Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 7 del 2000

Se si paragona il cervello all'hardware di un computer, gli stati di coscienza rappresentano i suoi programmi operativi. Questi non sono altro che degli schemi per elaborare informazioni e possono lavorare solo se sono compatibili con un linguaggio base che, a sua volta, è un codice che organizza le informazioni dei singoli programmi. Nella struttura della coscienza il linguaggio base può essere immaginato come la memoria primigenia, quella che contiene ricordi di singole sensazioni o di singoli schemi operativi elementari, in base alla quale è stato possibile imparare il linguaggio e costruire un "modello interno del mondo fisico".

Seppure approssimativo, come tutte le metafore tecnologiche con le quali si cerca di spiegare le strutture biologiche, anche questo paragone è impreciso ma, tuttavia, è sicuramente utile par capire un argomento, la coscienza, che nell'ultimo cinquantennio si è prepotentemente imposto all'attenzione dei neurobiologi. Si può dire che tale interesse è cominciato negli anni '40, quando Albert Hofmann, nei laboratori della Roche, in Svizzera, scoprì e sintetizzò la dietilamide dell'acido lisergico, divenuta poi molto famosa con la sigla LSD. Fino ad allora, la coscienza era stata un terreno di speculazione filosofica e un argomento di tiepido interesse per la psicologia.

La LSD, all'improvviso, rivelava straordinarie connessioni tra l'hardware neuronale e il software mentale e ciò sembrava dimostrare che la coscienza è in qualche modo un prodotto dell'attività dei neuroni e dei rapporti chimici che si stabiliscono tra loro.

L'importanza neuroscientifica della coscienza, della sua struttura e dei suoi stati modificati era già stata abbondantemente intravista un secolo prima dai clinici della Salpetrière, alla scuola di Jean Marie Charcot, dal fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud, da psicologi sperimentali come William James e, soprattutto, da Pierre Janet, ma, con l'affermazione e la diffusione della teoria psicoanalitica, era poi sembrato che ci si dovesse interessare più dell'inconscio che del conscio e l'argomento era passato in secondo piano. L'interesse iniziale era indubbiamente stato suscitato dal fatto che sia Charcot che tutti i suoi allievi (compreso Freud) praticavano e usavano l'ipnosi, una condizione che oggi potrebbe essere definita la madre di molti stati modificati di coscienza (modificati suona meglio che "alterati", come spesso si trova scritto; e, del resto, "altered" in inglese vuol proprio dire "modificato") e perciò erano stati in qualche modo obbligati ad interessarsi alla struttura della coscienza per capire i cambiamenti cui andava incontro in stato di trance.

Tuttavia Charcot era un clinico, fondamentalmente interessato alla patogenesi delle malattie e malgrado riuscisse a riprodurre i sintomi di una nevrosi mettendo i suoi pazienti in trance, non riuscì a dimostrare i rapporti causali tra modificazioni dello stato di coscienza e la patogenesi delle nevrosi. Il suo interesse fondamentale, tuttavia, fu raccolto da tutti coloro che frequentarono le sue celebri "lezioni del martedì" e, tra tutti, colui che riuscì a costruire una convincente teoria etiologica delle nevrosi fu Freud con il concetto di "inconscio patogeno" che, sebbene oggi indebolito, non è ancora stato sostituito da una teoria più valida. Gli altri allievi di Charcot, malgrado abbiano elaborato per tutto il resto delle loro carriere le idee del maestro, sono stati dimenticati o vengono ricordati per altri meriti. Babinski, per esempio, viene ricordato per il suo "segno" .

(estensione dell'alluce in risposta allo sfregamento del margine laterale del piede) piuttosto che per il fatto che abbia sostenuto (con ragione) che la nevrosi isterica è un disturbo psichiatrico e non una malattia neurologica (come Charcot aveva sostenuto per anni).

Bourneville è conosciuto da pochi malgrado avesse tentato di dimostrare che la trance ipnotica era il paradigma interpretativo di molte manifestazioni psicosociali, quali le sedute medianiche, il comportamento delle folle o, addirittura, le estasi mistiche. A mezza strada, nella memoria collettiva, si trova Pierre Janet, ricordato quasi solo per il libro "Dall'angoscia all'estasi", che è tuttora un testo fondamentale per tutti coloro che si interessano di psicologia religiosa, ma che merita senz'altro un'ampia rivalutazione perché fu l'unico a proseguire in modo intenso e appassionato lo studio della coscienza e della trance, lasciando una notevole mole di scritti e di idee che stanno oggi tornando di attualità. E' a questo pensatore aristocratico e riservato, per esempio, che si deve il termine "dissociazione", un termine travisato ma entrato profondamente nel linguaggio psichiatrico. Janet usò la parola désagregation per indicare quel fenomeno mentale tanto comune quanto perfettamente fisiologico, in base al quale siamo in grado di fare contemporaneamente due cose: mentre guidiamo l'automobile possiamo contemporaneamente conversare con un passeggero, telefoniamo e contemporaneamente tracciamo dei ghirigori su un pezzo di carta, camminiamo per strada leggendo un libro e "il pilota automatico" ci conduce a destinazione senza che dobbiamo dedicargli tutta la nostra attenzione. Janet riteneva questa possibilità della nostra mente il nucleo fondamentale della trance e oggi, dopo più di un secolo, sono molti a condividere questa idea.

Il termine dèsagregation, invece, tradotto in inglese con dissociation è diventato sinonimo di grave patologia ed è fonte di continui equivoci e di difficoltà di comunicazione. Ancora di Janet sono i concetti di "automatismo mentale" e di "restringimento di campo della coscienza" che sono anche stati accolti dalla psichiatria pure se, di nuovo, usati in modo improprio. Il fatto è che Janet fu un "fisiologo" della coscienza e non uno psicopatologo, sicchè il suo lavoro, dati gli interessi della cultura del suo tempo, era quasi predestinato all'oblio. Per di più, nell'ultima parte della sua vita, si interessò maggiormente della coscienza da un punto di vista filosofico, abbandonando gli aspetti fisiologici e clinici e con ciò si addentrò in un territorio di confine che interessava solo marginalmente i clinici e gli psicologi.

Di fatto, dopo il trionfo della teoria psicoanalitica e l'importanza che questa attribuiva al sogno, l'attenzione della neurofisiologia e della psicologia si è concentrata sulla fisiologia del sonno e del sogno e su questi temi è cominciato un lavoro straordinariamente importante e ricco di scoperte miliari ma che si è decisamente allontanato dall'idea che la coscienza e i suoi stati modificati abbiano parentele, seppure solo funzionali, con certi disturbi oppure che l'ipnosi possa essere utile in psicoterapia. Il cardine concettuale sul quale molti neuroscienziati hanno basato (e basano tuttora) il loro lavoro è che la coscienza sia un prodotto dell'attività dei neuroni e gli studi sul sonno e sul sogno sembrerebbero avere dimostrato proprio questo: il cervello che dorme o che sogna funziona in un modo diverso dalla veglia.

Questa era, più o meno, la situazione negli anni '50 del secolo che si è appena concluso, agli inizi della cosiddetta "era psichedelica", quando la diffusione di massa delle sostanze psicoattive accese un prepotente interesse per gli stati modificati di coscienza indotti chimicamente. Molti neurobiologi si entusiasmarono all'idea di disporre di "bisturi chimici" coi quali dimostrare che la coscienza ha anche forti basi neurochimiche. Di fatto era (ed è) estremamente sorprendente che qualche centinaio di milionesimi di grammo, una dose quasi omeopatica di LSD, possa sconvolgere completamente il programma operativo della coscienza ordinaria e tale scoperta non solo rinforzava l'idea che la coscienza sia una "secrezione" dei neuroni, ma sembrava anche indicare che si può studiare una neurobiologia della coscienza e che la neurochimica potrebbe essere la via maestra per decifrare la patogenesi di molti disturbi psichiatrici.

Il divieto internazionale, voluto dal governo degli Stati Uniti e sottoscritto da tutti i governi del mondo occidentale, per la fabbricazione e la sperimentazione delle cosiddette droghe psicodislettiche ha interrotto questo genere di studi e ha costretto i neurobiologi a studiare la coscienza imboccando altre strade e approfondendo altri approcci.

Nel frattempo si è assistito ad un poderoso mutamento della ricerca scientifica, che non viene più portata avanti da un gruppetto di ricercatori geograficamente localizzato, come ai tempi di Charcot e di Freud, ma è praticata in modo diffuso in innumerevoli laboratori sparsi in tutto il mondo con il risultato che oggi, a proposito della coscienza, si dispone di molte informazioni fondamentali ma parziali, che restano confinate negli ambiti disciplinari nei quali sono state scoperte e attendono di essere riunite e collegate in un mosaico che dia loro la coerenza di un'immagine globale, di quello che nel linguaggio scientifico anglosassone viene detto un "modello".

In neuropsicologia, per esempio, sono stati assolutamente fondamentali gli studi sui differenti ruoli funzionali dei due emisferi cerebrali, che indicherebbero che la coscienza della veglia è, in realtà, costituita da due coscienze coesistenti e cooperanti, anche se una, la coscienza dell'emisfero sinistro, ha un ruolo dominante. Questa scoperta imporrebbe ai neurofisiologi di trovare la base concreta del fenomeno della dominanza emisferica ma finora l'argomento non sembra aver suscitato l'interesse che meriterebbe. Tale importanza diventa ancora più pressante quando si considera l'osservazione casuale, fatta su soggetti nei quali i due emisferi erano stati separati chirurgicamente (commissurotomizzati) che, dal giorno dell'intervento, dichiaravano di non sognare più: un controllo elettroencefalografico dimostrò che nell'emisfero destro si aveva il regolare avvicendarsi degli stadi REM, mentre nel sinistro essi erano scomparsi. In compenso, gli onirologi (e quindi la psicologia sperimentale) hanno dimostrato che l'attività onirica non è confinata allo stadio del sonno REM, ma è diffusamente presente in tutto il corso del sonno, e con ciò hanno dato uno scossone alla teoria psicoanalitica e hanno, contemporaneamente, rinforzato il concetto che il cervello è sostanzialmente un elaboratore di informazioni (un computer) e che ogni stato di coscienza è caratterizzato da un particolare programma operativo.

Varie altre osservazioni sembravano rinforzare il concetto che i tre stati di coscienza fondamentali, la veglia, il sonno e il sogno, siano mutualmente esclusivi, nel senso che o si è svegli o si dorme o si sogna mentre altre scoperte hanno dimostrato che è possibile conservare la coscienza della veglia (l'autocoscienza) anche mentre si sogna: si può sognare sapendo di stare sognando, un fenomeno conosciuto da tempo in parapsicologia con il nome di "sogno lucido", ma ritenuto impossibile dalla psicologia accademica. Sul versante clinico i passi in avanti più significativi sono derivati dallo studio sperimentale dell'ipnosi, che è stata abbondantemente rivalutata e che si è dimostrata una condizione della coscienza molto utile per capire gran parte dei suoi stati modificati.

Non si tratta più di utilizzare la trance come paradigma per decifrare la coscienza sofferente, ma per capire quella fisiologica, come aveva ben intuito Janet. Nella trance si avrebbe la sospensione del meccanismo di dominanza e l'operatività contemporanea delle coscienze dell'emisfero destro e sinistro, quella della veglia e quella del sogno, una condizione funzionale del tutto fisiologica e naturale che altro non può essere descritta che col termine proposto da Janet, "dissociazione", in contrapposizione al suo contrario, "associazione", che invece potrebbe essere proposto per descrivere il lavoro di collaborazione che caratterizza la coscienza ordinaria con il meccanismo della dominanza in piena attività.

Sulla base di questo modello della struttura della trance e sulla base del fatto che nel cervello diviso l'emisfero sinistro non sogna più, c'è chi ha proposto che l'emisfero destro sia la sede dell'inconscio freudiano, una proposta che se da un lato dota finalmente l'inconscio di una sede neuronale precisa, dall'altro ridimensiona notevolmente il concetto stesso di inconscio: non più una dimensione irraggiungibile, remota e incontrollabile, ma al contrario facilmente accessibile con l'induzione dello stato di trance e influenzabile con la razionalità dell'emisfero sinistro. Insomma si potrebbe continuare con un elenco di piccole scoperte o di importanti osservazioni che ci stanno pian piano facendo arrivare ad un modello della coscienza ma che per il momento restano ancora sparse e concluse in se stesse.

Nondimeno sono già stati fatti dei tentativi per collegare tra loro questi dati sparsi e ne sono nati per lo meno due modelli che hanno influenzato per qualche anno il lavoro degli specialisti. Il primo è quello di Roland Fischer che lo ha chiamato "mappa degli stati di coscienza" perché dovrebbe servire sia ai navigatori interiori che ai ricercatori per orientarsi nei labirinti della coscienza. Per Fischer, giusta la metafora del cervello/computer, lo stato di coscienza della veglia rilassata corrisponde ad una condizione operativa nella quale c'è un sostanziale equilibrio tra quantità/velocità di immissione dei dati nel processore centrale e la sua velocità di elaborazione.

Nella metafora, il processore è la corteccia cerebrale, l'input dei sensi (vista, udito, tatto e così via) corrisponde alla tastiera e il soma rappresenta le periferiche del computer sulle quali vengono rappresentati i risultati delle elaborazioni (modificazione dello stato chimico interno, modificazioni dei parametri neurovegetativi, azioni, e così via). Lo stato di coscienza della veglia rilassata viene considerato lo stato di riferimento e da questo, aumentando o diminuendo la mole di informazioni sensoriali che vengono immesse nel computer oppure aumentando la velocità di elaborazione si hanno/si possono provocare dei cambiamenti dello stato di coscienza in qualche modo proporzionali all'aumento o alla diminuzione del lavoro del processore.

Così al mattino, quando ci alziamo, dalla veglia rilassata passiamo in uno stato di coscienza "della routine giornaliera" che è caratterizzato da un discreto aumento dell'input sensoriale e del lavorio mentale (controllare la caffettiera, compiere le operazioni igieniche, pensare alle prime cose da fare appena arrivati al lavoro, eccetera) ma che, sostanzialmente, si discosta di poco dall'equilibrio input/elaborazione della veglia rilassata.

Giunti al lavoro, le informazioni che raggiungono il processore cominciano decisamente ad aumentare così come deve aumentare la velocità di elaborazione e si entra in uno stato di coscienza che viene detto di "sensibilità". Più avanti nella giornata, quando il lavoro richiede il massimo impegno, si entra in uno stato di coscienza definito di "creatività" e che è caratterizzato dalla velocità con la quale le informazioni devono essere elaborate e cioè dall'impossibilità di valutarle ed elaborarle lentamente. In queste condizioni, il processore/corteccia è al limite delle sue possibilità operative e se si aumentano ulteriormente la quantità di informazioni o la velocità con la quale si debbono elaborare si entra in uno stato di coscienza che viene definito "ansia".

Questa progressione, che è esperienza universale, è anche caratterizzata da precisi vissuti soggettivi, quali l'investimento dell'attenzione verso l'ambiente esterno e la sensazione di dover tenere sotto controllo la realtà in modo sempre più minuzioso, il che si traduce, in termini di psicologia dinamica, in un aumento progressivo delle funzioni dell'Ego e una diminuzione della presenza del Sé. In pratica, il modello, pur proponendo una descrizione della fisiologia della coscienza, sta anche descrivendo la patogenesi dell'ansia e molti clinici, soprattutto a indirizzo cognitivista, vi riconoscerebbero il cardine del loro punto di vista: non è l'inconscio che fa ammalare, ma il pensiero.

La progressione, nondimeno, è reversibile: basta diminuire la velocità del processore o ridurre l'input dei sensi (cioè, rilassarsi e tornare alla veglia calma). Se, invece, il sovraccarico sensoriale perdura o aumenta, oppure la realtà esterna richiede un'ulteriore incremento nella velocità di elaborazione delle informazioni, si entra in uno stato che Fischer ha chiamato "schizofrenico acuto" o anche "iperfrenico" cercando, con questi termini infelici, di descrivere il caos operativo creato dall'eccessiva richiesta funzionale al cervello/computer. Ma mentre le cause dell'ansia possono essere ricondotte ad una eccessiva attivazione centrale, il paragone tra lo stato di dissociazione che segue all'ansia e lo stato mentale della patologia psichiatrica maggiore ha creato un equivoco insormontabile. Viene a galla il grave fraintendimento della parola "désagregation" di Janet passata nella cultura medica anglosassone come sinonimo di dissociazione patologica:

se invece che "stato schizofrenico acuto" Fischer lo avesse chiamato "stato di dissociazione" in senso propriamente janettiano, il modello avrebbe conservato la sua completa attendibilità perché, semplicemente, descrive la dissociazione della trance e rimane nell'ambito della fisiologia. Ma, evidentemente, Fischer non aveva familiarità con l'ipnosi e questa sua imprecisione è sembrata a molti un errore sufficiente ad invalidare completamente il modello. Il quale, dopo lo stato dissociativo, prevede ulteriori cambiamenti dello stato di coscienza. Il raggiungimento dei limiti operativi del processore/corteccia, secondo Fischer, provoca il blocco del computer/cervello e crea uno stato di coscienza che assomiglia alla catatonia (di nuovo viene usato un termine tratto dalla patologia, con un'ulteriore confusione, mentre i movimenti involontari inducibili nella trance ipnotica corrispondono perfettamente allo stato nel quale, secondo Fischer, è caduto il cervello). L'entrata in stato catatonico si accompagna alla chiusura dei contatti sensoriali con la realtà esterna: il cervello si isola in se stesso, diventa sordo, cieco, insensibile al tatto e perde gusto e olfatto. E' la condizione dell'estasi, uno stato nel quale la velocità del processore torna alla normalità, il programma operativo è quello della veglia ma le informazioni che vengono elaborate sono del tutto allucinatorie perché non provengono più dall'esterno ma nascono direttamente dall'interno del sistema nervoso centrale stesso.

Fischer ha costruito questo modello sperimentalmente, mediante lo studio degli effetti psicofisiologici e neuropsicologici di sostanze psicoattive nonché su dati tratti dalla letteratura sperimentale e dalle tradizioni etnologiche e antropologiche (in particolare per quanto riguarda l'estasi) e perciò se ha sbagliato l'uso della terminologia o l'interpretazione concettuale della fenomenologia che ha osservato, i dati obbiettivi rimangono, ripetibili come tutti i risultati sperimentali che si rispettano. Il concetto di attivazione del processore centrale, per esempio, descrive un aumento dell'attività ergotrofica, che, a sua volta, si traduce in un'attivazione progressiva dell'ortosimpatico e tale iperattivazione è obbiettivabile nella periferia corporea in termini di frequenza cardiaca, tono muscolare, pressione arteriosa, glicemia, sudorazione, eccetera.

Gli stati finora descritti costituiscono una progressione obbligata, un continuum, in conseguenza della quale non si può transitare nello stato successivo se non si passa prima nel precedente. Questa sequenza di stati di eccitazione centrale è stata chiamata "continuum di progressiva attivazione erogotrofica" e fornisce una spiegazione neurobiologica a tutta una serie di pratiche per modificare lo stato di coscienza che i vari popoli della terra hanno sviluppato da millenni. A parte l'uso di sostanze psicoattive eccitatorie (per esempio, la psilocibina), provocano viaggi verso la dissociazione e l'estasi le danze tribali, che sovraccaricano il cervello/computer con intense stimolazioni uditive e cenestesiche, le danze in tondo dei dervisci, che sovraccaricano i labirinti, le pratiche delle baccanti, che all'uso del vino aggiungevano quello dei tamburi e delle danze sfrenate e così via.

Nondimeno sono già stati fatti dei tentativi per collegare tra loro questi dati sparsi e ne sono nati per lo meno due modelli che hanno influenzato per qualche anno il lavoro degli specialisti. Il primo è quello di Roland Fischer che lo ha chiamato "mappa degli stati di coscienza" perché dovrebbe servire sia ai navigatori interiori che ai ricercatori per orientarsi nei labirinti della coscienza. Per Fischer, giusta la metafora del cervello/computer, lo stato di coscienza della veglia rilassata corrisponde ad una condizione operativa nella quale c'è un sostanziale equilibrio tra quantità/velocità di immissione dei dati nel processore centrale e la sua velocità di elaborazione.

Nella metafora, il processore è la corteccia cerebrale, l'input dei sensi (vista, udito, tatto e così via) corrisponde alla tastiera e il soma rappresenta le periferiche del computer sulle quali vengono rappresentati i risultati delle elaborazioni (modificazione dello stato chimico interno, modificazioni dei parametri neurovegetativi, azioni, e così via). Lo stato di coscienza della veglia rilassata viene considerato lo stato di riferimento e da questo, aumentando o diminuendo la mole di informazioni sensoriali che vengono immesse nel computer oppure aumentando la velocità di elaborazione si hanno/si possono provocare dei cambiamenti dello stato di coscienza in qualche modo proporzionali all'aumento o alla diminuzione del lavoro del processore.

Così al mattino, quando ci alziamo, dalla veglia rilassata passiamo in uno stato di coscienza "della routine giornaliera" che è caratterizzato da un discreto aumento dell'input sensoriale e del lavorio mentale (controllare la caffettiera, compiere le operazioni igieniche, pensare alle prime cose da fare appena arrivati al lavoro, eccetera) ma che, sostanzialmente, si discosta di poco dall'equilibrio input/elaborazione della veglia rilassata.

Giunti al lavoro, le informazioni che raggiungono il processore cominciano decisamente ad aumentare così come deve aumentare la velocità di elaborazione e si entra in uno stato di coscienza che viene detto di "sensibilità". Più avanti nella giornata, quando il lavoro richiede il massimo impegno, si entra in uno stato di coscienza definito di "creatività" e che è caratterizzato dalla velocità con la quale le informazioni devono essere elaborate e cioè dall'impossibilità di valutarle ed elaborarle lentamente. In queste condizioni, il processore/corteccia è al limite delle sue possibilità operative e se si aumentano ulteriormente la quantità di informazioni o la velocità con la quale si debbono elaborare si entra in uno stato di coscienza che viene definito "ansia".

Questa progressione, che è esperienza universale, è anche caratterizzata da precisi vissuti soggettivi, quali l'investimento dell'attenzione verso l'ambiente esterno e la sensazione di dover tenere sotto controllo la realtà in modo sempre più minuzioso, il che si traduce, in termini di psicologia dinamica, in un aumento progressivo delle funzioni dell'Ego e una diminuzione della presenza del Sé. In pratica, il modello, pur proponendo una descrizione della fisiologia della coscienza, sta anche descrivendo la patogenesi dell'ansia e molti clinici, soprattutto a indirizzo cognitivista, vi riconoscerebbero il cardine del loro punto di vista: non è l'inconscio che fa ammalare, ma il pensiero.

La progressione, nondimeno, è reversibile: basta diminuire la velocità del processore o ridurre l'input dei sensi (cioè, rilassarsi e tornare alla veglia calma). Se, invece, il sovraccarico sensoriale perdura o aumenta, oppure la realtà esterna richiede un'ulteriore incremento nella velocità di elaborazione delle informazioni, si entra in uno stato che Fischer ha chiamato "schizofrenico acuto" o anche "iperfrenico" cercando, con questi termini infelici, di descrivere il caos operativo creato dall'eccessiva richiesta funzionale al cervello/computer. Ma mentre le cause dell'ansia possono essere ricondotte ad una eccessiva attivazione centrale, il paragone tra lo stato di dissociazione che segue all'ansia e lo stato mentale della patologia psichiatrica maggiore ha creato un equivoco insormontabile. Viene a galla il grave fraintendimento della parola "désagregation" di Janet passata nella cultura medica anglosassone come sinonimo di dissociazione patologica:

se invece che "stato schizofrenico acuto" Fischer lo avesse chiamato "stato di dissociazione" in senso propriamente janettiano, il modello avrebbe conservato la sua completa attendibilità perché, semplicemente, descrive la dissociazione della trance e rimane nell'ambito della fisiologia. Ma, evidentemente, Fischer non aveva familiarità con l'ipnosi e questa sua imprecisione è sembrata a molti un errore sufficiente ad invalidare completamente il modello. Il quale, dopo lo stato dissociativo, prevede ulteriori cambiamenti dello stato di coscienza. Il raggiungimento dei limiti operativi del processore/corteccia, secondo Fischer, provoca il blocco del computer/cervello e crea uno stato di coscienza che assomiglia alla catatonia (di nuovo viene usato un termine tratto dalla patologia, con un'ulteriore confusione, mentre i movimenti involontari inducibili nella trance ipnotica corrispondono perfettamente allo stato nel quale, secondo Fischer, è caduto il cervello). L'entrata in stato catatonico si accompagna alla chiusura dei contatti sensoriali con la realtà esterna: il cervello si isola in se stesso, diventa sordo, cieco, insensibile al tatto e perde gusto e olfatto. E' la condizione dell'estasi, uno stato nel quale la velocità del processore torna alla normalità, il programma operativo è quello della veglia ma le informazioni che vengono elaborate sono del tutto allucinatorie perché non provengono più dall'esterno ma nascono direttamente dall'interno del sistema nervoso centrale stesso.

Fischer ha costruito questo modello sperimentalmente, mediante lo studio degli effetti psicofisiologici e neuropsicologici di sostanze psicoattive nonché su dati tratti dalla letteratura sperimentale e dalle tradizioni etnologiche e antropologiche (in particolare per quanto riguarda l'estasi) e perciò se ha sbagliato l'uso della terminologia o l'interpretazione concettuale della fenomenologia che ha osservato, i dati obbiettivi rimangono, ripetibili come tutti i risultati sperimentali che si rispettano. Il concetto di attivazione del processore centrale, per esempio, descrive un aumento dell'attività ergotrofica, che, a sua volta, si traduce in un'attivazione progressiva dell'ortosimpatico e tale iperattivazione è obbiettivabile nella periferia corporea in termini di frequenza cardiaca, tono muscolare, pressione arteriosa, glicemia, sudorazione, eccetera.

Gli stati finora descritti costituiscono una progressione obbligata, un continuum, in conseguenza della quale non si può transitare nello stato successivo se non si passa prima nel precedente. Questa sequenza di stati di eccitazione centrale è stata chiamata "continuum di progressiva attivazione erogotrofica" e fornisce una spiegazione neurobiologica a tutta una serie di pratiche per modificare lo stato di coscienza che i vari popoli della terra hanno sviluppato da millenni. A parte l'uso di sostanze psicoattive eccitatorie (per esempio, la psilocibina), provocano viaggi verso la dissociazione e l'estasi le danze tribali, che sovraccaricano il cervello/computer con intense stimolazioni uditive e cenestesiche, le danze in tondo dei dervisci, che sovraccaricano i labirinti, le pratiche delle baccanti, che all'uso del vino aggiungevano quello dei tamburi e delle danze sfrenate e così via.

Addirittura, secondo Fischer, l'estasi mistica cattolica è uno stato che si raggiunge con tecniche eccitatorie (probabilmente attraverso intense attivazioni emozionali) e costituisce il punto terminale del continuum ergotrofico. In contrapposizione a questa sequenza di stati di eccitazione c'è un continuum costituito da una serie di stati di coscienza determinati da una progressiva diminuzione dell'input sensoriale e della velocità di elaborazione del processore/corteccia. E' il "continuum di attivazione trofotrofica", ovvero di progressiva attivazione ortosimpatica. Gli stati che lo compongono sono quelli del rilassamento profondo, della meditazione, del pre-sonno, della meditazione superiore e, infine, del samadhi, l'estasi yogica. Anche le tappe di questa progressione sono state costruite sperimentalmente mediante la somministrazione di sostanze psicoattive (il lorazepam, per la precisione) ma, fortunatamente Fischer, per descrivere le condizioni della coscienza in ciascuna di esse non ha usato la terminologia psichiatrica, anche se è facile intuire che la tappa di questa progressione equivalente all'ansia sull'altro continuum, è la depressione.

Anche la sequenza di stati ottenibili con lo spegnimento progressivo dei contatti sensoriali con l'ambiente o la riduzione volontaria o involontaria della velocità di elaborazione del processore/corteccia, fornisce una spiegazione neurobiologica a varie altre pratiche sviluppate dall'umanità nel corso dei secoli per modificare i propri stati di coscienza e raggiungere l'estasi: sono le tecniche dello yoga e, in genere, delle culture orientali. Sorprendentemente, nell'elenco degli stati di progressiva sedazione, manca la condizione della trance ipnotica che, nella nostra cultura, viene considerata uno stato di rilassamento e viene sfruttata, in parte, proprio in questo senso. In realtà, anche (o soprattutto) le pratiche di intensa concentrazione o di progressiva autosedazione portano con facilità alla dissociazione janattiana, come dimostrano convincentemente gli studi sull'addormentamento, ovvero sullo stato ipnagogico: ogni sera, quando ci accingiamo al sonno, senza saperlo, tutti facciamo esattamente le stesse operazioni che fanno i meditatori o che ci induce a fare un ipnotista mentre ci porta in trance.

Dirottiamo l'attenzione dalla realtà esterna a quella mentale (impoveriamo o aboliamo l'input dei sensi) e la concentriamo su fantasie o pensieri con una intensità tale da perdere completamente il contatto con la realtà. Lo stato ipnagogico (che è uno dei possibili stati modificati della coscienza) dura pochi minuti e malgrado tutti lo conosciamo come particolarmente piacevole, non è registrato con particolare evidenza nell'elenco delle nostre esperienze interiori. In realtà, se lo si prolunga artificialmente, si manifesta una fenomenologia molto curiosa: compaiono con facilità delle allucinazioni e si ha l'impressione che la mente sia sdoppiata.

E' il momento in cui l'emisfero sinistro cede il ruolo dominante al suo gemello di destra e sebbene non sia ancora possibile spiegare perché debbano insorgere delle allucinazioni, questa fenomenologia richiama in modo profondamente suggestivo la fenomenologia della trance ipnotica e, ancora una volta, la condizione della dissociazione di Janet. Insomma, sembra evidente che le operazioni psicofisiologiche che facciamo per addormentarci, che sono simili a quelle che ci induce a fare un ipnotista per mandarci in trance e altrettanto simili a quelle che fa un meditatore, sviluppino la dissociazione funzionale tra i due emisferi cerebrali e da questa si può cadere nel sonno, rimanere in trance o andare in estasi.

Il modello di Fischer è costruito su dati neurofisiologici, psicofisiologici, neuropsicologici e psicofarmacologici ed è quindi un modello neurobiologico, molto utile per studiare il comportamento dell'hardware della coscienza però meno illuminante su ciò che succede a livello neuropsicologico o psicologico. Un tentativo per colmare questo vuoto teorico è stato il secondo modello della coscienza e dei suoi stati cui si accennava più sopra. E' il "modello sistemico" di Charles Tart, secondo il quale, la coscienza va vista come un sistema di funzioni, ciascuna delle quali contribuisce a configurare degli insiemi strutturali che sono i suoi vari stati modificati. In altre parole, ogni stato è un cocktails nel quale le varie "funzioni nervose superiori" sono rappresentate in proporzioni quantitative variabili: quando questa miscela perdura stabilmente per periodi di tempo psicologicamente significativi (e cioè abbastanza perché si possa fare un'esperienza soggettiva riconoscibile) si può parlare di uno "stato di coscienza discreto". Alcuni tra i più importanti ingredienti elementari che compongono le miscele (quelle che un tempo venivano chiamate funzioni nervose superiori) sono: l'esterocezione, l'enterocezione, l'elaborazione delle informazioni sensoriali in ingresso (input), la memoria, il subconscio (inteso da Tart come l'inconscio freudiano vero e proprio), le emozioni, le facoltà di valutazione e decisione, il senso del tempo, il senso di identità e l'output motorio e così via.

Nel sogno, per esempio, l'esterocezione è quasi del tutto abolita e così pure scende a livelli molto bassi la funzione di elaborazione dell'input sensoriale mentre la memoria diventa un ingrediente quantitativamente molto importante. La capacità di decisione è bloccata, come pure è distorto il senso del tempo.

Insomma, secondo Tart, facendo delle scale quantitative che permettano di "misurare" l'importanza di ciascun ingrediente, è possibile rappresentare ogni stato di coscienza su un sistema di assi cartesiani e compilare, non più una singola mappa, ma un intero atlante degli stati di coscienza. A suo tempo (trent'anni or sono), l'idea ebbe un certo seguito, anche se sono state molto modeste le sue applicazioni pratiche e pochissimi ricercatori hanno tentato di realizzare sperimentalmente le varie mappe dell'atlante. E' stato utile per una descrizione della fenomenologia della coscienza e per mettere a fuoco alcuni punti nodali di tale fenomenologia ma oggi lo si può considerare superato.

Molti hanno considerato più produttivo studiare l'attività mentale nei vari stati di coscienza come un sistema operativo informatico e cioè utilizzare la teoria dell'informazione, perdendo forse la prospettiva sistemica, ma avviandosi in direzioni che hanno modificato vari dogmi finora inattaccabili.

Per esempio, la dimostrazione che il cervello elabora informazioni in tutti gli stadi del sonno ha rimesso in discussione la funzione stessa del sonno, dando l'impressione che sia anche importante "perché" debba continuare a elaborare informazioni oltre che "come" lo fa. Altri, tentando di capire qual è il linguaggio/macchina che funge da interfaccia tra hardware e software, hanno cominciato a studiare a fondo la memoria arrivando ad affermare che la coscienza si impara e hanno ridato vigore ad una polemica al confine tra neuroscienze e filosofia su quanto della struttura della nostra mente viene imparato e quanto è innato. Insomma, come si è detto, oggi la ricerca scientifica è talmente veloce e diffusa che gli specialisti faticano non poco a tenere sotto controllo ciò che fanno i loro stessi colleghi e, spesso, non si curano di valutare le implicazioni che una data osservazione può avere in altri campi disciplinari. Tornando al modello sistemico di Tart, se il concetto di sistema è stato poco produttivo, del tutto valide restano invece le parti del modello che analizzano e tentano di spiegare come si producono i cambiamenti dello stato di coscienza. Per Tart ogni stato di coscienza/sistema è mantenuto stabile da un "collante funzionale" che impedisce un cambiamento nei rapporti tra i vari ingredienti che lo compongono.

Questo collante è l'attenzione/consapevolezza ed è manipolando o automanipolando questa funzione che si producono i cambiamenti di stato. In genere l'attenzione può essere: 1) del tutto proiettata nell'ambiente esterno; 2) concentrata completamente nell'ambiente interno, oppure; 3) fluttuante tra dentro e fuori. Nello stato di coscienza della veglia l'attenzione è continuamente diretta nella realtà ambientale ma se cominciamo a interiorizzarla e a concentrarla su contenuti mentali ci avviamo verso il radicale cambiamento che si chiama sonno. Come si è accennato più sopra, l'autocontrollo dell'attenzione è anche il fondamento delle pratiche di meditazione che, come proclamano le culture orientali, è la via maestra per l'autoconoscenza di se stessi, o meglio, per l'autoconoscenza della struttura e del modo di funzionare della nostra mente/coscienza. Come si è detto, anche un ipnotista induce la trance controllando l'attenzione del soggetto che vuole ipnotizzare: consapevolmente e progressivamente gliela dirotta nell'ambiente interno e gliela concentra su sensazioni e precetti somatici o mentali fino a che l'ambiente esterno non viene più percepito. Facendo ciò, l'ipnotista applica delle "forze disgreganti" sulla struttura del sistema/coscienza di partenza e quando lo ha disgregato e cioè ha prodotto un nuovo sistema/coscienza (lo stato di trance) applica delle forze "stabilizzanti" che rendono il nuovo sistema stabile nel tempo.

Il meditatore fa le stesse cose da sé, senza dover ricorrere all'aiuto di nessuno. Altrettanto facciamo tutti per addormentarci, solo che, contrariamente a quanto succede con l'ipnosi o la meditazione, ad un certo punto perdiamo il controllo della situazione perché abbiamo innescato dei meccanismi automatici che ci fanno cadere addormentati. Anche i meditatori possono perdere il controllo della situazione e andare in estasi, ma, per il momento, non sappiamo ancora perché. I modelli degli stati di coscienza di Fischer e di Tart erano, in molti punti, complementari. Il tempo ha dimostrato la loro lacunosità e, per certi versi, anche la loro superficialità. Non deve però sfuggire che sono modelli fisiologici e ciò dimostra un notevole cambiamento nel modo di vedere la coscienza e i suoi stati rispetto ai clinici della Salpetrière: prima di cercare spiegazioni fisiopatologiche conviene studiare a fondo la coscienza normale e oggi siamo pronti a farlo. Nei manuali di neurofisiologia, di psichiatria, di psicologia e di neuropsicologia è diventato doveroso prevedere e aggiungere un capitolo sugli stati di coscienza ma ciascuna di queste discipline non può fare altro che descrivere delle fenomenologie parziali: il sonno e il sogno, le alterazioni della coscienza indotte dalle sostanze psicoattive, la bipolarità del conscio e dell'inconscio, le attribuzioni funzionali dei due emisferi cerebrali e così via. Una cultura distillata faticosamente attraverso i filtri della liturgia sperimentale, che procede lentamente.

Probabilmente un grosso avanzamento avverrà quando cominceremo a coniugare tra loro il sapere scientifico occidentale e quello psicologico orientale. Nelle culture orientali, che tradizionalmente hanno dedicato allo studio di noi stessi molte più energie di quanto non abbia fatto il pensiero occidentale, esiste un solo modello di struttura della coscienza: quello secondo il quale la realtà è illusoria ed è una costruzione mentale. Innumerevoli testi si addentrano nella spiegazione di questa forte affermazione e per farlo analizzano minuziosamente la struttura del pensiero e il funzionamento della mente. Malgrado questo sapere sia ormai stato codificato da secoli, qui da noi, in occidente, è rimasto finora inutilizzato perché esposto in forma metaforica oppure come una cronaca inattendibile di esperienze soggettive.

Finora ci sono stati solo piccoli saccheggi o prestiti di modesta entità: Carl Gustav Jung si appassionò notevolmente nel leggere il "Libro tibetano dei morti" che racconta le esperienze NDE (near death experiences) e cioè una fenomenologia che la scienza occidentale ha riconosciuto solo da qualche decennio e che, comunque, ritiene illusoria. Lo yoga del sogno, una tecnica che insegna a "sognare lucido", è vecchio di un paio di millenni mentre la possibilità di sognare sapendo di stare sognando è stata accettata solo di recente, grazie all'ostinazione di Stephen La Berge.

Sulla possibilità di sognare lucido, i tibetani hanno costruito un modello della coscienza e una teoria del sogno che sono un capolavoro di semplicità quanto ancora inaccettabili dalle nostre scienze sperimentali. Tuttavia questa è la strada del futuro e si attende un genio coraggioso che, al pari di Sigmund Freud, sappia costruire una teoria della coscienza che possa soddisfare oriente ed occidente. Marco Margnelli Presidente della Società Italiana per lo Studio degli stati di Coscienza e della Biofeedback Association of Europe.

Marco Margnelli
Medico e Psicoterapeuta