Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 2 del 2001

Leadership Medica e Leader for Chemist sono sempre state in prima linea nel seguire gli sviluppi della ricerca scientifica in campo oncologico, partendo dai primi studi sulle varie forme di leucemia, sull'avanzamento del trapianto del midollo osseo fino all'uso delle cellule staminali.
GLi articoli, che coprono ogni singolo passaggio della ricerca, sono stati scritti dalle stesse persone che hanno condotto gli studi, e tra gli autori menzioniamo il Prof. Frejreich, il Prof. Gale ed il Prof. Lambertenghi Delilieri. E adesso, in liena con i contributi passati, offriamo come notizia di ulteriore avanzamento per tutto il mondo scientifico internazionale i risultati raggiunti dal Prof. Pier Mario Biva in una ricerca che rappresenta il punto di svolta cruciale nel trattamento delle patologie oncologiche. Con l'obiettivo di documentare il nostro lavoro durante l'ultima decade, citiamo qui i passaggi salienti dei vari articoli pubblicati. A seguito del rilasci di questa tematica, ci sarà una conferenza/tavola rotonda con la partecipazione del Prof. Lambertenghi Deliliers e del suo team e del Prof. Biava, per pubblicizzare, anche attraverso papers ampiamente circolati, gli ultimi sviluppi nella ricerca oncologica, come anche le possibili applicazioni.

Emil J. Freireich

STORIA DI UNA VITA E DI UNA SCOPERTA (Leadership Medica 1990)
L’autore ripercorre, attraverso la sua lunga esperienza professionale, i passi più significativi della ricerca sulle leucemie, in particolare di quelle forme che egli ha contribuito a scoprire, sperimentando anche nuove soluzioni terapeutiche.
“Osservazioni sulla storia naturale della leucemia acuta”
“La prima importante osservazione da noi fatta fu la descrizione di quella che noi chiamammo la malattia della “Palla”. Fu infatti da noi notato che erano dei pazienti che morivano improvvisamente e drammaticamente per emorragia cerebrale. In questi pazienti vi era una stretta correlazione fra la sopravvenienza di una crisi blastica e l’evento emorragico. Fummo inoltre in grado dimostrare che la sopravvenienza di queste “palle” era dovuta a fenomeni di sludging delle cellule leucemiche nei piccoli vasi intracerebrali di piccole dimensioni. Questa sindrome costituisce le basi per considerare la crisi blastica un’emergenza medica effettiva. A tutt’oggi questo concetto di emergenza medica è usato in tutti i centri del mondo. In aggiunta alla sindrome di emorragia intracranica fu da noi riconosciuta, definita e trattata, la leucemia meningea dell’infanzia. Successivamente studiammo e pubblicammo la terapia con aminoproteina iniettata nel liquido spinale per il controllo palliativo di questa sindrome. Inoltre fu da noi condotto il primo studio con la somministrazione intratecale di metotressato al fine di controllare anche quest’ultimo santuario della leucemia. Questo lavoro dimostrò che la leucemia meningea poteva essere definitivamente prevenuta dalla somministrazione profilattica di metrotressato per via intracetale”.

“Studi sulla chemioterapia della leucemia acuta dell’adulto”
“Nel 1965 gli schemi terapeutici utilizzati per la terapia della leucemia acuta dell’età pediatrica avevano un’efficacia terapeutica del 50%. Gli schemi terapeutici determinavano una remissione completa per la leucemia acuta dell’adulto solo nel 9% dei casi. Il primo importante miglioramento nella nostra conoscenza della terapia della leucemia acuta dell’adulto fu la descrizione dell’efficacia terapeutica della sostanza citosina arabinosile con gli altri farmaci. Ed in particolare l’efficacia del ciclofosfamide e dell’ara-C. Grazie alle successive ricerche nella nostra ultima pubblicazione abbiamo riportato una casistica comprendente 30 pazienti che sono sopravvissuti per oltre 5 anni ed hanno ottemperato a tutti i criteri per la curabilità.”

“Ricerche sulle tecniche per eseguire i trial clinici”
“Sebbene fossi stato il principale organizzatore del primo trial clinico che utilizzava la randomizzazione placebo controllata per la valutazione terapeutica nei tumori, divenne evidente verso la fine degli anni ’60 che questo metodo di indagine presentava gravi limitazioni. Infatti presentava un’elevata incidenza di risultati con falsi negativi quando venivano confrontate nuove terapie, ed inoltre era diventato l’obiettivo di burocrati tendenti ad esaminare più la metodologia che i risultati ottenuti. Fummo i primi ad evidenziare la necessità di strumenti migliori per la valutazione dei risultati degli studi clinici.

Fu pertanto necessario rivalutare criticamente l’efficacia delle ricerche condotte con controlli storici e quelle condotte con trial prospettici randomizzati. Riconoscemmo che l’analisi dei fattori prognostici consentiva l’identificazione dei pazienti che rispondevano alla chemioterapia da quelli che non avrebbero risposto. Per la prima volta fu da noi usato il metodo statistico a variabili multiple ed in particolare quello messo a punto dal prof. Cox, per valutare la probabilità della risposta di ogni paziente prima della terapia. Queste tecniche hanno permesso lo sviluppo delle equazioni logistiche di regressione. Inoltre furono messi a punto modelli statistici per la predizione della durata della remissione. E’ stato pertanto possibile valutare prospettivamente questo modelli per determinare la loro possibilità di ideare una guida per l’assegnazione della terapia basandosi sulla probabilità della risposta. Il primo test per questa ipotesi è stato da me presentato alla American Society of Oncology la scorsa primavera…A mio giudizio quest’ultima ricerca di modelli statistici costituisce uno dei contributi più importanti della mia carriera dato che dimostra la possibilità di assegnare oggettivamente e quantitativamente i pazienti a diverse forme di terapia sulla base di fattori prognostici presenti. Inoltre la possibilità e la necessità di eseguire ulteriori terapie in soggetti in remissione si basa su modelli statistici simili. Inoltre abbiamo recentemente dimostrato che la più importante variabile per predire la probabilità di ricorrenza è l’intervallo di tempo in assenza di malattia. Più lungo è l’intervallo intercorso, più bassa è la probabilità di ricorrenza della malattia.”
“Ricerche eseguite su altre neoplasie e sulla biologia dei tumori”
“Durante le ricerche eseguite al fine di trovare nuove forme di terapie per la leucemia sono stati da noi individuati nuovi meccanismi che hanno contribuito alla comprensione della biologia di questa malattia. Non è possibile far crescere in vitro colonie mielopoietiche di pazienti che hanno la leucemia acuta in fase attiva. Siamo stati i primi a dimostrare che una volta ottenuta la remissione della malattia era possibile far crescere le suddette cellule. Questa scoperta ha confermato l’ipotesi che la completa remissione costituisce un ritorno alla normale ematopoiesi. Inoltre siamo stati i primi a dimostrare che quei pazienti geneticamente aneuploidi prima della terapia ritornavano al normale aspetto diploide con la remissione della malattia e che la ricorrenza della leucemia sopravveniva con la ricomparsa del pattern citogenetico iniziale. Abbiamo anche dimostrato che la funzione immunitaria non specifica costituisce un importante fattore di previsione della risposta alla chemioterapia nella leucemia e in altre neoplasie. Il nostro gruppo di ricerca partecipò inoltre attivamente allo sviluppo del primo regime efficace per il controllo della neoplasia del seno. Inoltre abbiamo per primi utilizzato l’applicazione di adriamicina, fluoroacile e citoxan (FAC) nella terapia della metastasi della neoplasia del seno. Siamo stato anche i primi ad utilizzare l’adriamicina in combinazione con altri agenti per la terapia del linfoma. Attualmente le nostre ricerche sono indirizzate su un nuovo agente terapeutico definito AMSA che appare candidato alla terapia della leucemia acuta dell’adulto e del linfoma. Infine siamo stati i primi a dimostrare i vantaggi dell’infusione continua di adriamicina al fine di ridurre la cardiotossicità di questo farmaco.”

Robert Peter Gale

IL TRAPIANTO DI MIDOLLO (Leadership Medica 1990)
Importanti progressi sono stati fatti nella terapia con trapianto di midollo osseo in caso di leucemia, linfomi e altre neoplasie. In questo articolo vogliamo fare il punto sullo stato attuale della terapia, sui recenti progressi e sulle prospettive future.
“Leucemia”
“Il trapianto di midollo osseo è spesso usato nella terapia della leucemia, comprendendo anche i pazienti affetti da leucemia linfoblastica acuta (LLA), leucemia mieloide acuta (LMA) e leucemia mieloide cronica (LMC)”.

“Linfomi”
“Vi è un notevole interesse nell’usare il trapianto osseo, principalmente come autotrapianto, nelle fasi intermedie e in quelle più gravi dei linfomi e della Malattia di Hodgkin. Gli studi eseguiti dimostrano che la remissione è ottenibile con elevate dosi di chemioterapia, con o senza radioterapia nei pazienti con stadi avanzati di linfoma. Recentemente l’autotrapianto è stato usato nella terapia del linfoma nella sua fase iniziale. I risultati sono incoraggianti e indicano una sopravvivenza del 20% in assenza di malattia a 3 o 5 anni. I risultati ottenuti con la chemioterapia dimostrano una sopravvivenza del 5%. Il quesito da risolvere è se l’autotrapianto deve essere usato come parte iniziale della terapia di pazienti con linfoma di Hodgkin e fattori prognostici sfavorevoli. Una risposta a questo argomento può essere data solo da uno studio clinico randomizzato.

“Tumori solidi”
“Vi è un notevole interesse nella terapia mediante autotrapianto in alcuni tipi di tumori solidi quali il neuroblastoma o la neoplasia della mammella. La maggior pare dei risultati indicano alcuni casi di guarigione nei bambini con stadi avanzati di neuroblastoma sottoposti a cicli intensivi di chemioterapia. Studi eseguiti con l’autotrapianto in soggetti simili hanno dimostrato una sopravvivenza a tre anni di assenza di malattia del 20%. Rimane tuttavia da dimostrare in uno studio prospettico se l’autotrapianto sia superiore alla chemioterapia. L’autotrapianto assume un ruolo particolarmente importante nella terapia delle neoplasie del seno, data la loro frequenza. I dati riscontrabili in letteratura dimostrano che alte dosi di chemioterapia con o senza radiazioni, con successivo autotrapianto determinano la remissione della neoplasia in pazienti con stadi avanzati della stessa. Questi risultati sono particolarmente importanti, dato che lo stadio avanzato di questo tipo di neoplasie è incurabile. Non è tuttavia noto se la remissione persiste nel tempo. Recentemente sono state sottoposte ad autotrapianto pazienti con fasi meno avanzate di neoplasie del seno. L’incidenza di risposte positive è elevata e la sopravvivenza a tre anni in assenza di malattie è aumentata. Tuttavia è necessario anche in questo caso un follow-up ulteriore al fine di valutare se questo approccio sia superiore alla neoplasia e/o alla terapia radiante. Gli studi più recenti consistono in lavori prospettici in pazienti con stadi precoci di neoplasia a rischio elevato per insuccesso terapeutico (10 o più linfonodi positivi, invasione locale della neoplasia, o neoplasia infiammatoria). Questi lavori richiedono tuttavia alcun anni per essere completati.”

“Problemi e prospettive”
“Sebbene vi sia stato un progresso notevole nell’utilizzo del trapianto di midollo osseo come terapia, persistono alcune problematiche. Il rigetto avviene raramente quando il donatore è un parente con una struttura HLA identica. Vi è tuttavia la possibilità che l’incidenza di rigetto aumenti quando vengono usate forme alternative di donazione. La malattia del tessuto donato verso il ricevente (Tr. Vs. Os.) è un altro importante problema che può sopravvenire dopo il trapianto di midollo osseo. Questa patologia può essere interpretata come l’opposto del rigetto. Infatti i linfociti T del tessuto donato reagiscono contro il ricevente. Tr. Vs. Os. avviene nel 50% dei riceventi di soggetti HLA identici in una proporzione più elevata nei trapianti con donatori alternativi. Lavori recenti indicano che è possibile ottenere un’incidenza di Tr. Vs. Os mediante immunosoppressione con ciclosporina e metotrexate. La rimozione di linfociti T dal midollo da trapiantare previene l’insorgenza di questa patologia. Tuttavia con questa metodica si è verificata una aumentata incidenza di ricorrenze di leucemia e di rigetto. La sopravvivenza in attesa di ricorrenza non è migliorata. Le ricerche future in questo particolare aspetto del trapianto di midollo osseo comprendono l’individuazione di più efficaci farmaci immunosoppressivi ed un nuovo approccio alla deplezione di linfociti T, come la rimozione di particolari sottotipi di linfociti T. La polmonite interstiziale, ed in particolare quella da citomegalovirus (CMV), è un’altra complicanza che può sopravvivere nei pazienti trapiantati. Questa complicanza può essere in alcuni casi prevenuta trasfondendo sangue e i suoi derivati sieronegativi per il CMV. La somministrazione endovenosa di immunoglobuline è un’altra terapia utilizzata per ridurre l’incidenza di polmoniti interstiziali da CMV. Si stanno eseguendo studi per valutare l’efficacia del gancyclovir per prevenire o trattare la polmonite interstiziale. L’autotrapianto è privo delle suddescritte complicanze. Il maggiore problema con questa metodica è costituito dallo stabilire se dosi aumentate di sostanze antitumorali e di radiazioni determinano la guarigione e se il tessuto reinfuso contiene cellule tumorali. E’ in corso attualmente un acceso dibattito sulla possibilità che cellule maligne reinfuse siano un’importante causa di ricorrenza della neoplasia. Notevoli sforzi vengono attuati allo scopo di individuare tecniche che consentano la rimozione dal tessuto da trapiantare delle eventuali cellule neoplastiche presenti. Ad esempio, vengono provati per questo scopo anticorpi monoclonali o bande magnetiche. Un’altra metodica utilizza sostanze antitumorali (ciclofosfammide e i suoi derivati) e sostanze fotosensibli in vitro”.

“Orizzonti futuri”
“Il trapianto di midollo osseo riveste particolare importanza non soltanto perché guarisce alcune pazienti con neoplasie altrimenti incurabili, ma anche perché costituisce un modello di terapia con alte dosi di chemioterapia e/o radiazioni per i tumori. Allo stadio attuale delle conoscenze non è certo se il trapianto continuerà ad essere utilizzato in associazione con alte dosi di chemioterapia o di radiazioni, oppure se sarà preferibile usare il fattore di crescita emopoietico o il fattore stimolante i granulociti o i granulociti macrofagi senza il trapianto osseo. Certamente verranno identificati in futuro altri fattori emopoietici di crescita. Un’interessante prospettiva è l’utilizzo del trapianto osseo come veicolo per l’ingegneria genetica. Un ampio spettro di malattie nelle quali la base genetica è identificata con precisione può essere trattato con questo approccio. Ad esempio la talassemia interessa milioni di persone nel mondo. La base genetica di queste malattie è ben definita. Alcune forme di questa malattia sono trattate oggi con il trapianto convenzionale di midollo osseo. In futuro potrà essere possibile correggere queste patologie trapiantando cellule autologhe di midollo osseo modificate tramite l’ingegneria genetica. Un altro potenziale uso del trapianto di midollo osseo è il suo utilizzo nelle malattie autoimmuni, quali il lupus eritematoso sistemico e l’artrite reumatoide. In questo caso la funzione del trapianto è quella di sostituire il sistema immunitario del paziente con un nuovo sistema. Animali affetti da queste patologie sono stati così guariti. Un’ulteriore possibilità d’impiego del trapianto è il suo uso in associazione al trapianto di altri organi. Infatti il trapianto di midollo osseo consente la sostituzione del midollo osseo del ricevente con quello del donatore. Diventerebbe quindi possibile trapiantare organi quale il cuore, il fegato ed il polmone senza rischio di rigetto. Questa strategia è stata attuata con successo nell’animale. Questi orizzonti futuri possono aprire la strada per un più ampio impiego del trapianto d’organo nell’uomo.”

Il Prof. Giorgio Lambertenghi Deliliers nel 1994 indicò nella ricerca sulle cellule staminali il nodo cruciale della futura lotta alla leucemia

NUOVE TECNOLOGIE NELLA LOTTA ALLA LEUCEMIA (Tavola rotonda organizzata da Leadership Medica)
Professor Lambertenghi, qual è il futuro del trapianto di midollo osseo?
Il futuro sta nella separazione delle cellule staminali dal cordone ombelicale o dal sangue periferico, non più necessariamente dal midollo. Tali cellule vengono coltivate in vitro, espanse e quindi utilizzate per il trapianto. Per il prossimo futuro, quindi, si può ipotizzare che saremo liberati dalla necessità di lavorare sul midollo: basterà un numero abbastanza limitato di cellule staminali totipotenti, coltivate in vitro, espanse con fattori di crescita emopoietici e trapiantate.

Qual è l’obiettivo attuale?
Obiettivo attuale è quello della ricerca di fonti alternative di cellule staminali per i pazienti che non hanno un donatore in famiglia. Queste persone costituiscono il 70% del campione di pazienti che necessitano di trapianto. Per affrontare il problema del trapianto di midollo essi hanno tre possibilità:

1) consultare il registro dei donatori di midollo osseo e verificare l’esistenza di un donatore HLA compatibile; la probabilità di trovare un donatore è tuttavia tanto maggiore quanto più è grande il Registro stesso, ecco perché è necessaria una cooperazione internazionale;
2) il cordone ombelicale può essere la seconda risposta: si utilizza il sangue raccolto dalla placenta, che altrimenti sarebbe comunque destinato all’eliminazione, per costituire una banca da cui attingere una fonte alternativa al midollo osseo;
3) la terza possibilità è quella del trapianto autologo; in questo campo l’utilizzo delle cellule staminali del sangue periferico sembra offrire numerosi vantaggi rispetto all’impiego delle cellule midollari. Le cellule staminali possono essere inoltre coltivate ed espanse in vitro.
Per quanto riguarda la fase di preparazione al trapianto vi sono state mutazioni nei criteri di selezione dei candidati alla donazione, negli ultimi anni?
Il trapianto allogenico con donatore familiare HLA identico è diventato il trattamento di scelta per alcune emopatie maligne che non sono trattabili, o meglio curabili, con la chemioterapia tradizionale, per l’aplasia midollare e per alcune sindromi da immunodeficienza che sono caratteristiche soprattutto dell’infanzia. Le probabilità di trovare nella famiglia del paziente un donatore con le caratteristiche richieste sono tuttavia limitate al 30% circa dei casi. Rimane quindi un 70% di casi “scoperti”. Per essi si impone una scelta alternativa, dato che si tratta di malati curabili con terapie tradizionali. Si ha bisogno, allora, di cellule staminali emopoietiche provenienti da altre fonti. Le strade, come accennato, sono tre: rivolgersi al Registro internazionale di donatori non consanguinei, dove il paziente può trovare il donatore HLA identico; la Banca del sangue placentare, in via di creazione; l’utilizzazione di cellule staminali coltivate ed espanse in vitro. Quest’ultimo settore è quello ritento fonte più ricca di possibilità future.”

La Redazione