da Leadership Medica n. 1 del 2001
Abstract
Gli autori ripercorrono la storia di una patologia comparsa per la prima volta a fine Ottocento, passandone in rassegna le cause genetiche, le differenti manifestazioni cliniche, le terapie adottate. Il tutto alla luce dell’esperienza diretta di un’équipe di nefrologi.
Articolo
La malattia di Anderson-Fabry (AF), o malattia da deficienza della alfa-galattosidasi A, è determinata da un errore congenito del metabolismo glicosfingolipidico che deriva da un difetto di attività di una idrolasi lisosomiale: l’enzima a-galattosidasi A. E’ stato documentato che l’errore enzimatico è trasmesso da un gene costituito da sette esoni, presente sul braccio lungo del cromosoma X in regione q 21,22. Questo difetto enzimatico comporta il progressivo accumulo di glicosfingolipidi neutri, con un tratto terminale alfagalattosidico, cioè un cerebroside di- e triesossido, nella maggior parte dei fluidi e dei tessuti dell’organismo. L’accumulo di glicosfingolipidi neutri avviene all’interno dei lisosomi delle cellule endoteliali, epiteliali, della muscolatura liscia, delle cellule del miocardio e del rene, nelle cellule del sistema reticoloendoteliale, del tessuto connettivo, dell’epitelio corneale, dei gangli nervosi e nelle cellule perineurali del sistema nervoso autonomo. Nel 1898, un dermatologo inglese W. Anderson, pubblicava sul British Journal of Dermatology il caso clinico di un paziente di sesso maschile, dell’età di 39 anni, che presentava angiocheratoma diffuso con evidente presenza di proteine nelle urine. Anderson avanzava il sospetto che il paziente non avesse semplicemente una malattia della pelle, ma presentasse una malattia sistemica e che le anomalie dei capillari, che egli osservava a livello cutaneo, potessero essere presenti anche a livello dei capillari renali. Nello stesso anno, e addirittura contemporaneamente senza essere a conoscenza della pubblicazione di W. Anderson, il dermatologo tedesco J. Fabry pubblicava sulla rivista Archives Von Dermatologie und Siphilis, il caso clinico di un maschio di 13 anni che presentava angiocheratoma diffuso, albumina nelle urine, e piccoli aneurismi a carico delle arteriole. Bisognava aspettare il 1955 per vedere pubblicato su Archives of Internal Medicine il primo “report” americano su di una malattia rara: la malattia di Fabry. Nel 1967 Brandy dimostrava che il difetto enzimatico risiedeva nella triexosidasi ceramide, una idrolasi galattosilica contenuta nei lisosomi del citoplasma delle cellule. Successivamente il difetto enzimatico della malattia di Anderson-Fabry fu propriamente identificato nella a-galattosidasi A. Le manifestazioni cliniche della malattia dipendono dalla presenza delle lesioni d’organo, e sono espresse più compiutamente e più severamente nei soggetti maschi, emizigoti, che non nelle femmine, eterozigoti, a volte completamente asintomatiche. I quadri clinici osservati e descritti nei pazienti con malattia di AF caratteristicamente sono assai polimorfi per ragioni ancora non definite, e forse in rapporto alla natura ed alla sede dell’errore genetico. La malattia di AF è classificata tra le sfingolipidosi maggiori (Tab.I) ed è considerata una malattia rara, avendo una prevalenza di 1:40.000, anche se probabilmente è più diffusa di quanto comunemente si ritenga, tanto che è stato proposto di eseguire sistematicamente il dosaggio plasmatico delle a-galattosidasi A in tutti quei pazienti che sono giunti all’uremia terminale senza diagnosi accertata con sicurezza.
Manifestazioni cliniche
Le manifestazioni cliniche della malattia di AF, riportate nella Tabella II, sono molto eterogenee e rappresentano le sequele anatomiche e fisiologiche del patologico progressivo accumulo di triesossido galactosil-galactosil-glucosil-ceramide all’interno dei lisosomi di cellule appartenenti a diversi organi ed apparati. In condizioni fisiologiche l’a-galattosidasi A determina la scissione del globotriaosilceramide in lactosilceramide (Tab.III) che viene rimosso dal sistema reticoloendoteliale; la carenza enzimatica comporta il patologico accumulo cellulare del triesossido istologicamente documentabile negli organi, ancora prima che siano evidenti i segni clinici di malattia.
Neurologiche
Le crisi dolorose parossistiche alle estremità (ritenute secondarie a lesioni delle radici dorsali dei neuroni gangliari) rappresentano in genere la manifestazione di esordio della malattia nell’infanzia o nella prima adolescenza. Le crisi, scatenate in genere da esercizio intenso o stress emotivi, durano da pochi minuti ad alcuni giorni e tendono a ridursi per intensità e frequenza con l’avanzare dell’età. In aggiunta alle crisi alcuni pazienti lamentano persistensi acroparestesie. Tuttavia, il 10-20% degli anziani portatori di malattia di AF nega una storia di crisi dolorose o acroparestesie. Le manifestazioni cerebrovascolari, possibili in stadi più avanzati di malattia, sono il risultato di una compromissione multifocale del microcircolo. La valutazione RMN è l’esame di scelta per svelare lesioni lacunari a carico del sistema nervoso centrale. Altri segni neurologici: dismotilità intestinale e alterata vasomotilità dovute ad interessamento del sistema nervoso autonomo, demenza, disturbi della personalità.
Dermatologiche
Sebbene siano state descritte varianti atipiche della malattia senza interessamento cutaneo, gli angiocheratomi con caratteristica distribuzione a “costume da bagno”(coinvolgimento simmetrico di tronco, perineo, scroto) possono rappresentare la manifestazione più precoce della malattia e consentono in genere la diagnosi già in età infantile. Un attento esame della cute si impone, nel sospetto di malattia, per rivelare lesioni cutanee isolate non evidenti ad una routinaria valutazione obiettiva.
Oculistiche
La “cornea verticillata” è una tipica lesione distrofica corneale presente nel 100% dei maschi emizigoti e nel 70% delle femmine eterozigoti. Tale alterazione può essere rilevata soltanto mediante esame oftalmoscopico con lampada a fessura. Lesioni vascolari a carico di retina e congiuntiva sono comuni nell’ambito di un coinvolgimento vascolare sistemico.
Cardiologiche
La patologia cardiaca è assai polimorfa:
- l’abbreviazione elettrocardiografica dell’intervallo PR è comune, ed in passato era ritenuta caratteristica nei pazienti con malattia di AF;
- sono state documentate autopticamente alterazioni istologiche a carico del sistema di conduzione responsabili di blocco atrio-ventricolare;
- è nota l’alta incidenza di aritmie cardiache ed in particolare la fibrillazione atriale in età giovanile;
- la patologia a carico delle arterie coronariche può essere assai severa, e spesso causa di morte del paziente;
- l’incidenza di anomalie valvolari è assai comune ed il prolasso mitralico è presente nel 50% dei pazienti emizigoti, anche se usualmente non emodinamicamente significativo;
- l’ipertrofia ventricolare sinistra è un rilievo comune, ed è stata riportata come unica alterazione in una variante atipica nei soggetti emizigoti, in assenza di valvulopatie e di ipertensione arteriosa.
La complessità e la variabilità delle manifestazioni cliniche cardiache sono correlate con l’età e con il sesso dei pazienti, e sono imputabili al progressivo accumulo del globotriaosilceramide nelle diverse strutture del cuore. Lo studio elettronmicroscopico della biopsia miocardica permette di fare una diagnosi definitiva.
Nefrologiche
Anche le manifestazioni cliniche renali sono sempre più evidenti nei maschi emizigoti rispetto alle femmine eterozigoti, secondo la legge di Lion, a meno che nelle femmine prevalga il cromosoma X patologico su quello normale. I reni appaiono di taglia aumentata a motivo dell’accumulo di ceramide in ogni tratto del nefrone, ed in ogni stipite cellulare presente a livello renale, oltre che nell’endotelio vascolare. Poiché l’accumulo dei glicosfingolipidi è soprattutto a livello dell’epitelio dell’ansa di Henle e del tubulo distale, è precoce la compromissione della capacità di concentrazione; la disfunzione tubulare può essere più complessa e coinvolgere anche il tubulo prossimale con aminoaciduria, glicosuria normoglicemica ed acidosi tubulare renale come nella sindrome di Fanconi. La proteinuria può essere isolata,senza alterazione del sedimento urinario, e comparire in età giovanile. La progressione verso l’insufficienza renale cronica terminale è la più comune complicanza nei soggetti di sesso maschile.
Diagnosi
L’interesse nefrologico della malattia di AF deriva dalla possibilità di diagnosi mediante esame ultrastrutturale della biopsia renale che documenta tipiche inclusioni citoplasmatiche, presenti in tutti gli stipiti cellulari del nefrone. Si tratta di piccoli corpi osmiofili, ovoidali, di diametro compreso tra 1-3m, laminati concentricamente per l’alternarsi di lamine elettrondense e spazi elettronlucenti. Con la microscopia ottica è possibile sospettare la malattia di AF per l’aspetto dell’epitelio delle strutture tubulari renali caratterizzato da abnorme materiale da accumulo; l’immunofluorescenza non è significativa. Lo studio del sedimento urinario al microscopio elettronico può risultare diagnostico (fig.1).
La diagnosi trova conferma nella documentazione della ridotta attività enzimatica dell’a-galattosidasi A sia a livello plasmatico che nei leucociti periferici. La ricerca dei livelli plasmatici di cerebroside triesossido documenta il suo incremento e si accompagna ad elevati livelli urinari fin tanto che il filtrato glomerulare si mantiene nei limiti della norma. E’ opportuno consigliare la ricerca del deficit plasmatico della idrolasi lisosomiale a-galattosidasi A, così come dell’incremento dei livelli plasmatici ed urinari del cerebroside triesossido, a tutti i familiari consanguinei del probando sia di sesso maschile che femminile; è utile proporre di estendere la ricerca anche con una accurata visita dermatologica, oculistica, e con l’esecuzione di un controllo ecocardiografico. La tecnica dei polimorfismi di restrizione del DNA dei pazienti può dare conferma diagnostica genetica e può permettere di identificare il tipo di alterazione genetica che caratterizza il probando ed i suoi familiari. La diagnosi prenatale della malattia di AF può essere fatta per mezzo dell’amniocentesi già alla 14a settimana di gestazione, riconoscendo il cariotipo XY su coltura delle cellule amniotiche e rilevando una carenza di a-galattosidasi A, oppure con l’analisi del DNA dei trofoblasti dei villi coriali su campione bioptico.
Terapia
Non esiste al momento una terapia specifica: viene proposto l’uso di steroidi per il controllo della sintomatologia dolorosa. Poiché si sono osservate una incrementata aggregabilità piastrinica ed una elevata concentrazione plasmatica di b-tromboglobulina, è stato proposto un trattamento a lungo termine con ticlopidina e vitamina E, al fine di prevenire possibili complicanze tromboemboliche. Il paziente uremico terminale cronico deve essere trattato con le usuali tecniche di dialisi e con trapianto renale che, peraltro, non sopperisce alla carenza enzimatica. La attuale prospettiva terapeutica è l’impiego dell’enzima a-galattosidasi A. Uno studio recente dimostrerebbe l’efficacia e la maneggevolezza dell’infusione endovenosa dell’enzima carente derivato da colture di fibroblasti umani. La singola infusione dell’enzima purificato, peraltro ben tollerato nei 10 pazienti arruolati per lo studio, ha determinato una significativa riduzione dei livelli epatici, plasmatici ed urinari del substrato globotriaossilceramide; la lunga emivita tissutale ne consentirebbe inoltre la somministrazione settimanale o bisettimanale. Quindi, grande speranza di riuscire a controllare in modo sostanziale e definitivo questa invalidante malattia ereditaria.
Dott. Adalberto Sessa
Primario di Nefrologia e Dialisi - Ospedale di Vimercate
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