Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 7 del 2002

Gli analgesici oppiacei costituiscono un gruppo di molecole molto usate in terapia del dolore.
Essi si suddividono in due grandi categorie: oppiacei stupefacenti (morfina, codeina ecc.) ed oppiacei sprovvisti di effetto stupefacente, i cosiddetti oppiacei di sintesi (tramadolo ecc.).
Da quando si è ampiamente dimostrato che, in presenza di dolore, gli effetti indesiderabili di “physical dependence“, “tolerance” e “addiction” tipici della morfina, sono estremamente bassi l’impiego di morfina si è esteso anche al dolore impropriamente detto benigno, ossia non prodotto da tumore (come ad esempio il frequentissimo comune mal di schiena). Le norme sull’impiego della morfina e degli oppiacei stupefacenti, in vigore fino allo scorso anno, erano molto severe.
La loro inosservanza, come hanno rilevato Paola Minghetti e Pietro Balocco alla 4° Giornata di Aggiornamento sul Dolore (Novembre 2001) procurava, soprattutto ai farmacisti, molti problemi giudiziari anche penali. Un anno fa, auspice l’allora Ministro della Sanità Umberto Veronesi, le nuove norme relative alla ricettazione medica e al trasporto degli analgesici oppiacei stupefacenti divennero legge, adeguandosi alle normative europee.
Con queste variazioni risultarono alquanto semplificate le modalità di prescrizione e, pur lasciando le elevate sanzioni pecuniarie, veniva tolto il penale. Secondo alcuni “opinion leaders”, ciò avrebbe comportato una immediata forte crescita nelle prescrizioni di morfina di cui avrebbero beneficiato moltissimi pazienti, soprattutto terminali.
Sulla terapia del dolore si andò allora creando un clima trionfalistico di conquista sociale, come se fino ad ora in Italia nulla o pochissimo fosse stato fatto per curare ed assistere quei venti milioni di persone affette da dolore cronico di varia origine e natura. Ad esempio un notissimo quotidiano titolava “Il sì del Senato alla liberalizzazione (sic!) della morfina”, come se la morfina fosse, con queste nuove norme, liberamente prescrivibile dal medico! E inoltre si titolava in modo ambiguo “La terapia del dolore diventa legge”. Oppure enfaticamente “La storica sconfitta del dolore”.
Qualcuno propose addirittura di proclamare “eroe nazionale” il Ministro della Sanità.
Ora, a un anno di distanza, risulta che il previsto aumento di prescrizioni di morfina non c’è stato, o è del tutto insignificante. Come mai i risultati non hanno corrisposto alle trionfalistiche aspettative? Se accettiamo il principio secondo cui il consumo di morfina debba essere considerato l’indicatore unico ed assoluto della efficienza assistenziale e del progresso della terapia del dolore di un Paese, considerando che l’Italia in questa graduatoria si trova al terzultimo posto e visto che nemmeno dopo la nuova legge da tale bassissimo livello di consumi il nostro paese si è mosso, allora milioni di italiani, delusi e preoccupati, potrebbero con ragione chiedersi che ne sarà di loro e del dolore che potrebbe un giorno affliggerli.
Ci sarebbe veramente di che disperarsi. Vorrei invece rasserenarli e rassicurarli.
Il sillogismo “consumo di morfina uguale progresso della terapia del dolore” non è proponibile. A parte il fatto che la terapia del dolore non è solo morfina, non è statisticamente corretto raffrontare e creare graduatorie solo sui consumi di morfina fra differenti paesi senza specificare le modalità di somministrazione.
Mi spiego.
La morfina può venir somministrata seguendo varie modalità (orale, sublinguale, parenterale, spinale, peridurale) che, a parità di risultati, comportano dosaggi (e quindi consumi globali) estremamente differenti.
Di conseguenza se, ad esempio, in un Paese è d’uso la somministrazione orale mentre in un altro prevale quella spinale il primo avrà un consumo di morfina molto superiore rispetto al secondo, pur essendo uguale il numero di pazienti trattati. Ma questo non significa affatto che nel primo paese la Terapia del dolore, come tale, sia più applicata e più progredita. Il solo alleggerimento delle norme di prescrizione e la depenalizzazione del reato, non è servito a convincere il medico ad aumentare le somministrazioni di morfina ai suoi pazienti. Senza una operazione di cultura scientifica e clinica non si avrà mai alcun risultato, nel senso che i consumi di morfina in Italia rimarranno sempre al palo.
La morfina è sì un eccellente analgesico ma ha i suoi limiti, le sue controindicazioni e non sempre funziona (nel dolore da cancro la morfina fallisce o cessa di essere attiva fino al 30% dei casi). E’ altresì indispensabile che il medico si aggiorni anche sulle nuove modalità di somministrazione degli oppiacei a lungo termine e impari la metodica della “rotazione” dell’oppioide, una tecnica che risponde a principi di farmacodinamica molecolare. Infatti ogni oppiaceo ha un tipo o sottotipo di recettore su cui agisce. Ma il recettore specifico, dopo un certo periodo si “abitua” a quel farmaco e inizia a perdere l’effetto analgesico.
Occorre allora, seguendo regole di somministrazione ben precise, che il medico cambi oppiaceo, ossia effettui una rotazione farmacologica. Vorrei infine suggerire, non solo per un rispetto dovuto ai Colleghi ma anche ai pazienti e ai cittadini, di evitare informazioni false o distorte come ad esempio che questa semplificazione delle normative d’uso della morfina sia la più grande conquista in terapia del dolore negli ultimi anni e che l’Università italiana sia stata fino ad oggi disattenta ai problemi di studio e didattica del dolore.
Ricordiamo che l’Università di Milano, proprio venti anni fa, prima nel mondo, inseriva nell’ordinamento degli studi di medicina l’insegnamento di Fisiopatologia e Terapia del dolore, insegnamento che poi divenne obbligatorio in ogni Università. D’accordo che tutto questo può ampliare certi serbatoi di popolarità politica ma mentire ai malati è, quasi sempre, riprovevole.

Mario Tiengo
Professore Emerito di Terapia del dolore
Università Statale di Milano