del cariotipo dovrebbe essere eseguito nei pazienti candidati a metodiche di fecondazione assistita (inclusa l’inseminazione intrauterina) anche quando i parametri seminali sono nella norma o solo leggermente alterati. Infine, poichè alcune anomalie cromosomiche (come il 47,XYY) si possono riscontrare in soggetti con un’apparente normozoospermia, l’analisi del cariotipo dovrebbe essere eseguita se dopo un anno di rapporti mirati non è stata ancora ottenuta una gravidanza.
2.Microdelezioni del braccio lungo del cromosoma Y.
Molti studi dopo il lavoro originale del 1976 (Tiepolo and Zuffardi, 1976) hanno chiarito che le microdelezioni del braccio lungo del cromosoma Y (Yq) rappresentano una causa frequente di infertilità maschile (per la bibliografia vedi Foresta et al., 2001). Esistono tre diversi loci chiamati “azoospermia factors” (AZFa, b e c) e diversi geni sono stati isolati da queste regioni: USPY9 e DBY nell’AZFa (Foresta et al., 2000), RBMY1 nell’AZFb (Elliott et al., 1997), e DAZ nell’AZFc (Reijo et al., 1995). Tuttavia anche altri geni mappano nell’Yq ma il loro ruolo nel determinare il fenotipo dei pazienti deleti non è ancora chiaro (Lanh e Page, 1997; Tilford et al., 2001). Le microdelezioni dell’Yq determinano una grave testicolopatia che si esprima con azoospermia o grave oligozoospermia e coinvolgono più frequentemente la regione AZFc (circa 60%) rispetto all’AZFb (circa 15%) e AZFa (circa 5%). Negli altri casi si ritrova una delezione più ampia che comprende più regioni AZF contemporaneamente. In generale la prevalenza di microdelezioni dell’Yq nei soggetti infertili è stimata attorno al 10% (Foresta et al., 2001). In pazienti selezionati questa percentuale aumenta al 15% nei pazienti con grave oligozoospermia idiopatica e al 20%in quelli con azoospermia non ostruttiva idiopatica. Microdelezioni si possono anche riscontrare nei soggetti con grave testicolopatia associata ad altre cause di danno testicolare come il varicocele o il criptorchidismo (Foresta et al., 1999; Krausz et al., 1999; Moro et al., 2000). I pazienti con microdelezioni dell’Yq hanno frequentemente spermatozoi nell’eiaculato o nei testicoli e pertanto sono spesso candidati a tecniche di fecondazione assistita. In questi casi l’anomalia genetica viene sicuramente trasmessa all’eventuale figlio maschio che quindi erediterà la stessa malattia del padre (l’infertilità). Tuttavia la reale conseguenza di questa trasmissione non è ancora chiara e il recente riscontro di aneuploidie spermatiche nei pazienti con microdelezioni (con conseguente rischio di generare figlie affette da sindrome di Turner) (Siffroi et al., 2000) impone problemi sia medici che etici. Il Comitato ha suggerito di eseguire l’analisi delle microdelezioni dell’Yq durante l’approccio diagnostico dei soggetti infertili con azoospermia non ostruttiva e grave oligozoospermia, indipendentemente dalla presenza di altre possibili cause di danno testicolare. Questa analisi non è indicata quando la concentrazione spermatica è maggiore di 10 milioni per millilitro, poichè le microdelezioni sono state riscontrate solo raramente in questi soggetti. Inoltre tutti i soggetti con azoospermia non ostruttiva e grave oligozoospermia dovrebbero essere sottoposti a quest’analisi prima di metodiche di fecondazione assistita.
La fibrosi cistica è una delle malattie autosomiche recessive più comuni nella popolazione caucasica. Un individuo su 2500 ne è affetto e uno su 25 è portatore asintomatico eterozigote. Il gene CFTR è localizzato sul cromosoma 7q31.1-31.2 e la mutazione più frequente è rappresentata dalla delezione di una fenilalanina in posizione 508 (DF508), ma esistono più di 800 mutazioni diverse. L’agenesia bilaterale dei vasi deferenti (CBAVD) rappresenta in molti casi una forma lieve o incompleta di fibrosi cistica, infatti circa il 70-80% di questi soggetti sono eterozigoti o eterozigoti composti per una mutazione CFTR (Claustres et al., 2000; Quinzii e Castellani, 2000; Attardo et al., 2001; Casals et al., 2001). Una particolare mutazione associata alla CBAVD è chiamata “5T allele” (il normale allele ha 7T o 9T nucleotidi nell’introne 8), che causa la mancata trascrizione dell’esone 9 e bassi livelli di espressione della proteina CFTR (Chu et al., 1993). Circa il 30-40% dei pazienti con mutazione CFTR ha una sola mutazione, mentre il 30-40% è eterozigote composto con due mutazioni alleliche e il 20-30% hanno l’allele 5T. anche l’agenesia monolaterale dei deferenti (CUAVD) può essere associata a mutazioni CFTR. Sebbene la prevalenza delle mutazioni in questo gruppo di soggetti sia molto variabile in diversi studi (dall’11 al 75%) (Casals et al., 1995; Mickle et al., 1995; Dork et al., 1997), si ritiene comunque che un certo numero di CUAVD sia causato dalla mancanza della proteina CFTR. Pertanto la manifestazione clinica dei soggetti con mutazioni del CFTR può essere sia azoospermia con CNAVD sia oligozoospermia con CUAVD. In ogni caso questi soggetti hanno una normale spermatogenesi e quindi sono candidati alla ICSI utilizzando spermatozoi eiaculati, epididimali o intratesticolari. In questi casi il rischio maggiore è rappresentato da figli affetti da fibrosi cistica conclamata in qui casi in cui anche la partner femminile sia eterozigote composta per una mutazione CFTR. Il Comitato ha suggerito di eseguire lo screening delle mutazioni CFTR (incluso l’allele 5T) nei soggetti infertili con CBAVD o CUAVD. Se la coppia è candidata a tecniche di riproduzione assistita il test dovrebbe essere eseguito sia nel maschio che nella partner femminile e andrebbe offerto un servizio di consulenza genetica.
La sindrome di Kallmann colpisce un maschio su 10.000 e consiste di un ipogonadismo ipogonadotropo (HH) isolato, idiopatico e congenito associato ad anosmia. Quest’ultima è causata dall’agenesia dei lobi olfattori, mentre l’HH è dovuto ad un deficit di GnRH. Un isolato HH senza anosmia può anche essere un sintomo isolato o può essere associato a diverse anomalie somatiche derivanti da altre mutazioni geniche (Seminara et al., 2000). Esistono tre differenti forme di sindrome di Kallmann ereditate come forme legate all’X o autosomiche dominanti o recessive. La forma legata all’X causa il 10-15% delle sindromi di Kallmann (Seminara et al., 2000; Oliveira et al., 2001). Il gene della forma legata all’X, KAL1, codifica per una proteina (anosmina) con un ruolo centrale nella migrazione dei neuroni GnRH e dei nervi olfattori all’ipotalamo. Altre manifestazioni cliniche in questi soggetti possono includere criptorchidismo, agenesia renale monolaterale, palatoschisi e cecità per i colori. Sebbene la sindrome di Kallmann sia rara e l’analisi di mutazioni del gene KAL1 non sia facilmente eseguibile, il Comitato ha raccomandato di includere lo screening del gene KAL1 in tutti i soggetti azoospermici con HH e anosmia. Questa decisione è anche motivata dal fatto che un trattamento ormonale può riportare la fertilità in questi soggetti, ma ciò rende possibile la trasmissione del difetto genetico ai figli.
5.Gene per il recettore degli androgeni.
La sindrome da insensibilità agli androgeni è una malattia recessiva legata all’X causata da un’anomalia del gene per il recettore degli androgeni (AR) che è localizzato in Xq11-12. I soggetti affetti possono presentare diversi fenotipi che variano da un fenotipo femminile completo all’ambiguità genitale al maschio infertile (Quigley et al., 1995). Sono state riportate più di 300 mutazioni nel gene AR (http//ww w.mcgill.ca/androgendb/), la maggior parte delle quali è rappresentata da mutazioni puntiformi che portano a sostituzione aminoacidica. I maschi infertili con mutazioni dell’AR presentano azoospermia o grave oligozoospermia, sia come manifestazione isolata che associata ad altre anomalie dovute ad una scarsa sensibilità agli androgeni (come criptorchidismo, ipospadia, ginecomastia, scarsa virilizzazione). Questi soggetti hanno un particolare profilo ormonale con aumentati livelli plasmatici di LH e testosterone normale o aumentato. Il prodotto LH per testosterone (espresso in U x nmol/l2), chiamato indice di sensibilità agli androgeni (ASI), può essere utile nell’identificare i pazienti a rischio di mutazioni del gene AR. Infatti più alto è l’ASI maggiore è il rischio di mutazioni del gene AR (Hiort et al., 2000). La frequenza di mutazioni nei soggetti infertili con azoospermia o grave oligozoospermia è del 2-3% (Hiort et al., 2000). Poiché la stessa mutazione può essere associata a diversi fenotipi, non si possono prevedere le conseguenze cliniche nei bambini nati mediante tecniche di riproduzione assistita e la coppia deve essere informata circa la possibilità di un peggioramento delle manifestazioni cliniche nei figli che erediteranno il difetto genetico. Un’espansione della tripletta CAG nell’esone 1 (più di 40 ripetizioni) causa l’atrofia muscolare spino-bulbare (SBMA o malattia di Kennedy) che è caratterizzata da una progressiva debolezza e atrofia muscolare associata a scarsa virilizzazione, infertilità e atrofia testicolare. Non è ancora chiaro se un’espansione minore di triplette CAG causi un difetto isolato della spermatogenesi (Mifsud et al., 2001, Patrizio et al., 2001). Solo pochi studi sono stati eseguiti per valutare le mutazioni del gene AR nei soggetti infertili senza altre anomalie congenite. In ogni caso il Comitato ha suggerito di eseguire il test nei soggetti azoospermici e gravemente oligozoospermici con un alto ASI, anche se questa non è una regola assoluta. Inoltre in questi soggetti il test dovrebbe essere comunque effettuato come analisi di secondo livello dopo l’analisi del cariotipo. Ovviamente l’analisi genetica del gene AR dovrebbe essere eseguita quando ci sono altre manifestazioni cliniche di insensibilità agli androgeni. Poiché il ruolo delle triplette CAG nell’infertilità maschile è ancora dibattuto, questa analisi non dovrebbe essere inclusa nella pratica clinica.
6.Gene 5 a-reduttasi-2 (SRD5A2).
Questo enzima converte il testosterone in 5a-diidrotestosterone in specifici tessuti androgeno-dipendenti (Fratianni and Imperato-McGinley, 1994). Il deficit della 5 a-reduttasi-2 causa pseudoermafroditismo maschile che normalmente si manifesta alla nascita con ipospadia perineo-scrotale pseudovaginale. Una certa virilizzazione avviene alla pubertà con crescita del pene e discesa testicolare. I soggetti adulti possono presentare azoospermia o grave oligozoospermia talvolta associate a testicoli ritenuti e ipospadia (Cai et al., 1994; Katz et al., 1997). A causa dell’iposviluppo della prostata e delle vescichette seminali l’analisi seminale spesso dimostra un ridotto volume dell’eiaculato e un’aumentata viscosità. Sono state riportate gravidanze mediante inseminazione endouterina in pazienti con deficit della 5 a-reduttasi (Katz et al., 1997). Data la bassa incidenza di anomalie del gene 5 a-reduttasi nei soggetti infertili il Comitato ha ritenuto di suggerire questa analisi solamente in casi selezionati che presentano caratteristiche particolari.
7.Analisi delle aneuploidie spermatiche.
I maschi normali producono una percentuale variabile (tra l’1 ed il 15%) di spermatozoi con aberrazioni cromosomiche, la maggior parte delle quali rappresentato da alterazioni strutturali (circa 90%) (Rosenbush, 1995). Alcuni dati suggeriscono che alcune condizioni cliniche collegate ad infertilità maschile sono associate ad un’aumentata percentuale di spermatozoi ipo- o iperaploidi. Nei soggetti infertili con grave testicolopatia le anomalie numeriche spermatiche sono aumentate come conseguenza di alterazioni mitotiche e meiotiche (Bernardini et al., 2000; Vegetti et al., 2000; Calogero et al., 2001). Inoltre la chemioterapia e la radioterapia hanno un effetto dannoso sulla spermatogenesi che persiste fino a sei mesi dopo la fine della terapia (Robbins et al., 1997; De Palma et al., 2000). L’ibridizzazione in situ fluorescente (FISH), che rappresenta la tecnica di studio delle aneuploidie spermatiche, ha tuttavia alcune limitazioni. Infatti non è in grado di individuare le anomalie strutturali, solo pochi spermatozoi possono essere studiati ed ha alcuni problemi tecnici legati alla ibridizzazione. Al momento attuale quindi non esiste un accordo unanime circa l’utilizzo della FISH nella pratica clinica ed il Comitato non ha suggerito questa analisi come test di routine nei soggetti infertili. Se ulteriori dati sperimentali dimostreranno l’efficacia di questa metodica allora la FISH dovrebbe essere eseguita nelle gravi testicolopatie primarie e dopo trattamenti radio e chemioterapici. Almeno i cromosomi sessuali ed il cromosoma 21 dovrebbero essere inclusi in questa analisi.
Altre anomalie genetiche sono state considerate dal Comitato, ma non sono state incluse come test da effettuarsi di routine nei soggetti infertili perchè estremamente rare o perchè mancano ancora dati scientifici certi. Tali alterazioni comprendono mutazioni in geni essenziali per lo sviluppo gonadico e la funzione testicolare (deficit di enzimi della steroidogenesis, mutazioni nei geni delle subunità b dell’LH e FSH e dei recettori per LH e FSH), e geni pleiotropici le cui mutazioni alterano anche la spermatogenesi (distrofia miotonica, DAX1). Inoltre molti difetti genetici possono alterare la spermatogenesi, ma le manifestazioni cliniche sono così complesse che l’infertilità in realtà rappresenta solo un’espressione minore (tabella 3). Infine, alcune forme di infertilità maschile caratterizzate da alterazioni morfologiche uniformi e permanenti dell’intera popolazione spermatica (come le teste a palla, i miniacrosomi, etc.) sono probabilmente il risultato di mutazioni genetiche tuttora sconosciute. Questo aspetto deve essere tenuto in considerazione nei soggetti candidati a tecniche di riproduzione assistita.
Grazie ai progressi della biologia molecolare sono stati condotti in questi ultimi anni diversi studi atti a chiarire i meccanismi molecolari alla base dei problemi riproduttivi femminili. A parte le anomalie cromosomiche, le alterazioni dello sviluppo sessuale femminile e della funzione riproduttiva possono essere causate da difetti di geni che agiscono a vari livelli dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaie o nella biosintesi gonadica e surrenalica di steroidi e dei loro recettori (Fauser e Hsulh, 1995). Inoltre, alcune condizioni cliniche comuni come la sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) o la menopausa precoce (POF) possono avere un’origine genetica. I progressi tecnici nel campo delle tecniche di riproduzione assistita hanno ancor più stimolato la ricerca in questo settore. Di conseguenza alcuni aspetti particolari legati a queste metodiche, come la scarsa risposta ovarica all’iperstimolazione, sono stati analizzati come di possibile origine genetica. Infine, una relazione causale è stata stabilita tra alcune anomalie cromosomiche e la poliabortività (Plachot, 1997). In tabella 4 sono riassunte le cause genetiche di infertilità maschile mentre in tabella 5 sono indicati I test genetici che il Comitato ha suggerito di eseguire. Come l’infertilità maschile, anche quella femminile è stata classificata sulla base di criteri clinici, sopratutto sulle alterazioni della funzione ovarica con conseguente anomalie del ciclo mestruale. Anche se la poliabortività non è propriamente una causa di infertilità primaria essa è stata inclusa data la sua rilevanza clinica e l’incidenza di alterazioni genetiche in questi casi.
La sindrome di Turner è la più comune alterazione cromosomica nelle donne infertili, ma si possono riscontrare con una certa frequenza anche diverse aberrazioni strutturali autosomiche. La frequenza delle anomalie cromosomiche nell’infertilità femminile è variabile in diversi studi (Meschede et al., 1998; Badovinac et al., 2000), ma si può stimare intorno al 5% (Gekas et al., 2001). Il 2.8% delle partner femminili di coppie sottoposte a ICSI presenta alterazioni numeriche dei cromosomi sessuali, mentre il 2.1% ha anomalie strutturali degli autosomi (Gekas et al., 2001). Il fenotipo delle donne affette da aberrazioni cromosomiche sessuali è molto variabile, sia in termini di genitali esterni ed interni che di caratteristiche somatiche. Per esempio, le donne con sindrome di Turner o altre sindromi con bassa statura e disgenesia gonadica possono presentare diversi dismorfismi e anomalie. Tuttavia, una caratteristica comune di tutte queste alterazioni cromosomiche è rappresentata da una disfunzione ovarica primaria (ipergonadotropa) con amenorrea primaria o secondaria (inclusa la POF) o oligomenorrea. Per esempio, circa il 30% delle amenorree primarie è causato dalla sindrome di Turner. Inoltre, le aberrazioni strutturali autosomiche possono causare poliabortività (Goddijn et al., 2000). Il Comitato ha suggerito di eseguire l’analisi del cariotipo durante la fase diagnostica delle donne infertili con disfunzione ovarica primaria o poliabortività. Questo screening è inoltre obbligatorio nelle donne candidate a tecniche di riproduzione assistita. Come per il maschio, l’analisi del cariotipo dovrebbe essere eseguita dopo un anno di rapporti mirati senza risultato, poichè anche in questi casi possono esistere alterazioni del cariotipo (tipo 47,XXX) (Gekas et al., 2001). Il Comitato inoltre suggerisce un atteggiamento di cautela nello stabilire una correlazione fenotipica quando viene riscontrato un mosaicismo di basso livello dei cromosomi sessuali ed un controllo dei risultati del laboratorio. Infatti l’eventuale conferma di questa correlazione implica un aumentato rischio di aborto, morte perinatale e aneuploidie dei cromosomi sessuali nei figli.
2.Sindrome dell’X fragile (FRAXA).
Rappresenta la più comune causa di ritardo mentale nei maschi ed è causata dalla espansione della tripletta CGG nell’esone 1 del gene FMR1 localizzato in Xq27.3 (Jacobs, 1991; Verkerk et al., 1991). Nella popolazione generale si riscontrano meno di 50 ripetizioni, mentre più di 200 ripetizioni (mutazione completa) causano il ritardo mentale. Una premutazione è definita come 50-200 ripetizioni è può essere associata con POF in donne per il resto normali (Schwatrz et al., 1994; Fryns, 1986; Conway et al., 1995; 1998; Allingham-Hawkins et al., 1999; Davis et al., 2000). Infatti, il 15-25% delle donne premutate sono affette da POF ed il 6.5% delle donne con POF ha una premutazione FRAXA (Sherman, 2000a; 2000b). Le pazienti che sviluppano POF frequentemente presentano un periodo di oligomenorrea con un progressivo aumento delle gonadotropine (Murray et al., 2000). La premutazione è stata inoltre associata ad una scarsa risposta ovarica alla iperstimolazione durante cicli di fecondazione in vitro (Ferraretti et al., 2000). È importante notare che la premutazione predispone ad un’ulteriore espansione delle triplette nella linea germinale e quindi le donne con premutazione hanno un più alto rischio di concepire figli con ritardo mentale. Il Comitato ha suggerito di includere questo test nello screening diagnostico delle donne con oligomenorrea o amenorrea causata da disfunzione ovarica primaria (inclusa la POF), soprattutto quando queste donne devono essere sottoposte a fecondazione assistita. Lo screening di premutazioni dovrebbe anche essere eseguita in donne apparentemente normali ma con bassa risposta ovarica alla iperstimolazione in precedenti cicli FIVET o ICSI.
La sindrome di Kallmann causata dalla mutazione del gene KAL1 è estremamente rara nelle donne e si presenta con amenorrea primaria ipergonadotropa e anosmia. È stata inoltre riportata una più alta incidenza di malformazioni uterine (Brandenberger et al., 1994). Le donne eterozigoti non hanno anomalie evidenti (Oliveira et al., 2001). La sindrome di Kallmann dovrebbe essere sospettata quindi solo nelle donne con HH ed in questi casi dovrebbe essere eseguita l’analisi del gene KAL1. Esistono anche forme di HH autosomiche recessive e dominanti, ma i geni responsabili di queste condizioni non sono note (Oliveira et al., 2001).
Mutazioni del gene CFTR non sono associate sicuramente ad infertilità femminile. Tuttavia, le donne affette da fibrosi cistica hanno un aumentato rischio di complicazioni durante la gravidanza (Cohen et al., 1980). Vista l’alta prevalenza di mutazioni del CFTR nella popolazione generale (1:25) e l’alto rischio di mutazioni del CFTR nei maschi sottoposti a ICSI, il Comitato ha suggerito di eseguire il test in tutte le donne candidate a tecniche di riproduzione assistita.
Come per il maschio anche altre condizioni possono determinare infertilità femminile. Tuttavia, sono estremamente rare e di scarsa rilevanza clinica per gli specialisti nel campo della riproduzione. Alcuni esempi includono le mutazioni del gene per il recettore degli androgeni che causano una completa insensibilità agli androgeni, le sindrome in cui l’infertilità è una manifestazione minore (tabella 6) e le sindromi in cui l’infertilità è una manifestazione maggiore (mutazioni nei geni per i recettori dell’FSH e LH, gene per FSH, gene per il recettore del GnRH). È da notare che anche le donne con cariotipo normale producono una percentuale variabile (più del 20%) di ovociti con alterazioni cromosomiche. Questa percentuale aumenta con l’avanzare dell’età in conseguenza di alterati crossing-over e non disgiunzioni meiotiche. Una consulenza genetica è quindi raccomandata anche quando si effettuano metodiche di riproduzione assistita in donne non più giovani.
Carlo Foresta
Assistant Professor of Internal Medicin University of Padova
Director of the Centre for Cryopreservation of Male Gametes University of Padova