Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 6 del 2005

Introduzione

In un articolo apparso sul Corriere della Sera alla fine del marzo 2005 si legge che in Italia le azioni legali contro i medici sono 15 mila all’anno e che gli ospedali spendono oltre 10 miliardi di euro per risarcire errori terapeutici e diagnostici. Si ritiene inoltre che in Italia un medico con vent’anni di carriera avrebbe 80 probabilità su 100 di essere citato in giudizio, ma anche 80 probabilità su 100 di venire giudicato non responsabile del danno lamentato dal paziente1.
Volgendo lo sguardo agli Stati Uniti d’America, paese che spesso anticipa situazioni che poco dopo si verificano in Europa, la costante crescita di procedimenti giudiziari contro i medici ha portato a paradossi quali quello della Florida dove i neurochirurghi disposti ad operare in emergenza sono rimasti in 4, per 13 ospedali e 16 milioni di abitanti. A causa del continuo incremento di azioni legali nei confronti dei medici, negli U.S.A. si sta assistendo ad un esodo di massa dalle specializzazioni più “rischiose” verso quelle meno “invasive” ed ad un massiccio ricorso alla medicina difensiva, ossia la prescrizione di accertamenti il più delle volte inutili per il paziente ma finalizzati a prevenire accuse di scarsa diligenza da parte del medico2.
L’aumento dei risarcimenti concessi alle vittime della medical malpractice3 ha innescato un vero e proprio circolo vizioso, facendo schizzare in alto i premi assicurativi4 e le spese sanitarie. La vittima finale di questa situazione rimane il paziente il quale incontra sempre maggiori difficoltà ad accedere alla tutela sanitaria se non provvisto di un’adeguata assicurazione che gli consenta di sostenere gli elevati costi delle cure mediche5.
In Italia, la dottrina giuridica ha osservato che le regole in tema di responsabilità medica stanno scivolando lentamente da una classica situazione di under compensation (in cui il risarcimento assicurato alle vittime della malpractice medica era assolutamente irrisorio, anche a causa della rigida applicazione delle regole dettate in tema di responsabilità) ad una situazione di over compensation, peraltro intesa più come sovrabbondante entità del contenzioso che come eccessiva misura dei risarcimenti concessi al paziente6.
L’evoluzione medico scientifica - che a volte ha ingenerato l’errata rappresentazione della forbice esistente tra ciò che la scienza medica ha raggiunto in termini di progresso e di risultato e ciò che nel singolo caso si può effettivamente fare – sta portando i giudici a ritenere che la prestazione medica sia sempre meno una obbligazione di mezzi, ossia un’obbligazione in cui il medico si impegna ad operare con la massima diligenza ma senza poter garantire il risultato finale sperato dal paziente, ad una obbligazione di risultato7, in cui appunto il medico è chiamato a rispondere tutte le volte in cui non raggiunge il risultato auspicato dal paziente.
Tornando agli esiti delle rilevazioni statistiche effettuate in Italia, emerge un altro dato interessante ossia che il 70% degli incidenti deriverebbe da problemi di carattere organizzativo all’interno della struttura ospedaliera8.
In effetti, è sempre più netta l’attenzione a distinguere tra la responsabilità del singolo e quella della struttura ospedaliera, dato che spesso il “danno” subito dal paziente non è dipeso da uno specifico atto del medico o dell’infermiere ma da difetti o carenze organizzative dell’ospedale.
In questo quadro si inserisce la specifica problematica delle infezioni nosocomiali. Difatti, se un ricoverato contrae un’infezione nel corso della degenza potrebbe agire in giudizio sia contro l’azienda sanitaria da cui dipende la struttura in cui si è (o si sarebbe) verificato l’evento lesivo, sia contro il personale medico e sanitario che potrebbe aver contribuito a determinare tale evento.
È evidente che anche in queste ipotesi per individuare il soggetto od i soggetti responsabili occorre pur sempre accertare il nesso causale esistente tra la condotta, eventualmente omissiva, e l’evento. Siffatta indagine verrà svolta, il più delle volte, dall’esperto in epidemiologia che dovrà lavorare a stretto contatto con il medico legale e con l’avvocato, al quale spetterà il compito di applicare gli specifici principi di diritto operanti nel settore della responsabilità medica.
Di seguito verranno quindi brevemente esaminati gli aspetti giuridici concernenti la responsabilità del medico e della struttura ospedaliera, con particolare attenzione all’ipotesi di infezioni contratte in ospedale.

Sul rapporto Paziente – Medico

Prima di affrontare le peculiari problematiche derivanti dalle infezioni nosocomiali, reputiamo opportuno svolgere un breve excursus per riepilogare rapidamente quale sia la natura giuridica del rapporto che si instaura fra il paziente e il medico e fra il paziente e la struttura ospedaliera, soprattutto per individuare la disciplina delle rispettive responsabilità.
Per quanto concerne la responsabilità dei medici dipendenti dalla struttura ospedaliera, la giurisprudenza è partita da una qualificazione che si inseriva nell’ambito della responsabilità extracontrattuale9 per arrivare a ritenere applicabili i principi dettati in tema di responsabilità contrattuale.
La svolta è avvenuta con la nota sentenza della Corte di Cassazione n. 589 del 199810 che ha giustificato la responsabilità contrattuale del medico dipendente sulla base della teoria del c.d “contatto sociale”.
Questa teoria11 è stata invocata dai giudici di legittimità per estendere l’ambito delle fonti di obbligazione (art. 1173 cod. civ.) ed applicare la disciplina in tema di responsabilità contrattuale anche ai rapporti che sorgono attravero il solo obbligo sociale di prestazione12.
Si afferma, infatti, che il medico è tenuto ad adempiere obblighi di cura che derivano dalla sua appartenenza ad una professione c.d. protetta13 e su cui il paziente ha fatto “affidamento” entrando in “contatto” con il medico, pur in assenza del “formale” negozio giuridico14. In altri termini, il medico è chiamato a rispondere a titolo contrattuale dei danni cagionati nell’esercizio della propria attività professionale per il solo fatto di essere venuto in contatto con il paziente, anche in assenza di un obbligo di prestazione a favore del paziente posto a suo carico.
Richiamando i principi della responsabilità contrattuale si è potuta applicare in via diretta e non più analogica15 la disciplina dettata dall’art. 2236 cod. civ., relativa alla limitazione di responsabilità per il medico ai soli casi di dolo o colpa grave, allorquando la prestazione si presentava particolarmente complessa16.
L’utilizzo delle regole dettate in tema di responsabilità contrattuale ha inoltre alleggerito l’onere della prova a carico del paziente attore17, dato che ora egli è tenuto a dimostrare solo l’inadempimento e/o inesattezza dell’adempimento del medico, mentre spetterà a quest’ultimo provare che l’inadempimento è stato incolpevole o derivante da impossibilità sopravvenuta a lui non imputabile (art. 1218 cod. civ.)18. Del resto, anche nel caso in cui il professionista invochi il più stretto grado di colpa di cui all’art. 2236 cod. civ., sarà sempre suo onere dimostrare che la prestazione implicava la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà e che, nella fattispecie, non vi era stato dolo o colpa grave.
Per quanto concerne la distribuzione dell’onere della prova, può essere anzitutto opportuno richiamare il più recente orientamento della Cassazione secondo cui, a fronte dell’inesatto adempimento di un prestazione medica, resa nell’ambito di una struttura sanitaria, compete alla struttura e/o al medico, in ragione e applicazione del principio di riferibilità o vicinanza della prova, provare l’incolpevolezza dell’inadempimento (ossia della impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore) e la diligenza nell’adempimento19.
Più in generale, va detto che è rimasta in vigore la distinzione tra interventi di facile esecuzione o di routine - in cui il medico è responsabile anche in caso di colpa “lieve” - ed interventi di difficile esecuzione - in cui il sanitario è responsabile solo in caso di dolo o colpa “grave”20.
Rispetto agli interventi del primo tipo, il paziente deve provare solo che esso rientrava in pieno nell’ambito delle conoscenze tecniche acquisite dalla comunità scientifica. Al professionista spetterà invece dimostrare che l’insuccesso non è dipeso da propria negligenza21, poiché in questo ambito scatta il principio c.d. res ipsa loquitur secondo cui vi è una presunzione di colpa in capo al medico22.
È stato precisato che l’accertamento in merito alla speciale difficoltà dell’operazione deve riguardare il singolo caso concreto in tutte le sue particolarità operative e non può limitarsi all’intervento considerato in via astratta e generale23. Non si deve comunque dimenticare che la limitazione di responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave attiene esclusivamente al profilo della perizia e non copre i danni provocati da negligenza o imprudenza, dei quali il medico risponde in ogni caso24.
I principi dettati in tema di responsabilità contrattuale hanno permesso di affermare che anche i medici sono tenuti a rispettare i c.d. “obblighi di protezione”25, ossia quegli obblighi accessori26 alla prestazione principale (nella specie, diagnosi o cura) che, seppur non espressamente stabiliti, sono posti a carico del debitore al fine di rafforzare la tutela del creditore.
Grazie a questi concetti si è potuto ampliare il raggio di azione della responsabilità contrattuale, ricomprendendovi anche la violazione degli obblighi esterni alla prestazione principale, altrimenti destinati a ricevere tutela in base ai principi della responsabilità extracontrattuale27. Fra questi obblighi accessori posti a carico del medico rientra anche l’obbligo di informazione e l’obbligo di sorveglianza sulla salute del soggetto, anche nella fase postoperatoria28.
Si deve subito precisare che l’obbligo di informazione nell’ambito della professione medica può assumerre svariate dimensioni e contenuti29. La giurisprudenza e la dottrina hanno per lo più focalizzato la loro attenzione sull’obbligo di informare il paziente circa la natura ed i rischi connessi al trattamento terapeutico, al fine di ottenere il suo consenso “informato” all’esecuzione dell’operazione30.
Peraltro, l’obbligo di informazione può avere un contenuto più ampio ed avere ad oggetto anche la fase successiva al trattamento terapeutico. In un caso sottoposto al Tribunale di Venezia31, si è ritenuto violato l’obbligo di informare il paziente sul suo stato di salute generale, ossia un’informazione che riguardava la fase diagnostica e finale del suo ricovero32. Il Giudice veneziano, uniformandosi all’orientamento della Suprema Corte sul punto, ha inoltre dichiarato che l’obbligo di informazione non termina con la dimissione del paziente33.
Come si vedrà tra breve, la tendenza giurisprudenziale è proprio nel senso di ampliare i confini degli obblighi di informazione posti a carico del medico fino a ricomprendervi anche l’obbligo di informare il paziente circa la carenze strutturali del nosocomio presso cui è ricoverato.

Sul rapporto Paziente – Struttura Ospedaliera

È ormai consolidata l’opinione che riconosce la natura contrattuale del rapporto intercorrente tra il paziente e la struttura dipendente dall’ente sanitario nazionale34. Tale riconoscimento si basa sulla considerazione che il se rvizio è reso dalla struttura nell’interesse ed a vantaggio dei privati che, fattane richiesta, ne usufruiscono. L’ente non si trova rispetto ai privati in una posizione di potere ma di parità, in quanto a seguito della richiesta di ricovero o, più in generale, della prestazione medica, si costituisce un rapporto giuridico, strutturato su di un diritto soggettivo del privato e sul dovere della prestazione dell’ente.
Va peraltro detto che negli ultimi anni parte della giurisprudenza ha mutato le sue posizioni originali per quanto concerne l’individuazione dello specifico rapporto contrattuale che sorge fra ospedale e paziente. L’orientamento tradizionale35 ritiene che l’attività svolta dall’ente che eroga il servizio sanitario sia simile all’attività svolta dal medico nell’esecuzione dell’obbligazione privatistica della prestazione.
Al rapporto fra ente e paziente si applicherebbero quindi in via analogica le norme che disciplinano il contratto di prestazione d’opera intellettuale di cui agli artt. 2229 e segg. cod. civ.. In questo ambito, il presupposto essenziale per l’affermazione della responsabilità contrattuale dell’ente diviene l’accertamento di un comportamento non diligente del sanitario il cui operato è riferibile all’ente o attraverso il richiamo all’art. 28 della Costituzione – che enuncia il principio della c.d. immedesimazione organica - o attraverso il richiamo all’art. 1228 cod. civ. che disciplina la responsabilità del debitore per il fatto dei propri ausiliari. Ulteriore corollario di tale ricostruzione sistematica è l’applicabilità dell’art. 2236 cod. civ. in tema di prestazione particolarmente complessa.
L’orientamento che potremmo definire emergente muove invece dalla constatazione che i servizi erogati dalla struttura ospedaliera sono molto più ampi e complessi rispetto a quelli resi dal singolo medico, tenuto anche conto della forma “organizzata” attraverso cui sono gestiti. Per questo motivo è stata prospettata una diversa qualificazione del rapporto struttura-paziente che troverebbe la sua fonte in un contratto “innominato”, vale a dire un contratto non espressamente previsto dalla legge, che è stato definito come “contratto di spedalità”36.
L’esigenza di superare la consueta qualificazione in termini di contratto di prestazione d’opera intellettuale nasce dalla convinzione che fra la responsabilità del medico e quella del paziente non vi sia una perfetta coincidenza, dato che la prestazione strictu senso medica è solo una parte della più complessa obbligazione assunta dall’ente. Tale obbligazione comprende, accanto alla prestazione principale di cura, anche una serie di altre prestazioni che la struttura fornisce al malato: l’alloggio, la ristorazione, la sicurezza degli impianti e dei locali in cui si svolgono le operazioni sanitarie, l’organizzazione dei turni del personale medico, paramedico ed infermieristico, la messa a punto di programmi per il buon funzionamento delle attrezzature elettromedicali, etc..
Alla base di questo nuovo indirizzo giurisprudenziale vi è la considerazione che ciò che caratterizza il servizio reso dall’ospedale rispetto a quello reso dal medico tradizionale è la natura “organizzata, multi settoriale e complessa” per cui è lecito attendersi che la gestione delle risorse umane e delle attrezzature di cui dispone la struttura sia ispirata a parametri di efficienza organizzativa che riducano al minimo, o almeno a livello accettabile, il rischio cui è sottoposto il paziente durante il ricovero. Con la conseguenza che ove tale efficienza organizzativa manchi, la struttura dovrebbe essere ritenuta responsabile indipendentemente da una colpa del singolo medico.
La novità della ricostruzione consiste proprio nello spezzare il legame tra colpa del sanitario e responsabilità dell’ente per riconoscere una responsabilità autonoma della struttura per violazione di doveri suoi propri, tra i quali spicca il dovere di organizzazione37.
La crescente importanza rivestita dagli aspetti organizzativi e gestionali, dell’adeguatezza strutturale del luogo di cura e del controllo della qualità del servizio erogato è confermata anche a livello legislativo. Si veda, fra gli altri, il D.P.R. 14 gennaio 1997 che in un apposito atto allegato stabilisce i requisiti minimi di tipo strutturale, organizzativo e tecnologico necessari per l’esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e private. Lo stesso procedimento di accreditamento istituzionale introdotto con il D. Lgs. n. 229 del 1999 presuppone l’identificazione da parte delle Regioni di requisiti minimi (ulteriori rispetti a quali previsti a livello nazionale per ottenere l’autorizzazione all’esercizio di attività sanitaria) e dei rispettivi indicatori.
La configurazione della deficienza organizzativa come fonte autonoma di responsabilità della struttura, chiamata a rispondere dei danni occorsi al paziente a causa dell’inadempimento del contratto di cura o di spedalità intercorso con lo stesso, costituisce un ulteriore sviluppo della dinamica giurisprudenziale volta ad aumentare le possibilità di ristoro del danneggiato in caso di medical malpractice.
Vaevidenziato, però che il nuovo approccio della giurisprudenza produce riflessi importanti anche sulla posizione del medico. Difatti, il difetto organizzativo fa gravare sul sanitario nuovi e diversi compiti, rappresentati dall’obbligo di informare il paziente anche in merito alle eventuali carenze strutturali e dalla necessità di una maggiore diligenza richiesta dalla difficile situazione ambientale in cui si svolge la prestazione medica38.

Stefano Meani
Avvocato in Milano

Bibliografia

1. Articolo a firma di Giuseppe Remuzzi pubblicato sul Corriere della Sera il 30 marzo 2005.
2. Articolo a firma di Maria Grazia Cucurachi pubblicato sul Il Sole-24ore il 14 febbraio 1005, pag. 2.
3. Nell’articolo appena citato si legge che dal 1997 al 2002 i pagamenti medi patteggiati fuori dai tribunali sono passati da 212.861 dollari a 322.544 dollari, mentre i risarcimenti stabiliti dai giudici nello stesso periodo sono saliti da 347.134 dollari a 430.727 dollari.
4. Nel citato articolo del Sole-24ore si afferma che nel 2002 tali premi sono aumentati tra il 36% e il 113% negli Stati privi di tetti sui risarcimenti.
5. Per questo motivo l’attuale Presidente degli Stati Uniti sta portando avanti un progetto di riforma federale volto ad estendere a tutti gli Stati dell’Unione la previsione di un tetto massimo dei risarcimenti, indicato in 250.000 Dollari. Gli Stati della California, Colorado, New Mexico, Lousiana, Wisconsin e Indiana hanno regolamentato la responsabilità medica fissando appunto dei tetti massimi per i risarcimenti, riuscendo in questo modo a mettere un freno alla crescita delle cause e dei premi assicurativi degli ultimi anni, come ricordato nel citato articolo del Sole 24-ore.
6. Ponzanelli, La responsabilità medica ad un bivio: assicurazione obbligatoria, sistema residuale no-fault o risk-managment?, in Danno e Resp., 2003, 428 e segg.
7. Cass. 19 maggio 2004, n. 9471, in Dir. e Giust., 2004, f. 25, 32 che in motivazione parla di “sostanziale trasformazione dell’obbligazione del professionista da obbligazione di mezzi in obbligazione di (quasi) risultato”.
8. I dati sono stati estrapolati da articoli pubblicati su Il Sole 24-ore, 14 febbraio 2005, pag. 3 che riportano a loro volta quanto esposto nella relazione del Tribunale per i Diritti del Malato in vista della giornata nazionale del malato del 17 febbraio 2005.
9. Si sosteneva infatti che il medico, il quale svolge attività diagnostica e terapeutica quale organo dell’ente, rimane estraneo al contratto d’opera professionale intercorso tra il paziente e l’ente: Cass. 13 marzo 1998, n. 2750, cit.; Cass. 26 marzo 1990, n. 2428, in Giur. it., 1991, I, 1, 600. In dottrina: Paradiso, La responsabilità medica: dal torto al contratto, in Riv. Dir. Civ., 2001, 325.
10. Cass. 22 gennaio 1999, n. 589, in Foro it., 1999, I, 3332, con nota di Di Ciommo e Lanotte; in Danno e Resp., 1999, 294, con nota di Carbone; in Corr. Giur., 1999, 441, con commento di di Majo; in Giust. Civ., 1999, I, 999, con nota di Giacalone. Nello stesso senso, da ultimo: Cass. 21 giugno 2004, n. 11488, in Danno e resp., 2005, 23, con nota di De Matteis.
11. In senso critico si vedano: Di Ciommo, Note critiche sui recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di responsabilità del medico ospedaliero, in Foro it, 1999, I, 3335.
12. Giacalone, cit., 1002.
13. Si ricordi che la prestazione medica, per le sue caratteristiche, gode di protezione sotto il profilo penale (art. 348 c.p.) e lo stesso codice penale considera l’esercizio dell’arte medica come servizio di pubblica necessità (art. 359, n. 1, c.p.). La qualifica professionale deriva, poi, da una specifica abilitazione rilasciata dallo Stato.
L’attività del medico incide su di un bene costituzionalmente garantito (art. 32 Cost.) ed il medico è vincolato al rispetto di una disciplina deontologica particolarmente pregnante.
14.
Così Viti, Responsabilità medica: tra perdita di chances di sopravvivenza e nesso di causalità, in Corr. Giur., 2004, 102. Vedi anche Lanotte, L’obbligazione del medico dipendente è un’obbligazione senza prestazione o una prestazione senza obbligazione?, in Foro it., 1999, I, 3338. Sui rapporti contrattuali di fatto, si vedano, fra gli altri: Franceschelli, Rapporti contrattuali di fatto, in Contratti, 1994, 646; Angelici, Rapporti contrattuali di fatto, voce dell’Enc. Giuridica Treccani, Roma, 1991, XXV.

15. Va infatti ricordato che anche per coloro che affermavano la natura extracontrattuale dell’illecito attribuito al medico dipendente era possibile applicare la disciplina dell’art. 2236 cod. civ., ma solo in via analogica: Cass. 18 novembre 1997, n. 11440, in Riv. giur. circ., 1998, 67.
16. Così, Giacalone, cit., 1005.
17. Per un approfondimento della questione concernente la ripartizione dell’onere della prova tra medico e paziente si rinvia a Grondona, commento a Cass. 19 maggio 1999, n. 4852, in Danno e Resp., 2000, 157 e ss.
18. Cfr. di Majo, Mezzi e risultato nelle prestazioni mediche: una storia infinita, in Corr. Giur. 2005, 38.
19. Così De Matteis, cit., 35, la quale richiama le pronunce di: Cass. 21 giugno 2004, n. 11488, cit.; Cass. 28 maggio 2004, n. 10297, in Dir. e Giust., 2004, f. 28, 37; Cass., SS.UU., 30 ottobre 2001, n. 13533, in Corr. Giur., 2001, 1565, con nota di Mariconda dal titolo “Inadempimento e onere della prova: le Sezioni Unite compongono un contrasto e ne aprono un altro”.
20. Cass. 13 gennaio 2005, n. 583.
21. Il leading case è Cass. 21 dicembre 1978, n. 6141, in Giur. It.,1979, I, 1, 853. Per un approfondimento sul punto si rinvia a De Matteis, cit., 37.
22. Per un approfondito esame di questo principio si rimanda a Izzo, Il tramonto di un “sottosistema” della r.c.: la responsabilità medica nel quadro della recente evoluzione giurisprudenziale, in Danno e resp., 2, 2005, 144 e segg..
23. Cass. 30 maggio 1996, n. 5005, in Giust. civ. Mass., 1996, 797
24. Sul punto: Cass. 10 maggio 2000, n. 5945, in Riv. it. Medicina legale, 2001, 1137, ed in Dir. e Giust., 2000, fasc. 19, 51; Trib. Milano, 23 maggio 2003, in Giur. mil., 2003, 435; Cass. 18 novembre 1997, n. 11440, in Riv. it. medicina legale, 1999, 982.
25. Cass. 2 ottobre 2001, n. 12198, in Giust. Civ., 2002, I, 3167, afferma testualmente che “Il contratto di prestazione professionale avente ad oggetto la prestazione medica… impone al sanitario dipendente della struttura ospedaliera gli obblighi di diagnosi, cura ed assistenza e gli altri obblighi di protezione propri della prestazione medica”.
26. Giacalone, cit., 1004, parla di doveri accessori che integrano il contratto che trovano la loro fonte nell’ordinamento e, in particolare, nelle clausole generali di correttezza, diligenza e professionalità. Vedi anche: Castronuovo, Obblighi di protezione, in Enc. Giur. Treccani, XXI, Roma, 1990; di Majo, Delle obbligazioni in generale, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1988, 315 ss. Benfatti, Doveri di protezione, voce del Digesto Civ., Torino 1991, VII, 221.
27.
Lanotte, cit., 3338.

28. Così, Lanotte, nota a Cass. 21 luglio 2003, n. 11316, in Foro it., 2003, I, 2970. Vedi anche: Cass. 11 marzo 2002, n. 3492, in Riv. it. Medicina legale, 2003, 449.
29. Di Ciommo, commento a Tribunale di Spoleto 18 marzo 1999, in Danno e Resp., 1999, 1252, il quale ricorda che la dottrina distingue fra attività medica propriamente terapeutica (in cui l’ampiezza del dovere di informazione è ridotta), attività medico-estetica od odontostomatologica (in cui il dovere di informazione assume particolare valenza, considerati anche i risvolti psichici della vicenda) ed attività diagnostica (in cui il dovere di informazione rappresenta esso stesso la prestazione medica).
30. Sul punto, si vedano: Cass. 16 maggio 2000, n. 6318, in Danno e Resp., 2001, 154, con nota di Cassano; Cass. 6 ottobre 1997, n. 9705, in Resp. civ. e prev., 1998, 667, con nota di Citarella; Cass. 15 gennaio 1997, n. 364, in Foro it., 1997, I, 771, con nota di Palmieri; Trib. Venezia, 4 ottobre 2004, in Corriere del Merito, 2005, 21; App. Milano, 2 ottobre 2002, in Giur. mil., 2003, 31; Donati, Consenso informato e responsabilità da prestazione medica, in Rass. Dir. Civ., 2000, 1 ss.; Gorgoni, La “stagione” del consenso e dell’informazione: strumenti di realizzazione del diritto alla salute e di quello di autodeterminazione, in Resp. civ. e prev., 1999, 488.
31. Tribunale di Venezia, 13 dicembre 2004, in Corriere del Merito, n. 4, 2005, 411.
32. Per un analogo caso in cui è stata riconosciuta la responsabilità del medico per errata diagnosi e mancato approntamento di ulteriori accertamenti, si veda: Trib. Messina, 28 dicembre 2002, in Giur. merito, 2003, 1427.
33. Tribunale di Venezia, 13 dicembre 2004, cit.. Già secondo Cass. 8 luglio 1994, n. 6464, in Rass. Dir. Civ., 1996, 342, con nota di Carusi, si era affermato che “il dovere di informativa non viene meno per effetto della dimissione volontaria da parte del paziente”.
34. Cass. 23 settembre 2004, n. 19133, in Giust. Civ. Mass., 2004, f. 9; Cass. 4 marzo 2004, n. 4400, in Cass. Pen., 2004, 2537 ed in Dir e Giust., 2004, f. 14, 38.
35. Cass. 21 dicembre 1978, n. 6141, in Foro it., 1979, I, c. 4; Cass. 1 marzo 1988, n. 2144, in Foro it., 1988, I, c. 2296, con nota di Princigalli, Medici pubblici dipendenti responsabili come liberi professionisti?
Cass. 27 luglio 1998, n. 7336, in Resp. civ. e prev., 1999, 996.
36. Cass., SS.UU., 1° luglio 2002, n. 9556, in Giust. Civ., 2003, 1, 2195.
37. Cass., SS.UU., 1° luglio 2002, n. 9556 cit. sostiene che è configurabile una responsabilità autonoma e diretta della casa di cura ove il danno subito dal paziente risulti causalmente riconducibile ad un’inadempienza alle obbligazioni (di organizzazione) ad essa facenti carico, “a nulla rilevando che l’eventuale responsabilità concorrente del medico di fiducia del paziente medesimo sia ancora “sub iudice” in altro separato processo”.
38. Sul punto, si veda infra.