da Leadership Medica n. 9 del 2000
ABSTRACT
Il Carcinoma della mammella resta a tutt'oggi uno dei più grossi problemi per la programmazione sanitaria e per la comunità.
E' importante tenere conto del fatto che oramai il 40% dei tumori della mammella è diagnosticato quando i linfonodi ascellari sono negativi, mentre l'80% delle diagnosi si riferisce a malattia limitata alla mammella.
Il tasso di sopravvivenza libero da recidiva (DFS) a 10 anni dalla diagnosi, è per una donna con linfonodi negativi del 60%, mentre nella donna con linfonodi positivi la stessa DFS a 10 anni è del 30%. Dopo 30 anni di trials clinici, i dati in nostro possesso indicano con sicurezza che più farmaci danno più risultati del farmaco singolo e che più cicli terapeutici sono più efficaci di un singolo ciclo.
E' probabile che entro i prossimi 10 anni il maggior impatto sull'evoluzione della malattia neoplastica della mammella sarà dato dall'evoluzione della terapia endocrina.
L'utilizzo di un'arma come quella ormonale sta già per essere affinata e scremata di quegli effetti collaterali che ad essa sono collegati, cioè l'insorgenza di cloni insensibili, di malattia tromboembolica e di neoplasia dell'Endometrio.
L'analisi dei dati conferma il fatto che la terapia adiuvante, pur con i miglioramenti degli ultimi anni, è "sproporzionata" alla causa.
ARTICOLO
Il Carcinoma della mammella resta a tutt'oggi uno dei più grossi problemi per la programmazione sanitaria e per la comunità (1); con i suoi 30.000 nuovi casi l'anno (incidenza cruda 118,6 nuovi casi/100.000) ed una mortalità di 11.250 casi l'anno (44,5 casi anno/100.000) resta la prima neoplasia della donna ed il 54% dei casi si manifesta <_ i 65 anni quando in pratica l'aspettativa di vita è di circa 20 anni.
E' importante tenere conto del fatto che, in rapporto ai controlli mammografici periodici più frequenti, agli screening programmati, alla aumentata sensibilità nelle tecniche per immagine e non da ultimo all'aumento di sensibilità per il problema da parte di operatori e pazienti, ormai il 40% dei tumori della mammella è diagnosticato quando i linfonodi ascellari sono negativi, mentre l'80% delle diagnosi si riferisce a malattia limitata alla mammella.
Il tasso di sopravvivenza libero da recidiva (DFS) a 10 anni dalla diagnosi, dopo il solo intervento chirurgico, è per una donna con linfonodi negativi del 60%, mentre nella donna con linfonodi positivi la stessa DFS a 10 anni è del 30% (o più precisamente: se i linfonodi invasi sono <_ 3 la DFS è del 50%, se i linfonodi sono >_10, la DFS è di circa il 20%) (2) (EBCTCG 1992).
L'introduzione di terapie complementari ha quindi lo scopo di aumentare la sopravvivenza libera da malattia, fino alla durata naturale della vita della paziente, migliorandone la spettanza di vita e la qualità di vita.
Questi assunti si traducono nel concetto di terapia adiuvante, la cui azione si esplica sulle micrometastasi che residuano alla terapia chirurgica. La terapia adiuvante è per definizione "sproporzionata" perché si applica a pazienti che non ne avranno necessariamente un beneficio o perché sono già guarite con il solo atto chirurgico, o perché non avranno miglioramenti con le terapie attualmente disponibili.
Se si esclude quell'11% di lesioni con diametro inferiore al centimetro, con stadio recettoriale positivo agli estrogeni, grado istologico G1 ed età superiore ai 35 anni, il cui tasso di mortalità specifica per tumore è inferiore al 10% a 10 anni e che per definizione non necessitano per nulla di terapia adiuvante sistemica, per la restante maggioranza è importante definire quali pazienti (fattori prognostici) e quali terapie (fattore terapeutico) diano il miglior impatto sulla sopravvivenza, dato ormai per acquisito che con i trattamenti attualmente a nostra disposizione il rischio assoluto di morte delle donne sotto i 50 anni, a 10 anni di distanza dall'insorgenza della malattia, si è ridotto del 7% e in quelle sopra i 50 anni del 2%
Il fattore terapeutico
Dopo 30 anni di trials clinici, i dati in nostro possesso indicano con sicurezza che più farmaci danno più risultati del singolo farmaco e che più cicli terapeutici sono più efficaci di un singolo ciclo. Sappiamo poi che un trattamento chemioterapico aumenta sia la sopravvivenza globale sia quella libera da malattia, ma che è inutile continuare la terapia con un farmaco al di là di tre mesi (EBCTCG 1995) (3).
Nell'ambito dei farmaci sappiamo che l'uso delle Antracicline è più efficace del CMF, quando si utilizzi lo standard di 60 mg/mq di Adriamicina (NSABP B22-1997) (4).
Ma in questi ultimi cinque anni alcune ipotesi sono diventate standard terapeutici, quando si è notato che (CALG89344, tab. l) utilizzando farmaci ad azione diversa (Taxani) e tenendo conto della Dose-Density (dose di farmaco in tempi ridotti) si è migliorata la Sopravvivenza globale a cinque anni del 36% e la sopravvivenza libera da malattia del 46%.
Per questo oggi la terapia standard negli Stati Uniti per le donne con linfonodi positivi e quelle con linfonodi negativi, ma ad alto rischio, è il trattamento sequenziale con Adriamicina e Ciclofosfamide per quattro cicli ogni 21 giorni, seguiti da ulteriori quattro cicli di Paclitaxel ogni 21 giorni (5). E' probabile che entro i prossimi 10 anni il maggior impatto sull'evoluzione della malattia neoplastica della mammella sarà dato dall'evoluzione della terapia endocrina.
Quando un tumore esprime recettori per gli estrogeni e/o per il progesterone, indipendentemente dall'età, dallo stato menopausale, dallo stato linfonodale e dalla chemioterapia concomitante, utilizzando il Tamoxifene per 5 anni (tab.2), il rischio di recidiva si riduce del 42% (+_3) ed il rischio di morte del 22% (+_4).
E questo beneficio si mantiene anche nei 5 anni successivi (33% di riduzione del rischio di recidiva e 24% del rischio di morte), inoltre si riduce incidenza di cancro mammario controlaterale del 47% a 5 anni.
L'utilizzo di un'arma come quella ormonale può quindi essere affinata e scremata di quegli effetti collaterali che ad essa sono collegati, cioè l'insorgenza di cloni insensibili, di malattia tromboembolica e di neoplasia dell'Endometrio (il Tamoxifene, dopo 5 anni di uso, quadruplica il rischio di ADC dell'Endometrio) (6).
Seguono questo indirizzo gli studi che si basano sull'Ablazione Ovarica (AO) in premenopausa, con LH-RH, chirurgia o Radioterapia (tab. 3) e quelli in corso utilizzano invece gli inibitori della Aromatasi (tab. 4), ed infine quelli che combinano Chemioterapia ed Ormonoterapia nelle Donne con linfonodi negativi (7).Su 2691 donne definite ad alto rischio di recidiva perché presentavano o dimensioni del T >_ 2 cm o Recettori Ormonali negativi o Tumori diploidi con fase S > del 7%. Il trattamento consisteva in chemioterapia CMF o CAF, seguite o meno da 5 anni di Tamoxifene.
Nelle donne con Recettori ormonali positivi la Sopravvivenza libera da malattia e la sopravvivenza globale sono migliori nel gruppo di trattamento Chemioterapia + Tamoxifene (88% vs. 83% e 94% vs. 92% rispettivamente).Il Trattamento di combinazione è inefficace nelle donne con recettori Ormonali negativi (tab. 5) (8) .
Abbiamo anticipato che quando il tasso di mortalità specifica è inferiore al 10% a 10 anni, non è indicato alcun trattamento adiuvante; la gran parte delle pazienti affette da Ca della mammella chiede e giustifica una terapia adiuvante anche a fronte di un miglioramento modesto.
La recente analisi dei dati degli studi NSABP che riguardano 1260 donne con neoplasia di diametro <_ 1cm e NO (504 donne con lesioni inferiori al centimetro e quindi non palpabili) ad 8 anni di follow up mostra che utilizzando una terapia adiulvante postchirurgica, esista un sicuro miglioramento della Relapse Free Survival sia nelle donne con recettori per gli estrogeni positivi sia in quelle con recettori negativi, ma che invece la Sopravvivenza globale migliora soltanto nelle donne con recettori positivi soprattutto quando si utilizza un
trattamento combinato.
Al di là dei risultati bruti non esiste a tutt'oggi una validazione statistica che confermi l'opportunità di una terapia adiuvante per tumori di diametro <_ 1 cm.
Fattori prognostici
L'analisi dei dati sulla Terapia conferma il fatto che la terapia adiuvante, pur con i miglioramenti degli ultimi ani è "sproporzionata" alla causa.
La selezione di pazienti in gruppi a rischio differenziato, soprattutto negli stadi iniziali, può orientare verso una pianificazione terapeutica appropriata e una riduzione della tossicità.
Si parla di "Fattore prognostico" per indicare una caratteristica biologica della neoplasia tale da modificare la prognosi della paziente, cioè la sua Sopravvivenza libera da malattia (DFS) e di "Fattore predittivo" per indicare quel carattere in grado di anticipare l'efficacia di un trattamento. I fattori classici restano le Dimensioni, il numero di Linfonodi, il Grado di differenziazione e la quantità di Recettori Ormonali presenti, ma in senso assoluto non esiste un fattore o un insieme di fattori prognostico/predittivi tali da definire la situazione individuale in modo quantitativo cioè obiettivo; i Fattori prognostici danno un approccio qualitativo e probabilistico al problema.
La presenza di Recettori per gli Estrogeni, per esempio, fa prevedere una risposta al trattamento ormonale dei casi ER+ e PGR+ (positivi sia per il progesterone sia per gli estrogeni) nel 78% dei casi mentre nel caso di recettori negativi esiste ancora un 10% di Donne che rispondono al trattamento ormonale.
Negli ultimi dieci anni le ricerche si sono focalizzate sulle implicazioni di alcuni indicatori biologici che si collegano all'Invasività, alla regolazione del Ciclo Cellulare, al suo Innesco ed al suo Blocco.
L'Attivatore del Plasminogeno (Urochinasi-type) o uPA fa parte degli enzimi utilizzati nella sequenza di invasione e di angiogenesi; esso degrada la matrice extracellulare, con azione proteolitica, ed è inibito dal PAI-1 (inibitore dell'attivatore del Plasminogeno). Quando il livello di uPA o quello del suo inibitore PAI-l, è elevato, la sopravvivenza libera da malattia, nelle donne con linfonodi negativi, è ridotta (85% versus 93,3%, quando cioè uPA o PAI-l sono assenti), questo fatto si nota già a 32 mesi di follow up (e potrebbe, se confermato, escludere circa il 50% delle donne NO da chemioterapia adiuvante) .
In pazienti NO, seguite per più di 10 anni, il tasso basso di PAI-l associato a basso tasso di Catepsina D, si correla ad un rischio di recidive del 3% mentre le Donne sempre NO ma con uno o entrambi i Fattori elevati hanno il 39% di recidive ed anche la Sopravvivenza globale è significativamente più bassa (p=0,00211) (9).
Tra i regolatori del ciclo cellulare la p27kip (o p27) ha effetto negativo sull'attività Kinasica; un fenotipo aggressivo si caratterizza per bassi livelli di p27; ad effetto negativo, sull'Apoptosi, è invece la proteina BAG-l che si lega alla proteina BCL2, inibendo l'Apoptosi, che può essere iperespressa nella neoplasia mammaria; la sua espressione si associa ad una sopravvivenza più lunga. Per questi due ultimi fattori (p27 e BAG-l), i dati comunicati sono in effetti scarsi, discordanti e tutti da confermare.
Consenso sicuramente maggiore se non unanime suscita la proteina HER2, quella proteina transmembrana che attiva la cascata della Tirosina kinasi e che è espressa nel 20-30% delle neoplasie mammarie (10).
La sua iperespressione riduce la Sopravvivenza libera da malattia e la si può determinare tramite Immunoistochimica o con amplificazione genica (PCR o FISH). Quando si confronta il tessuto mammario normale (11) con quello neoplastico, le donne che presentano un'iperespressione superiore al 15% o al di sotto dei livelli normali hanno una sopravvivenza a 5 anni peggiore. Questo è più evidente quando pazienti sono distinte (tab. 6) a priori tramite un indice prognostico come Nottingham Prognostic Index (NPI).
Anche se gli studi clinici indicano che i tumori HER2 positivi sono più sensibili alle Antracicline si pongono sicuramente due problemi applicativi.Il primo è che le metodiche di valutazione della proteina non sono ancora standardizzate: per esempio su 1243 casi studiati consecutivamente con l'Hercept Test tm la positività riscontrata è del 22,9%; quando si studiano gli stessi casi con la FISH, il tasso globale di concordanza è del 90%, cioè il valore predittivo del metodiche deve essere ancora testato.
Il secondo problema è dato dal confronto tra schemi terapeutici in parte desueti ma sicuramente con eterogenei e farmaci dosaggi. Nel caso della malattia avanzata l'uso dell'anticorpo monoclonale Trastuzuma, che presenta un'elevata affinità per la proteina HER2, associato alla chemioterapia ha indotto un miglioramento della sopravvivenza (25 mesi verso 20 mesi) con risposte di durata maggiore.
Questi ed altri dati hanno validato gli studi clinici in adiuvante in cui il Trastuzumab è inserito in schemi basati sulle Antracicline associate o meno ai Taxani (NSABP, NCCTG e CALGB).
Conclusioni
L'attuale terapia adiuvante ha migliorato la sopravvivenza della donna con età inferiore ai 50 anni, dell'11% mentre quella della donna sopra i 50 anni è migliorata del 3%. Combinando le differenze statistiche tra i trattamenti finora utilizzati e quelli ora disponibili o in osservazione, se queste differenze dovessero essere confermate, ci potremmo attendere un miglioramento della sopravvivenza dell'ordine di un ulteriore 10% per le donne d'età inferiore ai 50 anni.
Nel gruppo di donne al di sopra dei 50 anni, il vantaggio potrebbe essere minore per l'impatto della comorbidità e della spettanza di vita.
Resta tutto da determinare il rischio personale anche se le metodiche applicative sono in fase di studio.
Emanuele Galante
Divisione Oncologia A. O. San Giovanni-Addolorata Roma
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