Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 284 del 2010

Il contenzioso in tema di responsabilità professionale medica è in costante crescita sia in Italia sia negli altri paesi occidentali. A partire dallo scorso 28 marzo 2011 chiunque voglia iniziare una causa giudiziale avente ad oggetto un'ipotesi di responsabilità professionale medica è anzitutto tenuto a svolgere un tentativo di conciliazione della lite (Decreto Legislativo 4 marzo 2010, n. 28). Il presente articolo vuole offrire alcuni spunti iniziali di riflessione sul rapporto tra procedimento di conciliazione e liti in tema di responsabilità sanitaria, abbozzando alcune linee guida che dovranno poi essere, inevitabilmente, verificate sul campo. Nel prosieguo verranno spesso fatti riferimenti al sistema americano, che già da molti anni sta esplorando strade alternative finalizzate a limitare il proliferare del contenzioso giudiziale in tema di responsabilità sanitaria, e da cui si possono ricavare quindi dei suggeri- menti per trovare delle soluzioni adatte al sistema italiano, alla luce della normativa in tema di conciliazione obbligatoria di cui al D. Lgs. n. 28/2010. Sia in Italia sia negli USA, una delle prime conseguenze derivanti dall’esplosione delle vertenze giudiziali è che attualmente i medici non sono più solamente focalizzati a fornire il miglior trattamento possibile al paziente, ma devono anche preoccuparsi di evitare il rischio di essere citati in giudizio qualora non abbiano seguito e adottato tutte le procedure e i protocolli in modo corretto. Infatti, quando il risultato dell’attività del medico non corrisponde a quanto il paziente o la sua famiglia si aspettava, vi è ormai un’altissima probabilità di subire un’azione civile per il risarcimento degli eventuali danni, se non addirittura un’azione penale. Va peraltro detto che la possibilità di agire in giudizio in ipotesi di responsabilità sanitaria mira, di norma, a raggiungere due scopi sicuramente meritevoli, anche alla luce di un’analisi economica del diritto. Il primo obiettivo è quello di indurre i medici a tenere un comportamento più virtuoso e attento, evitando azioni negligenti, imprudenti o imperite. Il secondo è quello di fornire un risanamento al soggetto danneggiato da causa di una di tali azioni compiute dal medico o dalla struttura sanitaria. Peraltro, il contenzioso giudiziale rappresenta sempre una pratica costosa, scomoda e piena di risvolti negativi, anche e soprattutto nel settore medico. Fra gli effetti negativi, vi rientrano i comportamenti sempre più spesso adottati dai medici definiti di “medicina difensiva”, ossia l’esecuzione di esami e attività non strettamente necessari per la cura del paziente, ma utili a creare i presupposti per eliminare o quanto meno ridurre ogni rischio di responsabilità professionale; il che determina ovviamente un aumento della spesa globale della prestazione sanitaria, con danni per l’intero sistema. Inoltre, si deve rilevare che il costo dell’azione giudiziaria non viene addossato solo sulle parti in causa, ma anche sul sistema, sottraendo tempo e risorse a tutti i soggetti coinvolti, ivi compresi gli enti ospedalieri e i medici che vedono distolte per l’azione giudiziale tempo ed energie che potrebbero essere meglio spese per i loro compiti primari. Questi aspetti, è sicuramente auspicabile trovare delle soluzioni che possano mantenere alto il livello qualitativo delle prestazioni mediche, dare soddisfazione alle giuste pretese dei pazienti danneggiati da un errore medico, ma al contempo eliminare o comunque ridurre il contenzioso giudiziario superfluo. Negli Stati Uniti, fin dagli anni '70 sono state introdotte una serie di regole finalizzate sia a monitorare le liti in tema di responsabilità sanitaria sia a sviluppare le forme alternative di risoluzione delle controversie (acronimo ADR), fra cui in un primo momento soprattutto gli arbitrati obbligatori. Negli ultimi lustri si sono però sviluppati notevolmente altri sistemi di ADR, in particolare la conciliazione, che nel settore della responsabilità medica ha dimostrato di essere una nuova ed efficiente tecnica di risoluzione delle liti, portando a risultati assai positivi. Come si dirà di seguito, quando le circostanze sono favorevoli e in presenza di determinate condizioni, la conciliazione appare uno strumento efficace e idoneo a ridurre notevolmente le liti in tema di responsabilità sanitaria, e quindi anche i costi insiti nella vertenza.

La conciliazione come metodo di risoluzione delle controversie

Negli USA, ove gli operatori sono sempre molto attenti ai risvolti economici del conflitto, anche a causa dell'elevatissimo importo delle spese legali, si è appurato che gli ingenti costi insiti nelle vertenze relative a responsabilità professionale medica possono essere sensibilmente ridotti attraverso l’adozione della procedura di conciliazione. Già solo per questo motivo, la conciliazione appare come uno strumento a cui dovrebbero guardare con favore tutti gli operatori italiani del settore, tenuto presente che lo scopo ultimo da perseguire dovrebbe essere quello di fornire assistenza sanitaria al maggior numero possibile di pazienti, evitando di distogliere preziose energie per la gestione del contenzioso. La conciliazione è un metodo alternativo di risoluzione delle controversie meno formale dell’arbitrato e permette alle parti di discutere della lite appena essa è insorta, aiutandole quindi a risolverla senza necessità di svolgere tutte quelle attività tipiche del giudizio (consulenze, pareri, atti giudiziari). Per le sue caratteristiche la conciliazione è idonea a fornire una soluzione “creativa” ai problemi, identificando e facendo emergere i reali interessi perseguiti dalle parti in lite. Nella sua forma più semplice, si ha conciliazione allorché le parti decidono volontariamente di conciliare la lite e la loro partecipazione non è in alcun modo forzata o imposta dalla legge. Peraltro, questo aspetto manca nelle ipotesi attualmente previste dal D. Lgs. n. 28/2010, poiché le parti che intendono sottoporre una lite avente ad oggetto determinati  settori,  quali  la  responsabilità medica, hanno l’obbligo di tentare preliminarmente la conciliazione. D’altro canto, va detto che anche nelle ipotesi in cui la conciliazione sia divenuta condizione di procedibilità per la futura azione giudiziale, permane grande libertà alle parti, che possono sempre decidere se accettare o meno un accordo, eventualmente proposto dal mediatore. Questo rappresenta un punto di grande differenza rispetto all’arbitrato o alla causa giudiziale, dove invece la soluzione della lite è imposta alle parti da un terzo soggetto. La conciliazione si definisce pertanto un procedimento volontario e non vincolante con l’intervento di un terzo soggetto neutrale che svolge il ruolo di mediatore, con il compito di aiutare le parti a trovare autonomamente un accordo  amichevole  della lite. Uno degli obiettivi principali della conciliazione è quello di mitigare il conflitto, di rimuovere le posizioni di contrasto in cui si trovano le parti all’inizio della lite, di modo da consentire loro di operare armoniosamente per una soluzione concordata della vertenza. Peraltro, proprio per raggiungere questi obiettivi la conciliazione mal si presta all’utilizzo di schemi procedimentali rigidi, dovendosi invece di volta in volta adattare alla situazione concreta ed agli atteggiamenti dei partecipanti. Poste queste brevi premesse di carattere generale, può essere interessante verificare come la conciliazione possa essere utilizzata come strumento per la risoluzione delle controversie in tema di responsabilità sanitaria.

La conciliazione sanitaria

Se è vero che la conciliazione rappresenta un utile approccio alla risoluzione del conflitto, è altrettanto vero che non sempre gli individui sono pronti a riunirsi volontariamente per trovare una soluzione amichevole.
Si deve riconoscere che la natura umana ha spesso un atteggiamento “avversariale”; il che rende non sempre semplice indurre le parti a prendere in considerazione la conciliazione volontaria. Peraltro, il fatto che il legislatore italiano abbia imposto il tentativo di conciliazione come passaggio “obbligato” prima di arrivare alla causa giudiziale, potrebbe rappresentare un modo per superare il timore delle parti che la volontà di tentare la conciliazione sia vista dall'altra parte come un segno di debolezza o di arrendevolezza.
Numerosi studi svolti negli USA su casi pratici hanno dimostrato che la conciliazione nel campo sanitario può essere efficace molto più che in altri settori. Difatti, è emerso che proprio in questo tipo di controversie possono assumere un peso assai rilevante gli stati d’animo dei soggetti coinvolti. Nei pazienti sono prevalenti i sentimenti di rabbia, la confusione se non addirittura l’ignoranza circa ciò che è successo e ciò che sta succedendo, i desideri di vendetta e una miriade di altri fattori soggettivi che li portano a iniziare una lite giudiziaria.
Quindi, quello che sembrerebbe a prima vista il fattore più decisivo, ossia la ricerca di un risarcimento economico, può spesso rappresentare solo un aspetto secondario rispetto agli altri fattori sopra elencati. Per questa ragione, è apparso chiaro agli studiosi che la conciliazione poteva essere lo strumento più adatto a risolvere queste liti, anche più degli altri sistemi di risoluzione alternativa delle controversie, quali l'arbitrato, che si focalizzano invece sul merito e sugli aspetti giuridici della disputa. Ovviamente ancora meno efficace a fornire una risposta ai bisogni, spesso nascosti, ma effettivi dei soggetti coinvolti si è rivelata la tutela giudiziale, poiché il giudice è vincolato agli aspetti giuridici della vertenza e non può esplorare né tanto meno dare rilievo alle ragioni più intime che hanno portato il paziente a iniziare la causa.
In molti stati degli USA la conciliazione nel settore sanitario è intensamente utilizzata, perché spesso rappresenta un sistema economico per risolvere la lite, anche per la stessa amministrazione pubblica. Difatti in molti stati i giudici hanno il potere di sospendere autonomamente il giudizio ordinando alle parti di tentare la conciliazione, sostenendone i relativi costi, comunque assai più bassi rispetto a quelli della vertenza giudiziale. Per questa ragione, per esempio, la tendenza dei giudici americani è quella di invitare le parti a provare la conciliazione agli inizi della lite, quando le attività, e quindi le spese legali, non sono ancora esplose. Non solo, numerosi studi svolti negli USA hanno dimostrato che uno dei principali fattori di successo della conciliazione sanitaria è rappresentato dall’avere tentato la conciliazione non appena è sorta la lite, ossia appena il paziente si sia lamentato dell'operato del medico o della struttura sanitaria. Questo ha permesso di ridurre al minimo le spese di istruzione della causa e di intervento dei legali, evitando anche l’esacerbarsi e l'irrigidimento delle posizioni che è una conseguenza inevitabile allorché inizia il processo contenzioso (si pensi alle visite presso i vari specialisti, alle lettere degli avvocati, ecc.). Negli Stati Uniti l’aspetto dei costi legali assume carattere decisivo in molte vertenze, anche a detrimento del paziente che, se non è in grado di anticipare le spese legali o di trovare un avvocato disposto a lavorare col patto di quota-lite (ossia a risultato), si può trovare costretto a rinunciare a far valere le proprie legittime ragioni di vittima di un errore medico. Per questi motivi, il metodo della conciliazione nelle vertenze di responsabilità sanitaria offre alle parti l’opportunità di incontrarsi e di esplorare possibili soluzioni con costi contenuti e in un ambiente regolato e quindi tranquillo. Se la conciliazione riesce, non solo le parti, ma anche l’amministrazione statale ha potuto risparmiare tempo e risorse che possono così essere allocate in modi molto più utili per la comunità. È indubbio che questa sia stata proprio una delle motivazioni che ha spinto il legislatore italiano a rendere obbligatorio il tentativo di conciliazione prima che la lite sia portata in un’aula di Tribunale all'esame del giudice, ormai oberato un numero spropositato di cause. Peraltro, come si dirà qui di seguito, la conciliazione presenta degli aspetti negativi o delle problematiche che occorre tenere presente per fornire un quadro obiettivo. La conciliazione raggiunge, infatti, la massima efficacia in quelle situazioni in cui entrambe le parti sono realmente interessate a discutere della loro vertenza all'interno di un procedimento non vincolante. Gli stessi interventi del mediatore, quando richiesti dalle parti, sono sempre solo delle semplici raccomandazioni o suggerimenti mai vincolanti e, se una delle parti vuole qualche cosa che l’altra parte non è disposta a concedere, la conciliazione può divenire un mero esercizio di stile. Si deve peraltro segnalare che nel sistema delineato dal D. Lgs n. 28/2010 il conciliatore può, se richiesto da entrambe le parti, formulare all’esito della conciliazione una “proposta di accordo”. Tale proposta, come detto, non è vincolante per nessuna delle parti, ma – per darle una forza persuasiva – il legislatore ha previsto una serie di conseguenze negative in termini di rimborso delle spese legali a carico della parte che non si è uniformata alla proposta, che è poi risultata in linea con la sentenza del giudice. Si deve poi aggiungere che la struttura della conciliazione tendenzialmente non consente di acquisire nuove informazioni utili durante il procedimento, ma piuttosto una migliore valutazione di quelle informazioni già in possesso delle parti. Difatti in sede di conciliazione ciascuna parte preferisce mantenere segrete le informazioni rilevanti o, eventualmente, comunicarle al mediatore (che ha l’obbligo del segreto) nel corso delle sessioni private, in cui non è presente l’altra parte. In alcune situazioni studiate negli USA è emerso che la conciliazione si era rivelata inutile poiché mancavano alcuni prerequisiti idonei a portare le parti a un accordo (si pensi, nel settore sanitario, all’assenza di una preventiva visita di parte del paziente che potesse dare almeno un’indicazione di massima circa i danni riportati). Inoltre, la conciliazione difficilmente riesce a modificare le valutazioni delle parti circa il merito della vertenza (si pensi alla presenza di un errore medico) e pertanto non si rivela utile quando le parti non sono entrambe d’accordo sui punti di partenza alla base della lite (per esempio, che l’errore vi sia effettivamente stato). Infine, essendo per sua natura non vincolante, la conciliazione manca del carattere coercitivo in caso di rifiuto di una parte a rispettare gli impegni presi in sede di conciliazione e pertanto per alcuni rappresenta una perdita di tempo, se messa a confronto con la forza esecutiva insita nella sentenza del giudice.
A tale riguardo occorre però precisare che in Italia il legislatore ha previsto che il verbale di conciliazione, che racchiude l’accordo raggiunto dalle parti, possa essere omologato dal giudice e divenire quindi titolo per agire in via esecutiva o iscrivere ipoteca sui beni del debitore che non si uniforma all’accordo. Quanto sopra esposto in termini generali, negli USA ha avuto riscontro anche nello specifico settore della responsabilità sanitaria.
La conciliazione ha mostrato di avere grande efficacia soprattutto in quelle vertenze in cui entrambe le parti avevano interesse a mantenere in vita una relazione di medio-lungo periodo. Proprio il desiderio delle parti di non interrompere ogni rapporto, ha aumentato drasticamente le probabilità di addivenire a un accordo amichevole, che spesso è il frutto di un reciproco scambio di concessioni. Del resto è noto che la conciliazione trovi il suo terreno fertile laddove vi siano interessi comuni tra le parti, e compito del mediatore è proprio quello di aiutare le parti ad identificare i rispettivi interessi, andando oltre le posizioni di partenza, e trovare quindi delle soluzioni che soddisfino tali interessi, in modo accettabile per entrambe. Posta tale premessa, si deve rilevare che spesso nel settore sanitario può risultare difficile che entrambe le parti desiderino mantenere in vita un rapporto di medio-lungo termine, poiché molte vertenze si incentrano tuttora solo sulla richiesta di adeguati risarcimenti dei danni, e difficilmente il paziente danneggiato sarebbe disposto a concedere una “seconda possibilità” al medico curante.
D'altra parte, il medico che riceve un'accusa di aver commesso un errore spesso tenta di negare in tutti i modi tale evenienza, anche quando effettivamente verificatasi (si ricordi che in medicina i margini di errore sono addirittura statisticamente previsti), perché ritiene che ammettere l'errore potrebbe danneggiare la sua reputazione e la sua immagine professionale. In definitiva, le brevi riflessioni sopra svolte, che hanno sintetizzato alcune conclusioni raggiunte negli USA, dimostrano che la conciliazione nel settore sanitario può portare a risultati assai positivi, spesso però solo a determinate condizioni.
Bisognerà quindi verificare sul campo quali saranno le specifiche ipotesi di responsabilità in cui sarà più alta la probabilità che le parti raggiungano un accordo in sede di conciliazione, evitando di coinvolgere il giudice per la soluzione della loro lite.

Avvocato Stefano Meani
Avvocato esperto in diritto commerciale ed internazionale

Foto: succo, geralt at pixabay.com; intro: Mirko Podico