Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 269 del 2008

I tumori gastrointestinali e ginecologi hanno una storia naturale ben definita. Il tumore può diffondersi tramite metastasi ai linfonodi e a siti sistemici, quali il fegato e i polmoni; un altro sito anatomico di spicco per la diffusione dei tumori è costituito dalle superfici della cavità peritoneale. I tumori gastrointestinali possono penetrare nel loro pieno spessore attraverso le pareti dell'intestino facendo sì che le cellule tumorali si diffondano in tutto l'addome e le pelvi. La maggior parte dei tumori alle ovaie hanno precedentemente aperto una breccia attraverso il sottile epitelio che ricopre questo organo e causato l'esistenza di impianti sulle superfici peritoneali. Questa diffusione locale-regionale può verificarsi in concomitanza con metastasi propagatesi tramite la circolazione sanguigna o linfatica, oppure, in alcuni pazienti, può costituire l’unico sito di diffusione.

Nuove opzioni per il trattamento efficace di pazienti che soffrono di una diffusione tumorale a carico delle superfici peritoneali sono state ampiamente riportate nella letteratura oncologica. Tali nuove strategie di gestione sono state impiegate per prevenire l'impianto di cellule tumorali che abbiano raggiunto la cavità peritoneale o per trattare noduli tumorali stabiliti sulle superfici peritoneali. Per entrambi gli approcci i risultati riportati sono stati positivi.

Da un punto di vista storico, il primo successo riconosciuto oggi quale standard terapeutico si verificò con il neoplasma mucinoso appendicolare.1 Tale tumore ha una storia naturale unica che consente trattamenti locali-regionali efficaci tramite il ricorso alla chirurgia citoriduttiva e alla chemioterapia intraperitoneale perioperatoria per la cura dei pazienti con diffusione peritoneale. In assenza di tali trattamenti speciali, tutti i pazienti muoiono di una progressiva patologia intra-addominale. Le sofferenze prolungate cui i pazienti affetti da tali carcinomatosi mucinose peritoneali sono soggetti prima di morire possono essere, oltre che le lunghe, davvero strazianti. Fortunatamente, questa nuova opzione di trattamento consente alla maggior parte dei pazienti affetti da una diffusione peritoneale di un tumore mucinoso appendicolare di essere guariti da questa patologia. L'approccio curativo è disponibile presso i centri oncologici per la superficie peritoneale presenti in tutt'Italia. Un'analisi sistematica dei risultati ottenuti dai 10 centri di trattamento è stata pubblicata nella 2006.2

Di recente, il nostro gruppo ha focalizzato gli sforzi al fine di prevenire questa patologia trattando i tumori mucinosi peritoneali perforati che sono a rischio di successiva carcinomatosi. Un mucocele dell'appendice contenente un neoplasma mucinoso che non ha ancora perforato la parete dell'appendice va asportato con un margine negativo sul cieco e linfonodi appendicolari negativi tramite biopsia. Tali pazienti vengono guariti al 100%. Al contrario, qualora la parete dell'appendice si sia perforata anche in maniera localizzata, esiste un elevato rischio che uno pseudomyxoma peritonei si presenti prima o poi nel futuro.3 Il programma di gestione che previene una carcinomatosi mucinosa peritoneale successiva ad un neoplasma mucinoso appendicolare perforato è e abbastanza semplice e molto sicuro. Il trattamento chirurgico con sezione congelata viene usato per confermare un margine negativo di asportazione sul cieco. Tale intervento, abbinato ad una resezione dei linfonodi appendicolari negativi, garantisce che il tumore primario non si ripresenti. Una maggiore omentectomia viene eseguita per evitare un successivo espandersi della patologia in quest’organo.  Nelle donne è preferibile rimuovere le ovaie poiché, a seguito di un tumore appendicolare, diventano spesso sede di cisti mucinose.  Dopo questo intervento chirurgico di minime proporzioni, l'intera superficie peritoneale viene sottoposta ad un lavaggio con chemioterapia ipertermica intraperitoneale. La procedura richiede approssimativamente 5 ore in sala operatoria e 10 giorni di degenza in ospedale. Ad oggi, il trattamento di 20 pazienti suggerisce un controllo affidabile delle carcinomatosi mucinose derivanti da tumore appendicolare che predispone ad un processo letale nella maggioranza dei pazienti negli anni successivi. Nella gestione di questi pazienti riveste un'importanza cruciale pianificare un secondo intervento chirurgico di controllo. Eventuali ritardi nell'intervento chirurgico fino a quando i sintomi non diventano evidenti o si presentino anomalie nella tomografia computerizzata sono da evitarsi.  Una gran parte di questi pazienti presentano impianti tumorali mucinosi troppo piccoli per essere rilevati dalla tomografia computerizzata.  Inoltre, i costi e rischi in termini di morbilità e mortalità si riducono notevolmente quando gli interventi chirurgici vengono avviati in maniera tempestiva al fine di prevenire una carcinomatosi. Quest'esperienza positiva nei riguardi di tumori appendicolari perforati è stata ora estesa a pazienti affetti da tumori al colon presentanti un elevato rischio di evoluzione della patologia a livello locale-regionale.

La carcinomatosi derivante da tumore al colon è una patologia che può essere curata tramite chirurgia citoriduttiva e chemioterapia intraperitoneale perioperatoria. I dati che supportano la superiorità di tale opzione di trattamento rispetto alle cure precedentemente usate sono molto chiari. Una prospettiva di fase III ed un trial randomizzato sono stati eseguiti presso il Netherlands Cancer Institute di Amsterdam.4 Verwaal e colleghi hanno presentato le loro osservazioni su 105 pazienti con carcinomatosi confermata da biopsia, la maggior parte dei quali presentava una patologia voluminosa. Per la metà di tali pazienti era stato prescritto uno standard terapeutico che prevedeva chirurgia palliativa e chemioterapia sistemica a base di 5-fluorouracile. Per i pazienti compresi nel ramo sperimentale del trial era stato prescritto un intervento chirurgico citoriduttivo con un tentativo di resezione di tutta la parte visibile della carcinomatosi.  A seguito di questa vasta procedura, l'addome e le pelvi erano state trattate con una soluzione per chemioterapia ipertermica intraperitoneale a base di mitomicina C. La sopravvivenza media si è raddoppiata da 12,6 mesi a 22,3 mesi a seguito di questi trattamenti (p=.032). Grazie a questi dati, lo standard terapeutico nei Paesi Bassi per la gestione della carcinomatosi è cambiato. Esistono centri per il trattamento della carcinomatosi del colon ad Amsterdam, Groningen, Utrecht e Nieuwegein.

Un secondo studio importante riportato da Glehen e colleghi raccolse retrospettivamente 528 pazienti affetti da carcinomatosi da 28 diversi istituti.5 In una popolazione con ampio controllo storico, la sopravvivenza media era prevista essere fra i sei e gli otto mesi. I dati pluricentrici presentano un incremento della sopravvivenza media del gruppo in toto a 19,2 mesi; i pazienti sottoposti ad una completa citoriduzione presentarono una sopravvivenza media di 32,4 mesi.  Circa il 25% di tali pazienti sopravvisse più di cinque anni e si dimostrò che la cura era possibile in condizioni precedentemente ritenute uniformemente letali.

In aggiunta a questi dati molto significativi, è stata pubblicata un'analisi sistematica di casi di carcinomatosi derivanti da tumori del colon; sono stati raccolti 14 manoscritti da 14 istituti.6 Questo gran numero di studi di fase II da molti istituti ha stabilito una sopravvivenza media dai 28 ai 60 mesi per pazienti sottoposti a citoriduzione ottimale ed una sopravvivenza di cinque anni per 22 al 49%. Va ricordato che l'aspettativa relativa alla sopravvivenza media per questi pazienti va da sei a otto mesi e che una sopravvivenza di cinque anni in pazienti con controllo storico non si verifica.

Nel trattare un gran numero di questi pazienti e studiare la loro storia clinica, diventa chiaro come possa essere stimato con precisione il rischio di essere affetti da carcinomatosi in pazienti affetti da tumore al colon. Tumori di grandi dimensioni (patologia T3 e T4), un’istologia mucinosa ed un tumore perforato suggeriscono un’elevata probabilità di una successiva carcinomatosi. Altre verifiche cliniche hanno dimostrato una probabilità prossima al 100% di una recidiva nell'area soggetta resezione e del verificarsi di una carcinomatosi peritoneale tramite follow-up.7 Una citologia positiva, impianti peritoneali minuti nell'omento, nel solco para-colico, nelle pelvi o al di sotto dell’ emidiaframma destro, unitamente al coinvolgimento ovarico, indicano un futuro manifestarsi di una carcinomatosi letale. A mio parere, tutte queste situazioni cliniche richiedono un approccio proattivo al fine di prevenire una successiva carcinomatosi.8 Si richiede una maggiore omentectomia e peri-omentectomia per tutti i siti per i quali si sospettano impianti tumorali, unitamente a chemioterapia ipertermica intraperitoneale perioperatoria. In quasi tutti questi pazienti dovrebbe essere eseguita una completa citoriduzione a causa del basso indice tumorale peritoneale. I pazienti hanno il diritto di conoscere le probabilità di una successiva evoluzione della patologia a livello locale-regionale e le opzioni di trattamento disponibili.

La tempistica di questo intervento richiede notevole considerazione. Spesso la patologia non sarà evidente a livello definitivo per allertare l'oncologo circa i rischi di una carcinomatosi. Anche qualora venga riconosciuta l'elevata probabilità di una carcinomatosi o venga riconosciuta la patologia di piccoli volumi al momento della resezione primaria del colon, e improbabile che esistano le possibilità di eseguire una peritonectomia ed una chemioterapia ipertermica intraperitoneale. Naturalmente, se vengono diagnosticati ascite, noduli dell'omento o una patologia al di sotto dell’emidiaframma destro, tramite tomografia computerizzata preoperatoria, andrebbero eseguiti simultaneamente la resezione del tumore maligno primario e la chemioterapia ipertermica intraperitoneale. Questo è l'approccio ottimale per la gestione della carcinomatosi da tumore del colon.

In genere, i medici confermeranno la necessità di un trattamento della carcinomatosi dopo che il paziente sia stato dimesso dall'ospedale a seguito della resezione del tumore primario del colon.  A tali pazienti è necessario offrire l'opzione di una procedura chirurgica per un secondo controllo che si occupi in maniera definitiva di trattare il problema della carcinomatosi. In pazienti con linfonodi positivi è ragionevole somministrare chemioterapia FOLFOX prima di ripetere l'intervento.  In pazienti che presentino un elevato rischio di carcinomatosi o linfonodi negativi il secondo intervento andrebbe eseguito non appena il paziente sia completamente ristabilito. In genere ciò avverrà nel giro di tre mesi circa (Figura 1).

Figura 1
Programma di trattamento per pazienti affetti da tumore al colon e che presentino carcinomatosi peritoneale o siano ad elevato rischio di carcinomatosi già presente all'epoca della colectomia.

Alcuni pazienti sceglieranno di non sottoporsi a questo nuovo e più ampio approccio al trattamento o alla prevenzione della carcinomatosi. Pazienti più anziani o pazienti affetti anche da altre patologie potrebbero ritenere di non essere fisicamente in grado di sottoporsi ad un secondo intervento chirurgico. Tuttavia, la questione importante nel nostro caso è il consenso informato. Questo gruppo di pazienti affetti da cancro del colon-retto deve essere pienamente informato circa le valide opzioni di trattamento disponibili per loro. I pazienti devono essere informati che il trattamento con chemioterapia sistemica non implica necessariamente una sopravvivenza prolungata. Non esistono dati che confermino che la chemioterapia FOLFOX curi la carcinomatosi. Al contrario, in tutti gli studi eseguiti ad oggi, la sopravvivenza media si è raddoppiata con la chirurgia citoriduttiva e la chemioterapia intraperitoneale perioperatoria. In casi specifici ci si aspetta una sopravvivenza di cinque anni nel 40%. È necessario presentare questi dati di fatto al paziente. Non dovrebbero essere gli oncologi a scegliere le opzioni terapeutiche per i propri pazienti; un centro oncologico gastrointestinale sarebbe tenuto a somministrare con attenzione le scelte effettuate dai pazienti dopo che tutte le opzioni sono state discusse a fondo.

La maggior parte dei medici non si rende conto che non sono in realtà disponibili dati che supportino l'uso della chemioterapia FOLFOX in pazienti affetti da carcinomatosi.  Ai pazienti andrebbe anche fatta presente questa assenza di dati.  Al contrario, è stata dimostrata un'elevata efficacia di interventi chirurgici per un secondo controllo, della resezione di patologie di piccoli volumi e della chemioterapia intraperitoneale perioperatoria. È necessario presentare chiaramente ai pazienti affetti da carcinomatosi e ai pazienti che presentino un elevato rischio di evoluzione della patologia a livello locale-regionale questi fatti e le opzioni di un approccio terapeutico completo rispetto ad un approccio terapeutico conservativo.

Nel mio studio, con cadenza settimanale, analizzo i miei pazienti per decidere se sono dei potenziali candidati per la chirurgia citoriduttiva e l’HIPEC [chemioterapia ipertermica intraperitoneale]. Solo il 20% circa dei pazienti risulta idoneo. In genere si verificano lunghi periodi di attesa, spesso di 2-3 anni, fra la diagnosi di carcinomatosi peritoneale e l'intervento definitivo. Tale ritardo fa sì che la maggior parte dei trattamenti risultino inefficaci. Per poter assicurare il massimo della propria efficacia, i trattamenti per carcinomatosi devono essere anticipati rispetto alla storia naturale dell’evolversi della patologia.

Un aspetto importante riguarda l'aspettativa di vita dei pazienti affetti da carcinomatosi che non guariscono a seguito di chirurgia citoriduttiva ed HIPEC. Qualora una completa citoriduzione unitamente ad una chemioterapia intraperitoneale perioperatoria non si dimostrino efficaci nel consentire una sopravvivenza senza il ripresentarsi della patologia, quali saranno i vantaggi di questo trattamento più ampio? In base alla nostra analisi degli insuccessi su 43 casi di pazienti affetti da carcinomatosi che erano stati sottoposti a citoriduzione, la sopravvivenza media è stata di 30 mesi.9 Una gran parte di tali pazienti era stata sottoposta a chemioterapia sistemica massimale prima della citoriduzione. I dati relativi alla loro sopravvivenza sono di gran lunga superiori a quelli relativi a pazienti che non si sono sottoposti ad un trattamento ampio o a pazienti sottopostisi ad una citoriduzione incompleta (Figura 2). In tutti i pazienti portati in sala operatoria per citoriduzione, è necessario fare ogni sforzo possibile per rendere il paziente visibilmente libero dalla patologia qualora l'indice del tumore peritoneale sia elevato. Esiste un rischio elevato che accompagna questi difficili ed ampi interventi di citoriduzione, ma il prolungato effetto attenuante ottenuto tramite questo sforzo giustifica il rischio.

Figura 2
Tempi di evoluzione e sopravvivenza complessiva per 49 pazienti per i quali non è stata eseguita una completa citoriduzione o una chemioterapia intraperitoneale perioperatoria quale trattamento per la carcinomatosi peritoneale del colon-retto. La sopravvivenza media di questo gruppo di pazienti è stata di 30 mesi. Modificato rispetto a Bijelic L, Yan TD, Sugarbaker PH: Analisi degli insuccessi in patologie ricorrenti a seguito di una completa citoriduzione e chemioterapia intraperitoneale perioperatoria in pazienti affetti da carcinomatosi peritoneale derivante da tumore al colon-retto. Ann Surg Oncol 2007;14:2281-2288.

In breve

Ad oggi, il trattamento più frequente per la carcinomatosi peritoneale e la chemioterapia FOLFOX o FOLFIRI.10 Questi regimi chemioterapici sono in grado di prolungare la vita di circa un anno e mostrano tassi di risposta del 40% circa in pazienti affetti da tumore metastatico del colon-retto. Tali dati sono indubbiamente veri per pazienti affetti da una patologia del fegato, dei polmoni o dei linfonodi.11 Sfortunatamente, il tasso di risposta è molto basso e non è stato dimostrato alcun prolungamento nell'aspettativa di vita in pazienti affetti da carcinomatosi peritoneale derivante da tumore del colon o appendicolare. Si è rilevata una simile mancanza di risposta nei casi di carcinomatosi dovuti a tumore gastrico.12 L'oncologo che suggerisca che la letteratura oncologica abbia dimostrato che la chemioterapia FOLFOX o FOLFIRI sia un trattamento benefico per la carcinomatosi peritoneale è pericolosamente fuorviante per il proprio paziente. In letteratura oncologica, gli unici trattamenti che presentino un beneficio confermato per la prevenzione ed il trattamento della carcinomatosi sono dati dall'abbinamento della chirurgia citoriduttiva e della chemioterapia intraperitoneale perioperatoria.

Paul H. Sugarbaker
MD, FACS, FRCS
Washington Cancer Institute, Washington, DC, USA

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