da Leadership Medica n. 1 del 2001
Abstract
Tutti i medici operanti nel SSN sono chiamati a coniugare qualità ed oculata gestione delle risorse. Un esempio concreto di come questo principio possa calarsi nella pratica clinica quotidiana è rappresentato dall’uso dell’ecografia in una Unità Operativa di Nefrologia. L’ecografia renale gestita direttamente dai nefrologi può diventare un importante strumento di qualità e di utilizzo ottimale delle risorse. Nell’articolo vengono anche proposti modelli organizzativi dell’attività ecografica in rapporto alle dimensioni dell’Unità Operativa e vengono individuati gli strumenti per migliorare la qualità dell’attività ecografica.
Articolo
Il medico operante nel sistema sanitario pubblico si trova sempre più spesso a doversi destreggiare tra le richieste di prestazioni sanitarie di qualità da parte dei pazienti e di contenimento delle spese da parte dei Direttori generali. A questo sforzo di coniugare qualità ed oculata gestione delle risorse disponibili non può essere esente il nefrologo ed anche in nefrologo che si occupa di ecografia. In questo articolo cercherò di dare un contributo alla riflessione su questo tema. Lo farò soffermandomi su due punti:
1. L’ecografia come strumento di qualità in nefrologia
2. Gli strumenti della qualità in ecografia renale
Partiamo da alcune considerazioni di carattere generale. La nefrologia clinica è una delle più giovani specialità mediche. Essa, di fatto, è nata sotto la spinta del successo dei trattamenti dialitici circa 35 anni fa e solo ora ha una ben definita articolazione delle sue aree di competenza (malattie renali acute e croniche) e di intervento (terapia intensiva dell’insufficienza renale acuta e cronica, l’emodialisi, il trapianto di rene). Queste aree di intervento sono la base più solida della disciplina, nel senso che, ad esempio, nessuno mette in dubbio che chi eroga la dialisi debba essere il nefrologo. E’ innegabile d’altra parte che stanno emergendo problemi di frizione con altre discipline per quanto attiene alcuni campi dove di chi sia la competenza è meno definito, mi riferisco ad esempio all’ipertensione (con i cardiologi) ed all’urolitiasi (con gli urologi). Se andiamo poi a vedere concretamente quello che fa il nefrologo nella pratica quotidiana, ci accorgiamo che egli programma, interpreta ed integra con l’osservazione clinica una serie di indagini biochimiche, effettua ed interpreta la biopsia renale ed utilizza un vasto campo di informazioni che gli provengono da tecniche di imaging. Le competenze implicano il “saper fare” e sono alla base del “poter fare”. A nessun nefrologo sfugge il fatto che il suo poter fare per quanto attiene le indagini biochimiche ed immunologiche è in genere scarso ed è condizionato dalla solidità del rapporto con le Unità Operative di Patologia clinica. Per quanto attiene la biopsia renale il nefrologo può avere o non avere il controllo diretto del Laboratorio che processa il prelievo bioptico. Per quanto attiene l’imaging, i nefrologi dipendono quasi totalmente dai Dipartimenti di Radiologia per le indagini più complesse (TAC, RNM, Angiografie), ma da sempre hanno cercato, non senza contrasti , di acquisire il controllo diretto dell’ecografia. Virtualmente tutti i nefropatici che vengono valutati in Unità Operative di Nefrologia vengono sottoposti ad indagine ecografica. L’ecografia è un’indagine che consente rapidamente di tracciare il crinale che separa le nefropatie mediche da quelle chirurgiche. Essa è quindi, assieme con l’esame delle urine, uno strumento fondamentale della “tattica” diagnostica in nefrologia . Quindi nessuno mette in dubbio che l’ecografia rappresenta un elemento di qualità nell’inquadramento del paziente nefropatico. Se mai il problema è vedere a chi competa la gestione di questa attività. Tutti sappiamo che nel sistema sanitario italiano non esiste un modello unico e ben definito di Unità di Ecografia renale (TAB 1).
Oggi con questo termine si intendono sistemi organizzativi spesso radicalmente diversi tra di loro. Ci sono, ad esempio, Ospedali dove l’ecografia renale è gestita in modo del tutto autonomo dalle Unità Operative di Nefrologia, ed in realtà sono queste le vere Unità di ecografia renale, ma ce ne sono altri dove l’ecografo è gestito in comune con altri specialisti ed altri ancora dove sono i radiologi od altri specialisti ad avere l’esclusiva di questa metodica. Ci sono Ospedali dove il nefrologo esegue tutta la gamma delle indagini ecografiche dell’apparato urinario, dall’esame in B-mode, all’ecografia trans-rettale, all’eco-color-Doppler delle arterie renali, ed altri Ospedali dove invece sono altri specialisti, quali l’urologo o il radiologo, che effettuano questi ultimi esami. Su un punto però i nefrologi sono sostanzialmente d’accordo e cioè che è preferibile che l’ecografia venga gestita direttamente da noi, anche se dobbiamo constatare che l’ecografia non rientra nel curriculum formativo del nefrologo nè in Italia nè in altri Paesi. In altri termini l’ecografia non è ritenuta uno strumento di lavoro specifico del nefrologo e non esistono corsi di ecografia per nefrologi nelle Scuole di specializzazione. Ma la convinzione che la gestione diretta dell’esame ecografico da parte del nefrologo sia un bene, è veramente giustificata ? Per cercare di dare una risposta a questa domanda vorrei adesso richiamare l’attenzione su due aspetti della sfera gestionale che, a mio avviso, sottolineano quanto sia importante che il nefrologo si appropri di questo strumento per “poter fare”.
1. Il primo aspetto riguarda la gestione del tempo. L’ecografia è utile prima di tutto nell’emergenza nefrologica. Nell’insufficienza renale, come abbiamo visto, essa è il crinale diagnostico tra le nefropatie mediche e quelle chirurgiche. L’esame in questi casi viene comunque garantito nel giro di poche ore a prescindere da chi lo eroghi: il nefrologo, il radiologo o chi altro. Tuttavia, nei casi in cui il modo di presentazione clinica è quello di una nefropatia medica o comunque non-acuta, cioè quando l’esame si può programmare perché il tempo di attesa non è clinicamente critico, spesso il nefrologo (se non lo gestisce direttamente) deve attendere 1, 2 o anche più giorni. Il nefrologo, o chi per lui (la segretaria o la capo-sala) deve contattare il Dipartimento che effettua la prestazione ecografica e spesso deve ridiscutere i risultati con chi ha effettuato l’esame per verificare la compatibilità anatomo-clinica della risposta che ha ottenuto. Quando l’ecografia non è gestita direttamente dai nefrologi ci sono quindi “tempi di attesa”, “tempi di contatto”, “tempi di chiarimento”. Questi tempi non sono altro che spreco di risorse.
2. Questo ci porta direttamente al secondo problema, strettamente connesso al primo, cioè il problema finanziario. Con l’aziendalizzazione le Unità Operative vengono giudicate in rapporto alle prestazioni erogate (i DRG) a fronte delle risorse spese. Ebbene, gli esami ecografici appaltati ad un altro Dipartimento e che concorrono a produrre un certo risultato (DRG), incidono sulle spese perché i sistemi di compensazione intra-aziendali imputeranno alla Unità Operativa di Nefrologia il costo dell’esame ecografico. In concreto una Nefrologia con 20 posti letto che realizzi 700-900 ricoveri/anno, produce DRG per 3-5 miliardi/anno solo per l’attività di degenza. Il numero di ecografie in genere è sovrapponibile al numero di ricoveri. Chi gestisce l’Unità Operativa deve essere consapevole che, con un costo di compensazione interna- ad esempio- di L.100.000 ad esame, da 70 a 90 milioni/anno o anche più saranno spesi per l’ecografia, il che non è certamente poco. L’erogazione diretta di prestazioni ecografiche da parte del nefrologo risponde quindi a due ordini di esigenze: risparmio di tempo e risparmio economico. Significa, oltre che “buona attività clinica” anche buona gestione delle risorse interne ed aziendali. Significa, in ultima analisi, migliore “qualità” del nostro servizio (TAB 2).
Rispondendo alla domanda di prima, possiamo dire quindi che la gestione diretta da parte del nefrologo dell’esame ecografico, rappresenta un importante elemento di qualità. A questo punto bisognerebbe aprire un capitolo a parte per discutere se questo significa che ogni Unità Operativa di Nefrologia debba disporre di un proprio apparecchio ecografico o, addirittura, di una Unità di Ecografia Renale, intendendo con questo termine l’insieme di ambienti, tecnologie e risorse professionali finalizzate all’esecuzione degli esami ecografici. Io ritengo che sia necessario fare, prima di tutto, delle distinzioni. A grandi linee possiamo ipotizzare tre contesti (TAB 3):
- Unità Operative con attività clinica rilevante
- Unità Operative con attività clinica media
- Unità Operative di sola dialisi
Guardiamo adesso più da vicino questi tre modelli.
1. Unità Operative dotate di posti letto e con attività clinica rilevante (ad esempio 20 posti letto, sezione di dialisi, attività ambulatoriale che abbraccia i principali campi delle nefropatie, trapianto renale, ecc.): in questi casi lo standard è rappresentato dalla presenza di una Unità di Ecografia Renale, con apparecchi ecografici propri (ad esempio, uno fisso, di qualità che consenta di effettuare tutte le indagini ecografiche di pertinenza nefrologica sia in bidimensionale che in color-Doppler, ed un apparecchio portatile per gli esami e le procedure - quali la biopsia renale - al letto del paziente). In queste U.O. è opportuno che vi sia un nefrologo che abbia la responsabilità (del modulo, del settore, a seconda della terminologia in voga) di tale Unità, ma è altresì necessario che vi sia un numero consistente di altri nefrologi della stessa U.O. in grado di eseguire le indagini (tutte o in parte) ecografiche. Se posso spingermi ad individuare questo numero, direi che almeno il 50% dei nefrologi dovrebbe possedere queste competenze. Lascerei alla valutazione caso per caso, secondo le disponibilità di risorse ed al volume di attività, se è opportuno che il Responsabile dell’Unità di Ecografia Renale si occupi a tempo pieno, o part time, di questo settore. Questa Unità di Ecografia dovrebbe essere anche disponibile ad eseguire gli esami ecografici renali che richiedono una elevata professionalità anche per i pazienti ricoverati in altre Unità Operative. Inoltre è necessario prevedere un minimo di struttura organizzativa e di segreteria, con personale full-time o part-time a secondo del volume di attività, soprattutto se si erogano prestazioni all’esterno.
2. Un’altra situazione è quella di Unità Operative di Nefrologia di dimensioni medie (ad esempio, 10 posti letto, attività dialitica ed ambulatoriale di medio volume, ecc.). Anche in queste, a mio avviso, lo standard dovrebbe prevedere una Unità di Ecografia renale, ma con una struttura più agile. Essa dovrebbe disporre di un locale idoneo con un apparecchio ecografico in grado di eseguire quanto meno gli esami bi-dimensionali. Il Nefrologo responsabile di questo settore potrebbe dedicarsi part-time a questa attività e dovrebbe comunque promuovere, come già detto, la diffusione delle conoscenze ecografiche, sia teoriche che pratiche, a buona parte dello staff medico. Le indagini con il color-Doppler potrebbero essere effettuate, indifferentemente, dalla stessa Unità di Ecografia (se dispone dello strumento idoneo) o riferite ad altra Unità abilitata.
3. Infine le Unità Operative di Dialisi. In questo caso il nefrologo può riferirsi per le indagini ultrasoniche ad altra Unità Operativa o gestire l’ecografo in comune con altre Unità Operative.
Passiamo adesso al secondo punto:
- Gli strumenti della qualità in ecografia renale
Quelli che io ho individuato, in base alla mia esperienza, sono indicati nella Tabella 4.
1. “Saper fare” è essenziale per erogare buone prestazioni. La formazione di un nefrologo-ecografista è di ovvia importanza per le Unità di Ecografia renale. Ma la formazione non può essere frutto solo della buona volontà e dell’iniziativa dei singoli. Ecco allora l’importanza di iniziative da parte delle Istituzioni che hanno un ruolo nella formazione, quali le Società Scientifiche e le Scuole di Specializzazione Universitarie. Come ricordavo prima, l’ecografia non è ancora entrata nel curriculum formativo del nefrologo nè non esistono corsi di ecografia per nefrologi nelle Scuole di Specializzazione. Del resto negli stessi Stati Uniti solo negli ultimi anni qualche Università ha cominciato ad inserire in via sperimentale l’ecografia nel curriculum formativo dei nefrologi. Bisogna perciò, a io avviso, fare in modo, con il sostegno della nostra Società, che in Italia il training in ecografia venga inserito nei programmi delle Scuole di Specializzazione in Nefrologia e, soprattutto, bisogna stabilire dei percorsi seri che portino all’accreditamento ad effettuare l’esame. Una sola parola sui Corsi di Ecografia, che sono anche uno strumento utilissimo nel percorso formativo di un ecografista. In Italia stanno moltiplicando i Corsi pratici di Ecografia, nei quali spesso di pratico non c’è assolutamente niente, se escludiamo le dispendiose quote di iscrizione. Uno standard minimo può prevedere che il nefrologo-ecografista partecipi, almeno una volta l’anno, scegliendo con oculatezza, ad un Congresso od un Corso di aggiornamento o, meglio ancora, ad un periodo di training presso una Struttura di livello superiore a quello dove opera quotidianamente. Vanno guardati con interesse, anche questo critico, perché la loro qualità è tutt’altro che omogenea i siti web di interesse ecografico, soprattutto quelli gestiti da Università degli Stati Uniti e da alcune Società scientifiche, che possono rappresentare una ulteriore opportunità di aggiornamento. Anche il Gruppo di Studio di Ecografia Renale (GSER) della Società Italiana di Nefrologia (SIN) dispone di uno spazio all’interno del sito della SIN (www.sin-italia.org).
2. La qualità di una Unità di Ecografia cresce anche attraverso l’organizzazione di momenti di confronto inter-disciplinare con altri colleghi impegnati anch’essi nella diagnostica per immagini, quali gli urologi e i radiologi. La presenza di riunioni “aperte” di imaging nei programmi di attività delle Unità Operative di Nefrologia è un altro strumento di qualità.
3. Un terzo strumento, che io ritengo di importanza fondamentale, è l’esistenza o meno di meccanismi di verifica interna della qualità delle indagini effettuate. In altri termini, la verifica che l’ipotesi diagnostica posta dall’ecografia sia stata confermata da altre tecniche di imaging. Per esempio, la conferma della diagnosi posta all’Eco-color-Doppler di stenosi dell’arteria renale o di ostruzione della vena renale con l’angiografia, rispettivamente, arteriosa e venosa. Questo comporta una revisione sistematica dei casi esaminati in specifici “audit” nei quali i risultati dell’attività clinica sono presentati in termini di sensibilità, specificità, potere predittivo positivo e negativo.
4. Un altro elemento di qualità, questa volta riferito alla tecnologia, è la gamma di prestazioni ecografiche erogate. Se si dispone di un buon apparecchio ecografico, si ha il dovere di valorizzare queste potenzialità. Per esempio, un apparecchio eco-color-Doppler consente l’esplorazione anche dei vasi del collo. Per il nefrologo l’esplorazione delle carotidi è un importante elemento per valutare il danno cardiovascolare dei pazienti uremici e, pertanto, sarebbe utile che egli acquisisse dimestichezza anche con queste misure.
Conclusioni
La nefrologia e la medicina più in generale, da tempo è arrivata al “redde rationem”: le risorse si assottigliano e la domanda sanitaria si espande. Ritengo che il dovere dei nefrologi sia quello di ottimizzare le loro prestazioni con un uso tempestivo e valido della tecnologia che conduce alla diagnosi e alla cura E’ fuor di dubbio ormai che l’ecografia per questo debba entrare tra i “poteri” del nefrologo. Ognuno di noi tuttavia deve essere ben consapevole che questo “potere” non deve essere uno status symbol ma deve essere uno strumento per “fare”. Dobbiamo quindi mantenere un atteggiamento mentale aperto ed una alta flessibilità per adattarci al tipo ed alla quantità di domanda di prestazioni che esiste nelle varie realtà del nostro Paese.
Giuseppe Curatola
Divisione di Nefrologia - Ospedali Riuniti di Reggio Calabria
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