Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 277 del 2009

Abstract

L'evoluzione della tecnologia nell'emodialisi è passata attraverso molte tappe, inclusa quella della fattibilità, della ricerca di affidabilità, dell'automatizzazione per migliorarne l'efficienza, dell'impegno verso una maggiore tolleranza e adeguatezza del trattamento. Oggi una nuova sfida appare all'orizzonte relativamente alla miniaturizzazione, trasportabilità, indossabilità e, perché no, la possibilità di sviluppare dispositivi impiantabili per la terapia renale sostitutiva. Purtroppo non ci siamo ancora, ma una nuova serie di documenti è stata, comunque, pubblicata, rivelando interessanti e promettenti risultati sull'applicazione dei sistemi di ultrafiltrazione indossabili (WUF) e dei reni artificiali indossabili (WAK). Alcuni di questi utilizzano la depurazione extracorporea del sangue, mentre altri utilizzano la dialisi peritoneale come modalità di trattamento. Speciale menzione merita il sistema di ultrafiltrazione indossabile/portatile per la terapia della sovraccarico idrico e l'insufficienza cardiaca congestizia. Questo sistema permetterà la deospitalizzazione e la cura dei pazienti con minore comorbilità e maggiore tolleranza. Questo manoscritto presenta i risultati iniziali di questi nuovi apparecchi ottenuti nel centro di Vicenza e propone uno sforzo per fare il salto di qualità, tecnologicamente parlando, in modo da rendere il rene artificiale indossabile una realtà e non solo un sogno.

Introduzione

E' vero che le prime tecniche di emodialisi, su pazienti affetti da insufficienza renale acuta, si praticavano già negli anni '20 [1], ma soltanto alla fine della seconda guerra mondiale l'emodialisi è divenuta un mezzo salvavita efficace contro l'insufficienza renale acuta.  Questo grazie alla depurazione, alla disponibilità in commercio di eparina non frazionata, un efficace anticoagulante extracorporeo, nonché ad un lavoro pionieristico nello sviluppo di un filtro dializzatore a tamburo [2,3]. L'emodialisi ha continuato comunque ad essere 'la terapia' per le insufficienze renali acute, fino agli anni  '60, conseguendo miglioramenti nell'acceso vascolare [4] e tecnologie di dializzazione [5], che hanno permesso trattamenti a lungo termine su pazienti con insufficienza renale in fase terminale [6]. Altri trattamenti, come la dialisi peritoneale furono adottate negli anni '20 e prima della seconda guerra mondiale [7].  Anche con l'introduzione di un metodo semplificato di irrigazione della cavità peritoneale, attraverso l'utilizzo di un catetere monouso e di soluzioni dializzanti disponibili in commercio [8], la dialisi peritoneale era rimasta una terapia fondamentalmente per l'insufficienza renale acuta. Soltanto quando Tenckhoff descrisse l'uso del catetere permanente interno, in gomma siliconica con cuffie in Dacron, è stato possibile effettuare trattamenti di dialisi peritoneali intermittenti e periodiche [9], mentre soltanto dal 1976 [10] si è creata una dialisi peritoneale continua per l'insufficienza renale cronica in forma ambulatoriale (CAPD).

Dal momento in cui si è potuto disporre di terapie di dialisi affidabili anche per le insufficienze renali all'ultimo stadio, la grande scommessa sarebbe stata di sviluppare un dispositivo di dialisi indossabile o portatile che mimasse il rene naturale, in modo da poter trattare i pazienti 24 su 24 e permettere loro un più libero apporto idrico ed alimentare. Alcune esperienze sono state riportate relativamente ad apparecchi per emodialisi "indossabili", ma in generale si trattava comunque  di circuiti di emofiltrazione che utilizzavano spesso dei cateteri femorali, e/o shunt artero-venosi [11]. Sovente tali apparecchi non avevano le caratteristiche di sicurezza dovute, essendo semplicemente attaccati alla coscia, senza alcun allarme in caso di distacco, o monitoraggio sulla presenza di eventuale aria nel circuito, con controlli volumetrici molto elementari [11]. Con dei dispositivi più sofisticati si poteva riciclare l'ultrafiltrato tramite il passaggio attraverso cartucce assorbenti [12]. Tuttavia questi meritevoli pionieri non erano in grado di sviluppare i loro apparecchi, a causa delle notevoli dimensioni e peso e per il basso grado di efficienza depurativa. Solo di recente, grazie allo sviluppo di pompe miniaturizzate, è stato possibile mettere in pratica queste idee pionieristiche, per la realizzazione di apparecchi di emodialisi e/o emofiltrazione che veramente si potessero indossare.

Sebbene la dialisi peritoneale continua ambulatoriale e la dialisi peritoneale automatizzata possano considerarsi forme continuative di dialisi giornaliera, in grado di lasciare la libertà al paziente di spostarsi durante il giorno, solo una minoranza di pazienti viene trattata in tutto il mondo con dialisi peritoneale. Inoltre, si devono raccogliere imponenti quantità di materiali e fluidi che vanno poi eliminati, e ciò è specialmente vero per le forme automatizzate di dialisi peritoneale. Pertanto lo sviluppo di un sistema di dialisi peritoneale, che permettesse la rigenerazione dell'effluente peritoneale e, quindi, la riduzione della raccolta di materiale, si tradurrebbe nella possibilità di trattare un maggior numero di pazienti in dialisi peritoneale.

Razionale per un rene artificiale indossabile

I risultati della terapia renale sostitutiva (dialitica) nella Malattia Renale all'Ultimo Stadio  (ESRD) pur dimostrando una sopravvivenza importante dei pazienti, restano scarsi quanto a qualità della vita e presenza di comorbidità.

Negli ultimi anni, una sempre maggiore letteratura di molte centinaia di pubblicazioni, controllate da esperti, ha dimostrato che una più frequente e prolungata terapia dialitica è associabile a miglioramenti sorprendenti di questi pazienti [13-18]. Negli individui sani il sangue è filtrato dai propri reni per 168 ore alla settimana. Naturalmente, filtrare il sangue con la dialisi soltanto per 12 ore settimanali (come viene comunemente prescritto negli USA) oltre a non essere fisiologico, è soprattutto inadeguato, con conseguenze di bassa qualità della vita e un tasso di mortalità comunque elevato.

Con il passaggio dal regime delle normali tre sedute dialitiche settimanali a quello di dialisi giornaliere, i pazienti hanno riscontrato un notevole miglioramento della qualità della vita (per es. libertà nell'alimentazione, nell'apporto idrico, ecc.) nonché una sostanziale riduzione nel consumo di farmaci, complicazioni, sintomi psicologici, ricoveri ospedalieri. [19].

I vantaggi riscontrati nella dialisi giornaliera sono un migliore controllo volumetrico, l'eliminazione del fabbisogno di leganti fosfatici, l'assenza di ritenzione di sodio, appetito e alimentazione migliori, meno ipertensione, diminuzione dei farmaci per la pressione sanguigna, assenza di iperkaliemia, minore incidenza di morbilità e mortalità, assenza di iperfosfatemia da patologia ossea, minore incidenza di anemie, assenza di disturbi o infarti cardiovascolari da acidosi metabolica, miglioramento dell'albuminemia.

Immagine 1: schema del dispositivo
Immagine 1: schema del dispositivo

Pur plaudendo ai risultati dell'evoluzione tecnologica in dialisi ed agli sforzi compiuti dall'industria del settore con lo sviluppo di dialisi efficienti e tollerate come l'emodiafiltrazione, sorge l'importante quesito se si possa mantenere lo status quo, sopportando l'attuale incidenza di morbilità, mortalità e costi del trattamento di pazienti affetti da ESRD1, o se invece non si possa progredire con la creazione di nuovi apparecchi per dialisi che migliorino la qualità di vita dei pazienti con un salto quantico di sviluppo verso la miniaturizzazione e l'indossabilità. Tali innovazioni potrebbero fornire la dialisi giornaliera o persino continua, senza gravare in modo insostenibile sulle già scarse risorse finanziarie del sistema sanitario. Soltanto negli USA, il numero di pazienti con ESRD è in continua crescita e si avvicina attualmente a 400.000 casi. Il costo totale per le cure di questi pazienti raggiunge i 30 miliardi di dollari l'anno. Inoltre, il carico sociale di queste malattie renali gravi in questi ultimi dieci anni è stimato in mille miliardi [20]. Ciò nonostante, la mortalità dei pazienti con ESRD rimane alta in modo inaccettabile, raggiungendo quella per carcinoma metastatico al seno, colon o prostata.

L'attuazione di dialisi giornaliere trova tali ostacoli in tutto il mondo, che la sua realizzazione su larga scala è quasi impossibile. Uno di questi è l'incapacità o la non disponibilità di molti pazienti ad essere dializzati a domicilio, la mancanza di mano d'opera sia infermieristica che tecnica, in grado di fornire più trattamenti nei centri dialisi, e la riluttanza dei ministeri delle finanze ad affrontare la spesa di ulteriori procedimenti [21-27].

Di conseguenza, cresce sempre più la necessità di una soluzione pratica e a 360 gradi che dia ai pazienti con ESRD la possibilità di aumentare significativamente le sedute dialitiche, ottimizzandone l'efficacia e riducendo il costo totale, la necessità, quindi, di una reale struttura specifica con utilizzo di risorse umane. La terapia renale sostitutiva continua (CRRT) permette dosi molto maggiori di dialisi, ma non è possibile con l'attuale tipo di trattamenti e di macchine, ingombranti e  collegate ad una presa elettrica fissa con necessitano di grandi quantità di acqua. Le scoperte tecnologiche che favoriranno la dialisi giornaliera o continua si dovranno materializzare in una macchina per CRRT(terapie renali sostitutive continue oggi utilizzate nel paziente critico in rianimazione 24/24h)2   miniaturizzata o in un Rene Artificiale Indossabile (WAK). [16-11]. Di seguito sono riportate alcune delle sfide tecnologiche da superare per questo fine impegnativo:

  1. Il dispositivo deve essere indossabile e, pertanto, non dipendere da alcuna presa elettrica. Per contro, un apparecchio che consuma elettricità in grande quantità necessita di grosse ed abbondanti fonti energetiche. Quindi, la necessità di particolari leggeri, economici e a risparmio energetico, come pure di valide batterie piccole e leggere.
  2. La quantità di materiale dializzato deve essere minima. Pertanto, occorre che le piccole quantità di materiale dializzato possano essere continuamente rigenerate e riutilizzate. Il sistema assorbente disponibile in commercio, e utilizzato da vari decenni in dialisi, deve essere riconfigurato ed adattato per farne un mezzo di depurazione in grado di favorire l'uso di materiale dializzato sterile e purificato in quantità inferiori a 500cc.
  3. Il paziente deve essere in grado di indossare il dispositivo, e di muoversi senza impedimenti nel corso delle sue attività giornaliere. Quindi, è necessario che il design sia ergonomico e di poco peso per non dare impaccio e per adattarsi al profilo corporeo.

4.Rimangono inoltre fra i tanti problemi, quelli relativi all'accesso vascolare e alle esigenze di rimozione giornaliera di fluidi in eccesso.

Queste sono le sfide incontrate nello sviluppo di un prototipo del  WAK da testare in ambiente clinico. Ma un prototipo è stato realizzato e testato in primis al mondo a Vicenza, e successivamente a Londra. Il prototipo realizzato dal Dr. Gura a Los Angeles è stato portato in Italia per una messa a punto e testato clinicamente. Ciò che ha permesso di realizzare con successo un prototipo funzionante sono state le tecniche assolutamente innovative nello sviluppare una pompa miniaturizzata, a doppio comparto e flusso regolabile, alimentata con batterie, per portare sia il sangue che il dialisato attraverso l'apparecchio indossabile, e la configurazione miniaturizzata di pompe a microcessione per l'erogazione delle varie soluzioni con ritmi regolabili.

L'utilizzo del WAK è destinato alla terapia sostitutiva continua, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Le dosi di dialisi fornite possono risultare superiori rispetto a quelle comunemente somministrate oggi. Inoltre si può ridurre l'esigenza di personale infermieristico ed il costo del trattamento di pazienti con ESRD.

L'efficacia del dispositivo è stata valutata ottenendo la rimozione di urea, creatinina, potassio, fosforo e ultrafiltrato in quantità tali da normalizzare lo stato volumetrico e delle suddette sostanze chimiche nei soggetti uremici, posto che l'apparecchio sia indossato di continuo. 

La potenzialità dell'apparecchio di rimuovere costantemente i liquidi dal torrente vascolare, in una quantità volumetrica simile a quella rimossa fisiologicamente dagli stessi reni, permette di mantenere i pazienti euvolemici, indipendentemente dalla quantità di liquido che possono ingerire.  Inoltre, la sottrazione di liquido in eccesso può facilmente tradursi in un migliore controllo dell'ipertensione.  E c'è di più, anche il tenore di sodio nell'ultrafiltrato equivale a quello del plasma.  Pertanto la rimozione giornaliera di una quantità di fluido da 1.5 a 2 litri produrrà una sottrazione di 13.5 a 18 grammi di sale [29-34].  Solo questo contribuirebbe non soltanto a migliorare l'ipertensione, ma porterebbe anche a liberalizzare l'apporto salino nei pazienti con ESRD.  I diretti risultati che si prevedono con la nuova terapia proposta sono ovviamente una migliore qualità della vita e dell'alimentazione. Le quantità di potassio e fosforo rimosse dall'apparecchio a questo punto dello sviluppo potrebbero determinare l'eliminazione delle restrizioni nell'apporto nutrizionale di entrambi questi elementi, e l'eliminazione dei leganti fosfatici. La dialisi ad alto dosaggio, che si esprime tanto in depurazioni quanto in Urea KT/V settimanale, può ottenere tutti i benefici attualmente dimostrati con i programmi di dialisi giornaliere.

Gli effetti a lungo termine di questa tecnologia sul benessere dei pazienti saranno oggetto della più che necessaria ricerca clinica, anche se le aspettative sono estremamente significative.

Storia e sviluppo del modello progettuale di rene indossabile

Sebbene già negli anni '60 si disponesse di una terapia per la malattia renale acuta, la cura delle patologie renali croniche si è resa disponibile nel Nord America e nell'Europa Occidentale, in genere, solo negli anni '70, grazie allo sviluppo di metodiche di accesso vascolare più affidabili ed all'uso di anticoagulanti a base di eparina. Anche se lo sviluppo dell'emodialisi, per i pazienti con patologie renali croniche, è da considerare un'importantissima scoperta tecnologica, essa comporta ovvie limitazioni in termini di restrizioni nella dieta, nell'apporto idrico e nello stile di vita.

In particolare, a quel tempo, i pazienti con patologie renali croniche, che avevano la fortuna di essere trattati in dialisi, erano giovani con insufficienza di un solo organo, e, in ogni modo, la loro vita doveva gravitare attorno ai centri dialisi ospedalieri, con sedute dialitiche di norma di 8 ore, senza la possibilità di assentarsi per una vacanza.  Per migliorare lo stile di vita del paziente, fu sviluppata l'emodialisi a domicilio, divenuta popolare negli anni '70. E' comunque già a partire dallo sviluppo dell'emodialisi, come terapia delle patologie renali croniche, che l'obiettivo finale, per quanto pionieristico, diventa lo sviluppo di un apparecchio veramente indossabile, in grado di permettere al paziente un più normale stile di vita, anche durante il trattamento. I primi tentativi risalgono agli anni '60 con l'equipe di Kolff [34].  Molti altri nefrologi hanno tentato successivamente di creare un apparecchio realmente indossabile, in grado di permettere ai pazienti di condurre le loro normali attività giornaliere, o di andare al lavoro, durante il trattamento (35-40). I primi pionieri si trovarono di fronte a svariati problemi tecnici, quali l'accesso vascolare, l'anticoagulazione, oltre alle dimensioni e l'affidabilità di un tale dispositivo. Alcuni di questi primi apparecchi utilizzavano l'alimentazione arteriosa, e quelli che funzionavano soltanto con un accesso venoso necessitavano di una pompa sangue e di una fonte di energia elettrica.  Nessuna delle relazioni citate dai Professori Shaldon e Lysaght mette in evidenza una pompa alimentata a batterie che faccia scorrere il sangue attraverso l'emofiltro, né descrive sistemi di sicurezza certificati per il monitoraggio di eventuali perdite di sangue e/o la presenza di bolle d'aria.

Immagine 2: il Prof. Ronco ed un paziente con indosso il dispositivo indossabile
Immagine 2: il Prof. Ronco ed un paziente con indosso il dispositivo indossabile

I recenti risultati con i nuovi modelli di rene artificiale indossabile

L'evoluzione dei nuovi apparecchi WAK si basa sia sugli studi del passato che sulla tecnologia del presente. In pratica, è solo da oggi che si può disporre di un vero e proprio apparecchio indossabile (ancorché in forma prototipale e sperimentale) grazie alla miniaturizzazione della pompa pulsante del sangue e del dializzato a doppio comparto, abbinata ad affidabili pompe volumetriche di precisione (conformi alle norme approvate dalla FDA americana e dalla CE europea).

Abbiamo recentemente riferito sulle nostre esperienze a Vicenza sia con un apparecchio di ultrafiltrazione indossabile [31] che con un rene artificiale indossabile [33]. In entrambe le prove i pazienti sono stati ripresi con videocamere per dimostrare che potevano camminare e muoversi liberamente, nel corso del trattamento, e durante uno degli studi i pazienti si sono spostati al di fuori dell'ospedale, in un vicino parco, continuando ad essere in dialisi.

Con questo, non intendiamo reclamare l'originalità del concetto di emofiltro o di apparecchio per dialisi indossabile, bensì riferire di studi pilota su un vero e proprio dispositivo indossabile che permette ai pazienti di muoversi, e di passeggiare al di fuori della zona ospedaliera durante il trattamento.  Se infatti vi sono pietre miliari degli studi concettuali (31-33), le nostre esperienze odierne sono pietre miliari della fase realizzativa. Il fatto che il prototipo sia stato creato negli Stati Uniti dipende solo da un diverso meccanismo dei finanziamenti alla ricerca. Siamo certi tuttavia che gli stimoli che derivano dalle nostre esperienze porteranno l'industria, e in particolare quella italiana che io considero fra le migliori del mondo, a guardare dentro il problema, a seguire le nostre linee di sviluppo e a diventare partner per una iniziativa che migliorerà la vita dei pazienti, non solo renali, ma anche affetti da scompenso di cuore. Infatti, questi ultimi pazienti potrebbero beneficiare di strumenti indossabili atti a rimuovere la congestione di fluidi creata da una disfunzione cardiaca e non adeguatamente controllata dai reni nativi. Per questo distinguiamo tra WAK (rene artificiale indossabile) e WUF (sistema di ultrafiltrazione indossabile).

Il WUF3: Il numero di pazienti con insufficienza cardiaca congestizia sintomatica è in continua crescita nel Nord American ed in Europa. Quando la portata cardiaca si riduce, la naturale risposta compensatoria alla minore reinfusione arteriosa è un aumento dell'attività neuro-ormonale, che, paradossalmente, può portare ad un'ulteriore riduzione della portata cardiaca, compromettendo il flusso sanguigno renale e intestinale [41]. Questo può determinare il deterioramento delle funzioni renali e la resistenza diuretica. La dialisi peritoneale e l'emodialisi sono quindi ritenute validi coadiuvanti nei casi gravi di insufficienza cardiaca congestizia, ed in altri stati di ritenzione dei liquidi, refrattari alla terapia diuretica [42]. All'inizio degli anni '80 Kramer e suoi colleghi hanno riferito di un semplice apparecchio di ultrafiltrazione, progettato per rimuovere liquidi da pazienti in trattamento intensivo per sovraccarico idrico [43]. Per far ciò occorreva un accesso arterioso che, conducendo il flusso attraverso l'emofiltro tramite pressione idrostatica, portasse all'ultrafiltrazione. Ci vollero, comunque, oltre 25 anni prima che di disporre di apparecchi ideati per l'ultrafiltrazione di pazienti con insufficienza cardiaca refrattaria [44]. Una simile macchina fu sì inventata, ma per un utilizzo intermittente su pazienti ricoverati e quindi allettati. Allo scopo di creare un dispositivo veramente indossabile, che permettesse ai pazienti di spostarsi anche durante il trattamento, e di offrire quindi un'eventuale terapia senza ricovero, altri studiosi hanno seguito l'idea originale di Kramer [45]. Per assicurare la mobilità, era necessario disporre di un catetere ad accesso venoso centrale a due lumi, abbinato ad una pompa del sangue miniaturizzata, con minipompe di precisione alimentate da batterie per la regolazione del flusso di ultrafiltrazione, ed un'infusione di eparina per l'anticoagulazione  [46]. Fu montato un emofiltro ad alto flusso in polisulfone (Medica, Medolla, Italy), normalmente reperibile in commercio, su una cintura da allacciare attorno alla vita. Il peso totale del dispositivo era di 2.5 lbs (1,135 kg). Recentemente è stato presentato un primo studio realizzato a Vicenza, che utilizza sull'uomo questo apparecchio di emofiltrazione indossabile, come sistema di ultrafiltrazione continua ambulatoriale, [5], sperimentato su sei pazienti con sovraccarico volumetrico trattati per 6 ore. Il flusso sanguigno attraverso l'apparecchio era di circa 116 ml/min con un ritmo di ultrafiltrazione che variava da 120 a 288 ml/hr, ottenendo quindi una media di 151 mmol di sodio sottratti durante il trattamento. Quello che più importa è che nel corso dello studio, tutti i pazienti hanno mantenuto la stabilità cardiovascolare, poiché uno dei maggiori problemi, con i tradizionali trattamenti di emodialisi intermittente, è l'ipotensione intradialitica che può provocare ulteriori danni ischemici al rene [47].  In tal modo, questo apparecchio, essendo progettato per lavorare di continuo, può rimuovere liquidi ad un ritmo orario inferiore, se confrontato alla normale emodialisi intermittente, così da mantenere la reinfusione del volume plasmatico dai vani extravascolari, evitando quindi episodi di instabilità cardiovascolare. In questi pazienti il ritorno all'apice della curva di Starling fa sì che la portata cardiaca migliori e il difetto di reinfusione arterioso si riduca, di conseguenza viene a ristabilirsi in loro la risposta diuretica.  Con lo sviluppo di questo apparecchio i pazienti con insufficienza cardiaca congestizia sintomatica potrebbero essere potenzialmente gestiti senza ricovero, o in day hospital.

Il WAK: Solo di recente è stato pubblicato uno studio sulla reale indossabilità di un apparecchio per emodialisi [33]. Per questa sperimentazione preliminare il team si è spostato a Londra dove l'apparecchio veniva indossato da otto pazienti cronici in emodialisi, trattati per periodi che variavano dalle 4 alle 8 ore. L'apparecchio indossato su una cintura allacciata alla vita aveva un peso di circa 5 kg. Tutte le pompe, comprese quella del sangue, erano alimentate da normali batterie. Un sistema di precisione, per il controllo della pompa di ultrafiltrazione, provvedeva all'estrazione del fluido, e, come in una tradizionale macchina per emodialisi, disponeva di sicurezze per l'arresto del flusso sanguigno in caso di presenza d'aria, o disconnessione. L'apparecchio era connesso ad un normale accesso vascolare del paziente, ossia per alcuni pazienti tramite aghi in fistola e per altri con catetere venoso centrale. In un caso, l'ago arterioso si è scollegato e, mentre in una macchina per emodialisi tradizionale la pompa del sangue avrebbe continuato a lavorare, con questo apparecchio è stata rilevata la disconnessione dall'arteria e la pompa del sangue si è fermata. Questo ha permesso il quasi immediato reinserimento dell'ago per dialisi, senza importanti perdite di sangue, e con la rapida ripresa del trattamento. In due casi, data la ridotta infusione di eparina, prima del termine programmato del trattamento, si è verificata la coagulazione. Pertanto, anche per questo apparecchio, come nell'emodialisi standard intermittente, occorre prevedere l'anticoagulazione.

Il dializzato veniva costantemente rigenerato passando attraverso tre cartucce assorbenti, contenenti ureasi, carboni attivi, e ossido di zirconio idrossile oltre a zirconio fosfato. Nel dializzato veniva regolarmente controllata l'ammoniaca, per evitare la saturazione delle cartucce. I flussi di sangue e dialisato erano molto più lenti, rispetto alle tre sedute settimanali dell'emodialisi intermittente, ossia rispettivamente di 59 e 47 ml/min. Come previsto, anche le depurazioni al minuto di piccoli soluti erano molto più basse di quelle di un'emodialisi intermittente, rispettivamente con una media di depurazione dell'intera urea sanguigna di 23 ml/min e depurazione di creatinina di 21 ml/min. Queste depurazioni al minuto sono effettivamente basse, e simili a quelle ottenute con i circuiti di dialisi continua nei centri di terapia intensiva [48], tuttavia l'apparecchio è stato progettato per essere indossato per periodi prolungati. Se si potesse indossare l'apparecchio per emodialisi portatile quotidianamente, ne conseguirebbe una depurazione dell'urea (Kt/V standard) stimata di quasi 6.0, molto al di sopra delle tre sedute settimanali dell'emodialisi intermittente tradizionale.

Immagine 3: un dettaglio di apparecchiaturaOltre alla depurazione di urea e creatinina, è stata valutata anche la depurazione di b2 microglobulina. La depurazione di b2 microglobulina si è dimostrata rispettivamente circa il 50% di quella dell'urea e il 55% per la creatinina. Una recente rivalutazione dello studio HEMO, ha rivelato l'importanza della depurazione di  b2 microglobulina nella previsione di sopravvivenza dei pazienti [49].

L'adeguatezza di una terapia emodialitica, non si riduce infatti alla semplice depurazione di piccoli soluti. La depurazione di b2 microglobulina osservata suggerirebbero che la relativa depurazione delle cosiddette "molecole medie" è leggermente superiore rispetto a quella dell'emodialisi intermittente tradizionale. Questo è, probabilmente, dovuto al grado di emodiafiltrazione interna dentro all'apparecchio dializzatore, per effetto delle pressioni generate dalla pompa del sangue. La principale differenza della pompa del sangue, rispetto a quella della macchina per emodialisi tradizionale, è che, invece di essere a rulli, e quindi occludere la tubazione del dializzato, questa pompa è costituita da due camere: una per il sangue ed una per il dializzato. Con questo sistema, mentre la camera del sangue è piena, quella del dializzato è vuota e vice versa. Rispetto alla dialisi standard, questo comporta un diverso schema di pulsatilità e di generazione della pressione, quanto ai flussi del sangue e del dializzato che attraversano il dializzatore, da cui deriva un'aumentata emodiafiltrazione interna.

Naturalmente, l'apparecchio è ai primi passi del suo percorso evolutivo, per cui la depurazione potrebbe potenzialmente migliorare, con un  riesame del progetto della pompa, allo scopo di aumentare il volume di sangue pompato, o in modo analogo aumentandone i flussi.

Il ViWAK: Recentemente, sono state documentate [50] le caratteristiche strutturali e operative di un nuovo sistema indossabile che, al contrario dei precedenti, utilizza come principio la dialisi peritoneale continua su pazienti cronici (CKD). Tale dispositivo è stato chiamato Rene artificiale indossabile Vicenza (ViWAK).

Il sistema Viwak è costituito da: un catetere peritoneale a doppio lume; una linea di emissione del dializzato; una pompa rotativa miniaturizzata; un circuito per la rigenerazione del dializzato, comprendente un contenitore ermetico con cartucce collegate in parallelo, contenenti una mescolanza di carboni attivi e resine polistireniche; un filtro per la disaerazione e la sicurezza microbiologica; una linea di immissione del dializzato; un computer palmare per il comando a distanza. Il sistema è stato testato facendo circolare 12 litri di soluzione esausta di dialisi peritoneale (PD) attraverso l'unità di adsorbimento sperimentale ad un regime di 20 ml/min. Misurazioni di creatinina, Beta 2 microglobulina e Angiogenina sono state effettuate prima e dopo l'unità di adsorbimento al punto di partenza, e dopo 4 e 10 ore di utilizzo.

Le cartucce contenenti resina polistirenica hanno rimosso completamente la beta-2 microglobulina e l'angiogenina dalla porzione di liquido. Quelle con la resina a scambio di ioni hanno rimosso completamente l'urea e la creatinina. Il risultato finale è stato di 11.2 litri di depurazione netta di soluti.

Il sistema è stato progettato per essere utilizzato nel seguente modo: La cavità peritoneale viene caricata al mattino con 2 litri di soluzione per PD fresca. Dopo 2 ore, quando l'equilibrio dializzato/plasma si stabilisce attorno al 50%, si attiva il ricircolo per 10 ore ad un regime di 20 ml/min. Dopo tale periodo, il ricircolo si arresta e viene aggiunto, facoltativamente, glucosio nella cavità peritoneale per ottenere, se necessario, l'ultrafiltrazione. Dopo 2 ore il liquido viene scaricato e si effettua lo scambio di 2 litri d'icodextrina nel periodo notturno, per ottenere un ulteriore ultrafiltrazione. La depurazione fornita dal minicycler (mini dispositivo per ricircolo) è ancora maggiore grazie allo scambio dei 2 litri ed allo scambio notturno.

Il sistema funziona 24 ore al giorno e fornisce la depurazione della creatinina e della beta-2 microglobulina in un range da 15 a 16 l/giorno, che corrisponde ad una depurazione settimanale di 100-110 litri.

Il paziente riduce il numero di scambi rispetto alla CAPD ed utilizza meno liquido rispetto alla APD. Inoltre, il comando palmare permette la prescrizione e valutazione della terapia poiché fornisce informazioni sulla saturazione delle cartucce, sulle condizioni di flusso e pressione, offrendo la possibilità di un controllo a distanza delle operazioni senza fili. Molti problemi restano ancora insoluti nell'attuale configurazione, come l'adozione di un sistema d'iniezione del glucosio e del bicarbonato eventualmente necessari, o di un sistema per ridurre la produzione di fibrina sull'elemento assorbente, nonché di ottenere una mescolanza di assorbenti più complessa per garantire la completa rimozione delle piccole molecole quali l'urea.

In conclusione, il sistema di dialisi peritoneale indossabile può diventare una possibile alternativa alla APD o CAPD per ridurre il tempo dedicato agli scambi e migliorare l'adeguatezza della dialisi peritoneale e la riabilitazione del paziente.

Conclusioni

Per concludere, il rene artificiale indossabile, pur essendo un progetto sperimentale, sta lentamente diventando una realtà, anche se si renderanno necessarie ancora molte fasi migliorative. Il mutamento di paradigma può rappresentare un aiuto per gli sviluppi futuri e per i contributi offerti dai ricercatori e dall'industria volti ad affinare il concetto di WAK.  Lo stesso concetto potrebbe essere di utilità allo sviluppo di nuove strategie nel trattamento del paziente critico [51-53]. Le maggiori sfide nell'immediato futuro sono rappresentate dalla miniaturizzazione e dalle superfici non trombogeniche.

Possiamo dire che oggi è necessaria una "visione" del futuro, senza fermarsi alle prime difficoltà. Come telefoni e computers hanno ridotto paurosamente le loro dimensioni, come i pace-makers sono diventati così piccoli da risultare impiantabili, così il rene artificiale di oggi potrà vedere le proprie dimensioni ridursi progressivamente, fino al punto di consentirne una vera vestibilità. Il sogno di oggi potrebbe essere la realtà di un domani non troppo lontano. Un ultimo pensiero ai nostri pazienti: non crediate che questa tecnologia sarà applicabile  in tempi brevi. La ricerca richiede tempo e sostegno economico. I tempi lenti della ricerca sono la garanzia della sicurezza degli stessi pazienti. Ma rimane il fatto che il nostro dovere di oggi, in un mondo dove l'industria fa il suo lavoro di miglioramento continuo ma incrementale, al mondo accademico ed ai ricercatori appartiene il compito di essere visionari e stimolatori di un salto quantico che ci porti alla generazione futura di dispositivi in un sol balzo.

Prof. Claudio Ronco
Director Dep. Nephrology Dialysis & Transplantation San Bortolo Hospital – Vicenza

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