da Leadership Medica n. 1 del 1987
Intervista in esclusiva al professor Svyatoslav Fyodorov
Fra una ventina d'anni o poco più, occhiali e lenti a contatto non saranno più necessari. A restituire a miopi e ad astigmatici una visione corretta non saranno più le protesi o il bisturi, come avviene oggi con le più sofisticate tecniche microchirurgiche, ma un flusso di energia proiettata sulla cornea da un robot: in una frazione di secondo, e senza alcun dolore o versamenti di sangue per il paziente, la curvatura della cupola trasparente sarà modificata stabilmente fino a correggere il difetto di rifrazione.
Nel tratteggiare questa previsione, che appartiene ad un domani tutt'altro che lontano , il professor Svyatoslav Fyodorov, direttore dell'Istituto di Microchirurgia Oculare di Mosca, parla con la sicurezza di chi questo futuro se lo sente già a portata di mano. L'ho incontrato di recente a Roma e in una lunga conversazione abbiamo parlato delle innovazioni, già perfezionate o ancora in via di sperimentazione, che l'hanno reso protagonista geniale di una vera e propria svolta non soltanto della chirurgia oculare ma della medicina.
Ex pilota da caccia, 60 anni, occhi vivacissimi in un volto dai lineamenti caucasici che rivela una grande intelligenza e una tenacia a tutta prova; abiti ed accessori occidentali e molto eleganti, sicuro di sé e di quello che sta facendo, Fyodorov è un uomo che vive realisticamente il suo presente ma è sempre più assorbito dal futuro.
Fiducioso sostenitore delle innovazioni tecnologiche più avanzate, Fyodorov ragiona ormai in termini di un'assistenza sanitaria concettualmente assai diversa da quella d'oggi. Parla di ospedali popolati di automatismi elettronici, guidati da computer , serviti da robot, pervasi di atmosfere ambientali ionizzate e profumate e soffuse di musica per mettere a miglior agio il paziente, ospedali tuttavia molto più umanizzati di quelli attuali, dove il medico non rinuncia minimamente alle sue prerogative professionali e umane ma si serve delle macchine per affrancarsi dalle incombenze routinarie e recuperare tempo da dedicare alla ricerca e al rapporto con il paziente.
Oltre che innovatore, Fyodorov è anche un perfezionista meticolosissimo.
Si deve per esempio al suo impegno se la cheratotomia sperimentata con scarso successo negli anni '50 dall'oculista giapponese Sato (incisioni troppo numerose, praticate all'esterno ma anche all'interno della cupola corneale) ha raggiunto una perfezione tanto elevata da diventare una tecnica praticamente di routine. Fyodorov è il propugnatore di innovazioni rivoluzionarie che stanno suscitando grande interesse nel mondo medico.
E' stato il primo ad impiantare con successo i cristallini artificiali, il primo a proporre lenti endoculari al silicone (da usare in aggiunta al cristallino naturale per correggere miopia, ipermetropia e astigmatismo). Porta il segno della sua immaginazione l'intervento di microchirurgia oculare "a catena", praticato già da tempo nel suo Istituto di Mosca. Un gruppo di pazienti da sottoporre allo stesso tipo di intervento viene adagiato su lettini mobili e ognuna delle cinque fasi dell'intervento viene affidata ad uno specialista diverso, in modo da ottenere la resa ottimale. E' sua anche l'idea del robot chirurgo, che a partire da prossimo anno (1987) sarà in grado di compiere certe fasi operatorie con precisione straordinaria. E a lui si deve anche la sala di chirurgia oculistica mobile, montata su grandi pullman completamente attrezzati che possono raggiungere qualunque villaggio per portare un'assistenza specialistica di altissimo livello anche alle persone più isolate. Presso l'Istituto di Microchirurgia Oculare di Mosca, dove in poco più di dieci anni isoli interventi di cheratotomia sono stati più di 200.000, ogni anno circa 500 oculisti stranieri seguono corsi di perfezionamento nelle tecniche microchirurgiche più avanzate. Ad attirarli non è soltanto il fascino di una tecnica d'avanguardia, ma soprattutto la qualità e la sicurezza dei risultati. In merito agli ,interventi di cheratotomia, Fyodorov vanta infatti una percentuale di successi del 98%, quasi totale. La scuola americana, invece, non va oltre il 35%.
L'idea a cui in questo periodo sta lavorando con maggiore assiduità è quella della curvatura corneale ottenuta con proiezioni di particelle o di energie. Non entro nei dettagli, com'è comprensibile, ma alcuni principi, intuibili almeno a grandi linee, confermano che non si tratta di chimere. Ecco di che si tratta. L'intera superficie corneale sarà mappizzata punto per punto, come una immagine TV, e in ogni punto strumentazioni molto sofisticate misureranno lo spessore e le condizioni biologiche delle cornea e tutti gli altri parametri utili a prevederne il comportamento. Subito dopo, in ogni punto della cornea un robot proietterà un microfascio di energia o di particelle, dosato su misura per ottenere le modificazioni del collagene desiderato e quindi la curvatura prevista con questo intervento, incruento e assolutamente indolore. Si otterranno quei risultati che attualmente soltanto la cheratotomia può fornire.
Le premesse per questo progresso esistono già. Con un singolare laser ad infrarossi, in prova all'Istituto di Mosca, si riesce già a correggere l'ipermetropia fino a 5-6 diottrie, modificando la curvatura della cornea. L'energia termica sviluppata dai laser sembra però avere dei limiti, sebbene confermi che il collagene è sensibile alle sollecitazioni di certe frequenze.
Come pensa di modificare la curvatura della cornea senza bisturi, professor Fyodorov?
Ci serviremo di fasci di particelle o di energie particolari, forse protoni o "mesoni p" o altro, ancora non sappiamo. Programmi di ricerca in questa direzione sono già in corso in numerosi paesi. Si stanno sperimentando anche radiazioni ultraviolette, raggi laser e altri tipi di particelle e di energie. Le energie da impiegare a questo scopo devono avere caratteristiche particolari, per esempio una frequenza sintonizzabile con quella delle cellule da colpire. Devono cioè interagire con la cornea e modificare senza danni la struttura elicoidale del collagene, in modo da separare una cellula corneale dall'altra. La gamma delle frequenze che le cellule possono recepire è molto ridotta: di qui la difficoltà di individuarle.
Mentre lei la considera una tecnica ormai tanto sicura da risultare quasi superata, in occidente la cheratotomia è ancora al centro di critiche e riserve. Si dice per esempio che una cornea incisa risulta più debole, con rischi di perforazione o quantomeno di ritorno alle difettose condizioni precedenti. Si parla di complicanze immediate e a lungo termine, come una neovascolarizzazione che ne abbasserebbe la trasparenza, oppure di edemi corneali dovuti ad un alterato metabolismo del tessuto con conseguente opacità.
Sono critiche e timori fondati?
Assolutamente no. Tutti gli interventi chirurgici hanno dei limiti, e la cheratotomia non potrebbe fare eccezione: si tratta però di vedere quali. Se eseguito in maniera corretta, l'intervento non ha complicazioni. Per avere risultati soddisfacenti sono indispensabili due condizioni: pazienti idonei e chirurghi preparati ad operare con metodo collaudato e con apparecchiature idonee. Le cornee devono essere adatte all'intervento; quelle malate, prima di sottoporle ai bisturi bisogna curarle. In altri termini, non si può intervenire su chiunque, immediatamente, senza gli accertamenti clinici preliminari e le necessarie terapie. Eventuali conseguenze negative derivano sempre dall'errore umano, sia nella scelta del paziente che durante o dopo l'intervento.
I pazienti temono soprattutto l'indebolimento della cornea oppure la sua opacizzazione. E' una paura giustificata?
Assolutamente no. In ogni punto l'incisione è sempre inferiore allo spessore della cornea e perciò il rischio della perforazione non esiste. Dopo l'intervento la rigenerazione del tessuto è completa e lungo le linee di sutura la compattezza del tessuto corneale è aumentata. Indagini al microscopio elettronico effettuate fra i 6 e i 12 anni dall'intervento hanno dimostrato che in corrispondenza dell'incisione si era formato tessuto giovane, più vitale e più resistente di quello vecchio circostante. Gli occhi dei pazienti operati risultano perciò addirittura ringiovaniti.
Fino a quali valori di miopia la cheratotomia può essere efficace?
In teoria è possibile correggere miopie fino a 22 diottrie, ed è il massimo. In pratica si arriva fino a 14-15. Ma il dottor Massimo Lombardi di Roma, mio allievo da cinque anni, è già arrivato a correggere miopie fino a 21 diottrie. Correzioni fino a 14-15 diottrie valgono però per una popolazione non tanto giovane, il cui collagene reagisce soltanto entro certo limiti. Nelle popolazioni più giovani, dai 20 ai 21 anni, il range di operabilità massima - salvo casi particolari - è intorno alle 15 diottrie.
Consiglierebbe la cheratotomia radicale anche per miopie di appena 3 o 4 diottrie?
Perché no? Dal momento che il metodo è valido e la cornea - purché l'intervento sia corretto - non ne riceve danno, lo si può fare con tranquillità. Le incisioni da praticare sono soltanto 4 e per di più in una zona ottica tanto ampia da non costituire alcun problema per il paziente. Un simile intervento migliora la capacità visiva e quindi anche la vita.
A quale età è consigliabile la cheratotomia radicale?
Non prima dei 17 anni, dal momento che prima di quell'età - e sempre salvo casi particolari - il tessuto corneale è troppo elastico e quindi tende a ritornare alla posizione difettosa originaria. Per l'età massima, il limite è intorno ai 60 anni.
La sua scuola vanta risultati positivi del 98%, mentre i suoi colleghi americani arrivano appena al 35%. Come spiega questa differenza?
Ho già addestrato più di cento chirurghi americani. Alcuni si sono rivelati dei bravi operatori, altri degli incapaci. Alcuni di questi ultimi, pur non essendo riusciti ad imparare il mio metodo, hanno incominciato ad operare nel loro paese, commettendo errori tecnici molto gravi che hanno provocato complicazioni di vario genere e falsato lungamente i risultati. Negli Stati Uniti il medico gode di grande indipendenza e spesso continua ad operare senza confrontarsi con le esperienze degli altri. Noi invece, partiti con un buon anticipo, abbiamo concentrato in un solo Istituto l'esperienza di più persone, in modo da perfezionare al massimo il metodo. In secondo luogo, il medico americano è ancora vittima di una concorrenza che può spingere a fare interventi ad ogni costo, per non perdere il paziente. E così finiscono per essere operati anche pazienti che non dovrebbero esserlo. Il medico americano, inoltre, è molto spesso portato ad acquisire in proprio apparecchiature sofisticate e molto costose, che poi riesce ad ammortizzare soltanto effettuando il massimo numero di interventi nel minor tempo possibile.
Cosa accade, invece, in Unione Sovietica?
In Unione Sovietica queste pressioni di natura commerciale non ci sono. In secondo luogo l'indirizzo è unico e il metodo da noi perfezionato, e non alludo soltanto all'intervento vero e proprio ma a tutte le fasi che vanno dalla scelta del paziente ai controlli postoperatori, viene seguito rigorosamente , senza variazioni non autorizzate.
I pazienti operati nel suo Istituto vengono poi ancora controllati dopo l'intervento?
Certamente , e lo facciamo almeno una volta l'anno, in alcuni casi anche due. Ogni paziente è affidato al computer , che conserva in memoria tutti i dati clinici che lo riguardano, compresi i nomi dei medici che lo hanno curato. Ogni paziente è collegato con il suo medico di base, che per qualsiasi necessità lo avvisa tempestivamente delle segnalazioni ricevute da noi e lo rimanda prontamente al nostro Istituto di Mosca. Di recente abbiamo controllato un campione random di 17.000 pazienti operati negli ultimi due anni. Invitati a rispondere se erano soddisfatti e se in caso di necessità si sarebbero sottoposti nuovamente all'intervento, tutti quelli che con la cheratotomia avevano corretto una miopia fino a 7 diottrie hanno risposto affermativamente. Per le correzioni maggiori la percentuale di risposte positive è stata lievemente minore, ma soltanto perché il guadagno di capacità visiva era risultato di poco inferiore al massimo sperato, e cioè alla correzione totale del difetto.
Può succedere che l'intervento, per cause di varia natura, dia risultati diversi da quelli preventivati, per esempio un' ipocorrezione o un' ipercorrezione, al punto da rendere necessario un secondo intervento?
Nei primi 5 o 6 anni abbiamo dovuto rioperare 120 pazienti, quasi tutti operati la prima volta all'inizio di questa attività. Il nuovo intervento non era richiesto da complicazioni ma soltanto dal fatto che la correzione ottenuta era stata inferiore a quella preventivata. La spiegazione c'è: all'inizio la tecnica operatoria non era perfezionata come quella attuale, si operava con un'assistenza strumentale meno precisa e il bisturi era ancora rappresentato da una semplice lametta, seppure molto affilata. Ma negli ultimi cinque anni, grazie ai nuovi bisturi con tagliente in diamante e a tutte le apparecchiature elettroniche che consentono una diagnosi più accurata della cornea, la percentuale si è ulteriormente abbassata: appena un caso su 200. Non dobbiamo comunque dimenticare che anche quando il risultato aritmetico non è perfetto il paziente vede sempre meglio di prima.
A quanto ammonta la differenza fra i risultati?
Si tratta di circa una mezza diottria in più o in meno nel 2% delle miopie che vanno da -1 a -6 diottrie, mentre per il 98% la correzione è risultata esatta. Per le miopie che oscillano da -6 a -12 diottrie, nel 40% dei casi la correzione è risultata perfetta, mentre nel 60% è risultata al massimo inferiore del 50% al previsto.
Quanti sono gli oculisti che in URSS operano secondo la sua tecnica?
Circa 130, di cui 30 nel mio Istituto di Mosca. Tutti si sono formati alla mia scuola. L'esito qualitativo dell'intervento, un mio principio fondamentale, posso garantirlo soltanto nel mio Istituto o con personale formato alla mia scuola. Per risolvere questo problema ho ottenuto dal governo di formare altri Istituti come quello di Mosca, tutti realizzati con la stessa funzionalità strutturale e con le stesse apparecchiature. L'attività e i metodi saranno poi continuamente aggiornati sulla base dei risultati di ricerca coordinati dall'Istituto Centrale di Mosca. Ogni Istituto potrà compiere 75 interventi al giorno, circa 1.000 l'anno, che in seguito diventeranno complessivamente 200.000 l'anno sull'intero territorio.
Con quali risultati, in previsione futura?
Entro vent'anni pensiamo di riuscire ad eliminare completamente la correzione delle ametropie entro i 20-21 anni di età e quindi a togliere gli occhiali. L'umanità li ha usati per 700 anni: adesso è il momento di dire basta.
Come evolverà la situazione delle strutture sanitarie nel mondo?
Dovrà necessariamente cambiare. Le apparecchiature stanno diventando sempre più complesse e più costose e quindi soltanto i grandi Istituti potranno adeguarsi alla loro evoluzione. I piccoli Centri dovranno perciò limitarsi ad interventi meno impegnativi. Ritengo che nel giro di qualche decennio anche negli Stati Uniti l'attività specialistica più raffinata si concentrerà in una trentina di grandi Centri chirurgici altamente specializzati. Anche la medicina si sta evolvendo su basi di tipo industriale.
Una medicina sempre più ricca di elettronica, di robot e di metodi industriali, dunque?
Nel futuro di tutta la medicina, e non soltanto dell'oculistica , c'è un ospedale organizzato e gestito con metodi rigorosamente industriali. È un traguardo obbligatorio. Se una tecnica d'intervento è soddisfacente e vogliamo estendere i benefici al maggior numero di persone, la strada è una sola: dobbiamo aumentare la produttività dei medici in grado di applicarla, aumentare il numero degli specialisti, perfezionare al massimo il metodo d'intervento e sfruttare tutti gli accorgimenti necessari per estenderlo al maggior numero di persone. La popolazione sovietica, per esempio, arriva a circa 300 milioni di persone e sta sensibilmente crescendo. Solo un sistema industrializzato consentirebbe di operare per anomalie di cheratorifrazione circa 500.000 cittadini sovietici nel giro di 5 o 6 anni. L'assistenza sanitaria specializzata deve essere estesa a tutti nel minor tempo possibile.
Bruno Ghibaudi