Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 7 del 1999

Abstract:

L'Autore svolge un excursus storico sul tema dell'implantologia dentale, partendo dalla rudimentali tecniche utilizzate nell'antichità fino al perfezionarsi della disciplina, nel corso di questo secolo, pur  tra lo scetticismo della comunità scientifica. L'articolo accenna anche alle metodiche attualmente più usate, sulle quali non mancano le polemiche.

Articolo

Gerrit (o Gerard) van Honthorst - Il CavadentiL'implantologia dentale è quella branca dell'odontoiatria per mezzo della quale, quando una persona rimane in parte o totalmente priva di denti può riavere, mediante delle radici dentali artificiali inserite al posto di quelle perdute, nuovamente i denti che su tali radici vengono fissati (a lato: Gerrit (o Gerard) van Honthorst - Il Cavadenti).
La metodica ha alle spalle lunghissimi anni di studio.  
Fin dai tempi più remoti, infatti, si è cercato con sistemi e materiali diversi, di sostituire i denti mancanti.  
E' ben comprensibile comunque la difficoltà dell'impresa, se solamente ai nostri giorni si è arrivati finalmente a mettere a punto delle metodologie che risolvono, nella maggior parte dei casi, tale problematica. 
Già gli Aztechi, gli Egizi, i Cinesi, gli Etruschi, fino ai tempi più moderni della dominazione araba in Spagna, tanto per fare riferimento ai popoli che ci hanno preceduto nei secoli in questa ricerca, hanno tentato di praticare l'implantologia dentale. 
Scavi archeologici e ritrovamenti tombali hanno portato alla luce crani e ossa mandibolari nei quali, al posto di qualche dente mancante, erano stati inseriti degli elementi ricalcanti la forma, più o meno ben modellati, dei denti umani. I materiali usati per ottenere questi denti erano ricavati  talvolta da valve di conchiglie, talaltra da particolari pietre o addirittura, come in un caso riportato su un numero della rivista Nature (Gennaio '98), la radice inserita nell'alveolo vuoto, fu scoperta essere di ferro lavorato e martellato al fuoco.  
E' sorto naturalmente, fra i ricercatori, il dubbio che tali impianti  dentali, dato il culto dei morti esistente nell'antichità, fossero stati inseriti “post mortem”. Sembra però che in vari  casi  di ritrovamento, gli impianti siano stati inseriti in vita, e abbiano anche funzionato per un certo periodo. 
Lasciando ora da parte i reperti storici, si può affermare che ormai sono più di 70/80 anni che fervono seri studi attorno a questa branca dell'odontoiatria.  
Pur ammettendo che, a confronto di altre specialistiche mediche o chirurgiche, curanti infermità che possono  mettere a repentaglio la vita, l'implantologia dentale riveste un'importanza secondaria, essa è tuttavia di grande utilità. 
Per nostra buona sorte ci furono professionisti che si applicarono con fervore quasi religioso a trovare il sistema di reimpiantare i denti, di modo che fossero stabili come quelli naturali. 
E' doveroso ricordare, seppure con rapidi accenni, alcune tappe dell'iter implantologico nei tempi più recenti.

Figura 1
Radiografia della mandibola, che mostra come, con uno dei molti sistemi dell'implantologia “classica”, si possano inserire degli impianti sottili come aghi, quando il tessuto osseo è molto scarso sia in spessore che in profondità. Tali aghi - formanti le radici artificiali - inseriti a tripode, uniti fra di loro nella parte fuoriuscente dall'osso e dalla gengiva e tagliati nella loro parte eccedente, formano dei monconi sui quali vengono poi fissati i denti.

E proprio perché noi italiani siamo spesso particolarmente esterofili, voglio sottolineare che fu un italiano a dare inizio a quel filone di studi che, negli ultimi decenni, ha portato all'affermazione e al riconoscimento di questa metodica. 
Si tratta del dott.Formiggini di Modena, che nella seconda metà degli anni '40, ideò un impianto in metallo “a forma di spirale”, da inserire negli alveoli  dei denti estratti.  
Egli riteneva che fra le varie spire si sarebbe generato del tessuto osseo o fibroso, il quale, trattenendo questa particolare radice, avrebbe poi permesso di fissare sulla stessa, nella parte emergente della gengiva, dei denti fissi. 
In realtà ben  prima di Formiggini altri ricercatori come l'americano Strock e lo svedese Dahl (inizio '900) avevano cercato rispettivamente di inserire in profondità nel tessuto osseo, privo di denti, o di appoggiarvi sopra, delle particolari radici metalliche, sulle quali poi fissare dei denti artificiali.  
Gli impianti furono chiamati "endossei" se inseriti in profondità, e “iuxtaossei” se invece venivano solo appoggiati sul tessuto osseo, quando questo era scarso e non permetteva di inserirli in profondità. Tali metodi, tuttavia, probabilmente a  causa dei tempi, delle attrezzature poco adatte, della mancanza di materiali adeguati, non riscossero allora i risultati sperati, finché con l'avvento di un'epoca più vicina a noi (attorno agli anni '50/'60), si incominciarono ad ottenere i primi successi.

Figura 2
Radiografia di “impianti moderni” cilindrici inseriti nell'osso: essendo abbastanza voluminosi necessitano di tessuto osseo abbondante sia in spessore che in profondità.

C'è da essere grati pertanto a quei precursori  (Cherchev, Muratori, Tramonte, Pasqualini, Linkow, Scialon, il citato Formiggini e parecchi altri), dei quali molti ormai scomparsi, che portarono avanti in modo determinante la ricerca. Per merito loro anche in Italia, oltre che in America, in Francia, in Argentina, L'implantologia dentale incominciò a prendere piede e a diffondersi e dare risultati soddisfacenti. 
Purtroppo tutti questi ricercatori - che scoprirono il metodo e cominciarono a diffonderlo - non seppero mai accordarsi fra loro e rendere ufficiali e credibili le loro scoperte.  
A loro discolpa va detto che essi furono spesso, anzi quasi sempre, aspramente combattuti dalle Università e dalla Scienza Ufficiale, forse perché non si riteneva che dei semplici privati  potessero portare a compimento una così grande scoperta, la quale, per i tempi, aveva del miracoloso.  
E tale ostilità nei confronti dei precursori  non si è ancora del tutto spenta, poiché continua l'assurda diatriba tra coloro che praticano sia i metodi tradizionali che quelli moderni  e coloro che invece si avvalgono solo di questi ultimi.  
Come ricordato l'implantologia dentale fu in passato molto contestata e anche quando la si dovette accettare - dato che era diventata realtà incontestabile - si continuò ad affermare che su quella disciplina non erano mai state svolte serie ricerche.  
Secondo mal fondate opinioni l'implantologia dentale sarebbe da accettarsi solo perché uno scopritore svedese (che tra l'altro non è nemmeno dentista) ha reso noto ciò che da moltissimo tempo i vecchi ricercatori avevano cercato invano di mettere in evidenza.  
E cioé che delle radici artificiali (naturalmente di metallo inerte che non dà reazione), se immesse nel tessuto osseo e mantenute ferme e stabili fin dal primo momento della loro inserzione, si includono perfettamente nello stesso.

 Figura 3
Fotografia che evidenzia i fori di un certo diametro che è necessario praticare nell'osso mandibolare o mascellare per inserirvi gli impianti cilindrici “moderni”. Risulta evidente che usando solo tale metodo, si deve avere a disposizione un tessuto osseo consistente. Ciò che non sempre si trova nella pratica.

Fu subito coniata allora la parola “osteointegrazione”, che altro non è che “l'osteoinclusione” dei vecchi ricercatori! Attualmente si vuol far credere che solamente con gli impianti dell'ultima generazione, cioé con quelli inventati dallo scopritore svedese e simili, si possa ottenere la cosiddetta  “osteointegrazione”.  
Ciò non è vero! La maggior parte degli impianti, se ben eseguiti, si “osteoincludono”, poichè i principi delle metodiche, sia moderne che tradizionali, rimangono sempre i medesimi.  
Sotto un'ottica più corretta, anzi i vari impianti e metodi esistenti (sia tradizionali che moderni) sono fra loro complementari si completano a vicenda.  
Conoscendo infatti più metodi  ed usando diversi tipi di impianti, date le stesse varianti anatomiche dell'osso mandibolare e mascellare, è possibile risolvere in modo più soddisfacente e completo, quasi tutti i casi si presentano all'osservazione e nella pratica professionale. 

Come corollario a quanto ho sinteticamente esposto, c'è da dire che purtroppo tutta l'implantologia tradizionale - attraverso la quale è possibile risolvere egregiamente il 99% dei casi di edentulia (mancanza di denti) - se continuamente combattuta e respinta, nei prossimi anni andrà a morire.  
Rimarrà al suo posto l'ultimo metodo uscito, quello chiamato a torto “il solo osteointegrato”, che va pur bene ed inoltre è molto  semplice da eseguire, quando c'è abbondanza di tessuto osseo nel quale inserire gli impianti abbastanza voluminosi e cilindrici proposti da questo sistema, ma richiede l'intervento della chirurgia maxillo facciale, con interventi piuttosto traumatizzanti ed invasivi, amplia il sito ove inserire gli impianti, mediante innesti di tessuto prelevati e trasportati da altre parti dello scheletro: dal bacino (cresta eliaca), dalla teca cranica, dalle costole, e, quando è possibile, dal mento.

Figura 4
Fotografia che evidenzia i fori di un certo diametro che è necessario praticare nell'osso mandibolare o mascellare per inserirvi gli impianti cilindrici “moderni”. Risulta evidente che usando solo tale metodo, si deve avere a disposizione un tessuto osseo consistente. Ciò che non sempre si trova nella pratica.*

A parte il lungo periodo di tempo necessario, in tal modo, prima che il paziente possa avere i denti definitivi, non tutte le persone sono disposte a sottoporsi a simili interventi, specialmente se sono avanti negli anni.  E' da prevedere quindi  che un buon 60/70% di coloro che con metodiche tradizionali, possono usufruire dell'implantologia, qualunque età abbiano, dovranno, se così si continua a pensare e ad agire, in un prossimo avvenire rinunciarvi!  
L'ostracismo infatti, verso i metodi tradizionali, è arrivato al punto che persino ogni rivista specialistica e scientifica nel campo odontoiatrico, rifiuta categoricamente  di pubblicare dei lavori impianto-protesici, seppure perfetti sotto ogni punto di vista, qualora siano stati realizzati con i metodi tradizionali. 
I cattedratici che conoscono e applicano unicamente l'ultimo metodo scoperto, quello cosiddetto “Osteointegrato”, solo questo insegnano ai loro allievi nelle università e, come un tempo si opponevano all'implantologia dentale in generale, ora negano la validità di qualsiasi altra metodica che non sia quella da loro proposta e praticata. 
E' veramente un peccato, ma anche una grande ingiustizia (con gravi conseguenze sociali), che dopo tanti sforzi e tanti studi per dare a quasi tutti coloro che ne necessitano, una dentatura bella, funzionale e fissa, attualmente, per assurde e false prese di posizione, per voler semplificare tutto al massimo, ma anche per motivi di marketing, si voglia distruggere un patrimonio di esperienza e di cultura odontoiatrica ormai inoppugnabile! 

Massimiliano Apolloni
Specialista in Odontoiatria e Protesi Dentarie - Trento

*La fotografia mostra un preparato istologico "per usura" del prof. Karl Donat dell'Università di Amburgo. E' la sezione a fortissimo ingrandimento di un ago immesso nell'osso che si è perfettamente osteointegrato. L'ago è stato estratto, insieme al tessuto che lo circondava, per motivi di studio dal dott.Pierangelo Manenti di Bergamo. Faceva parte infatti di un'implantologia realizzata con aghi che era in sito da vari anni e che è stata rimossa dallo stesso collega che l'aveva eseguita e quindi spedita alla sopra ricordata Università dove furono fatte numerose sezioni (una quindicina) lungo tutta la sezione dell'ago ed allestiti i preparati istologici.
E' evidente dalla fotografia come tutt'intorno alla sezione dell'impianto, che fra il resto è completamente liscio sulla sua superficie e non mostra alcuna zigrinatura artificio affinchè l'osso circostante vi aderisca meglio, il tessuto osseo si sia fortemente addossato allo stesso e compattato. Esempio del genere se ne potrebbero riportare a decine per non dire a centinaia per i più svariati tipi di impianti, purchè siano rimasti immobili nel tessuto osseo per un dato periodo di tempo.
Non è infatti la forma dell'impianto o la metodica operatoria che ne favorisce l'osteointegrazione bensì l'immobilità dello stesso nel tessuto osseo.
L'immobilità degli impianti, una volta immessi, si possono ottenere sia seppellendoli nel tessuto osseo e lasciandoli in quiete implantare per alcuni mesi, sia unendoli fra di loro quando si tratta di impianti on monconi subito emergenti, sia bloccando con dei ponti armati a denti vicini, sia ancora, quando è possibile, inserendo gli impianti molto profondi.
Di conseguenza non è solo con l'implantologia "Moderna" e quindi con gli impianti a forma conica o cilindrica che si possa ottenerea tanto ricercata"osteointegrazione", ma con quasi tutti i tipi di impianti, purchè l'operatore riesca ad ottenere in qualche modo la loro fissità e immobilità sin dal primo momento che li ha immessi nel tessuto osseo.