da Leadership Medica n. 2 del 2000
Da molto tempo non si parla più, se non in qualche congresso, dell'implantologia dentale eseguita con aghi di titanio. Eppure è una tecnica validissima, che è possibile mettere in atto con risultati più che soddisfacenti, anche in tutti i casi nei quali le altre metodiche non possono essere applicate.
Con tale metodo vengono inseriti nell'osso mascellare o mandibolare, privo di denti, dei sottili aghi di titanio del diametro di mm. 1,2 (fig. 1 a lato), che creano delle radici di supporto sulle quali poi fissare i denti artificiali.
Essendo il diametro tanto ridotto, tali impianti possono essere usati anche quando il tessuto osseo abbia uno spessore minimo, senza pertanto la necessità di ricorrere ad interventi chirurgici di innesto, oltretutto più invasivi.
Essi lasciano tuttora perplessi, per una serie di effetti collaterali, tra i quali l'incertezza sulla riuscita dell'intervento stesso.
Da non trascurare anche l'aspetto doloroso di simili operazioni.
Il metodo di cui stiamo trattando è stato ideato negli anni '60 da un dentista francese di nome Scialom, purtroppo è stato applicato per un breve periodo; successivamente però è stato abbandonato. Probabilmente ciò è accaduto, poiché nella ricerca ogni innovazione presenta delle problematiche irrisolte, ed è quindi necessario perfezionarla.
Per eseguire un intervento di implantologia con aghi al titanio, occorre avere, da parte dell'operatore, una buona manualità, in quanto gli stessi aghi vengono infissi talvolta in zone di minimo spessore osseo. Tutto ciò non incide sulla qualità del metodo, di per sé ottimo.
E' chiaro tuttavia che la sua applicazione richiede una maggiore preparazione professionale, la quale stranamente non si ottiene in ambito universitario. Un altro ostacolo all'applicazione di questa tecnica è rappresentato dall'industria del settore, che per ovvi motivi di commercializzazione, propone quel tipo di impianti che possono essere usati da tutti più facilmente, con protocolli standard.
In ogni caso questa tecnica, pur avendone tutti i requisiti, non è tuttora approdata alle Università e pochi ne riconoscono l'effettiva validità. Tra gli aspetti positivi è da annoverare anche la contrazione dei tempi, che consente al paziente, di avere quasi subito denti fissi e stabili (fig. 2, a lato), senza dover aspettare mesi come con i metodi più moderni,. L'inserzione dell'ago nel tessuto osseo si ottiene infatti con un trauma minimo e la ferita è praticamente inesistente, simile a quella dell'ago di una puntura ipodermica.
Le critiche pretestuose che vengono formulate a questo tipo di intervento sono per lo più inconsistenti. Si dice ad esempio che l'intervento non è codificabile e ripetibile con il modello standard; questo non è esatto, in quanto, una volta acquisita, l'applicazione di questa tecnica non assolutamente difficile.
Per unire gli aghi fra di loro nella parte emergente dalla gengiva e formare in tal modo dei monconi artificiali su cui vengono fissati i denti, si deve usare un particolare attrezzo, la cosiddetta "sincristallizzatrice" (figg. 3 e 4, sotto), che certamente tutti gli odontoiatri conoscono. Tuttavia va ricordato tale apparecchio è stato messo a punto, da molti anni, dal Dottor Pierluigi Mondani di Genova ed è ormai utilizzato con successo dalla comunità scientifica internazionale per la sua praticità e innocuità.
Attraverso questa macchina le parti metalliche in titanio vengono saldate in un lasso di tempo molto breve (fig. 4), di modo che il calore prodotto dall'operazione non è neppure percepibile.
Questo è un aspetto della massima importanza poiché i tessuti gengivali non vengono compromessi dalla temperatura prodotta dall'elettrosaldatura. Si tratta di un atteggiamento anacronistico; sarebbe come non voler riconoscere la chirurgia cardiaca attuale, solo per il fatto che non tutti i chirurghi sono in grado di praticarla.
Ovviamente il metodo ad aghi tuttavia è solo uno, fra i tanti tradizionali, che dovrebbe invece essere ritenuto complementare a quelli già esistenti e all'ultimo uscito, cioè quello di Branemark, a torto ritenuto il solo osteointegrabile. Quest'ultimo si avvale di impianti piuttosto voluminosi di forma cilindrica, i quali, per essere inseriti come radici artificiali, devono disporre di un tessuto osseo abbastanza voluminoso, altrimenti si rendono necessari interventi di chirurgia maxillo-facciale (fig. 5, a lato), spesso invasivi e traumatizzanti.
E' necessario insomma adeguare il tipo di impianto odontoiatrico alle esigenze dell'individuo, e non adottare, pedestramente, il medesimo impianto per ogni paziente.
Del resto tutta la medicina è ormai orientata ad utilizzare, soprattutto in chirurgia, tecniche non invasive e quindi anche l'odontoiatria dovrebbe allinearsi a questa tendenza.