Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 1 del 2001

ABSTRACT

Carcinoma epatico Massimo ColomboLa diagnosi precoce favorisce il trattamento radicale del carcinoma epatocellulare (CE). L’obiettivo dello screening sono i pazienti con epatite cronica da virus B e C, cirrosi o rare malattie metaboliche del fegato. L’alfafetoproteina (AFP) sierica e l’ecografia addominale (US) sono universalmente considerati i più vantaggiosi esami di screening di prima scelta, poiché rispondono a criteri di costo-efficacia. Il trattamento radicale del CE è favorito dalla tendenza del tumore a svilupparsi come un nodo solitario, mentre il trattamento è sfavorito in alcuni pazienti per la variabilità di crescita del tumore e le precoci metastasi nei vasi portali. La scelta del trattamento è influenzata da alcune caratteristiche del paziente, come presenza/assenza di cirrosi, dimensioni e numero dei tumori e grado di disfunzione epatica. La scelta è resa talvolta difficile dalla mancanza di studi controllati di confronto su trattamenti disponibili. Il trapianto epatico è universalmente considerato la più efficace cura per pazienti con cirrosi e tumore singolo inferiore a 5 cm di volume (sopravvivenza a lungo termine: 75%). La resezione epatica è soprattutto indicata nei pazienti senza cirrosi e nei cirrotici ben compensati con piccolo tumore, senza grave ipertensione portale, quando non è disponibile il trapianto. I pazienti che non sono candidabili per terapie chirurgiche ricevono terapie percutanee di ablazione locoregionale, come l’iniezione intratumorale di alcol o la radiofrequenza (sopravvivenza a 5 anni: 50%).

Introduzione
La diffusione dell’ecografia addominale permette diagnosi precoce del CE e la conseguente identificazione di pazienti con piccolo tumore trattabile (1) (Figura 1 e 2). Purtroppo, la mancanza di studi clinici controllati non ha permesso di chiarire se lo screening riduce la mortalità per CE dei pazienti a rischio. La storia naturale del CE, soprattutto la lunga fase di latenza clinica e la tendenza alla crescita lenta del tumore, sembra in parte favorire i programmi di screening. Lo screening per CE sembra invece ostacolato da altri aspetti della storia naturale di questo tumore, per esempio lo sviluppo multifocale del CE in alcuni pazienti e le ampie differenze nei tempi di raddoppio del volume tumorale (da 1 a 20 mesi) osservati in molti pazienti (2).

Carcinoma epatico figura 1
Fig. 1: A: Piccolo carcinoma epatico identificato con ecografia addominale
B: Nel contesto del piccolo carcinoma si nota (punto bianco) la punta dell'ago sottile ecoguidato,
utilizzato per ottenere un microfrustolo di tessuto

Carcinoma epatico figura 2
Fig. 2: Aspetto istologico tipico di un epatocarcinoma differenziato di aspetto trabecolare

I pazienti da sottoporre a screening
Poiché lo sviluppo del tumore è influenzato da fattori ambientali, dietetici e di stile di vita, gli studi epidemiologici sono stati decisivi nell’identificare i soggetti a rischio di CE. Due conferenze di consenso ad Anchorage (Alaska) (3) e Milano (4) hanno stabilito che i portatori cronici virus dell’epatite B, i pazienti con cirrosi ed i pazienti con rare malattie metaboliche del fegato sono il bersaglio ideale dei programmi di screening. Per migliorare il costo/efficacia di questi programmi lo screening dovrebbe però focalizzare su individui con il più elevato rischio di sviluppare CE. Tuttavia è difficile misurare a livello individuale il rischio di CE, a causa delle ampie differenze individuali nel metabolismo dei carcinogeni, nella capacità di riparare lesioni del DNA cellulare, nella stabilità del genoma e nella predisposizione ereditaria a sviluppare cancro.

Pazienti con cirrosi
Ogni anno, circa il 4% di tutti i pazienti con cirrosi virale o alcolica sviluppa CE (1,5,6). Il CE si sviluppa anche in pazienti con epatite cronica virale di cirrosi, però con frequenza inferiore (Tabella 1, 2). Il rischio di CE varia in funzione di alcune caratteristiche del paziente. In uno studio di 417 pazienti cirrotici seguiti a Milano per 15 anni, abbiamo identificato il CE in 110 pazienti. Il tasso annuale di CE era 3,5% ma saliva all’11% nei maschi di età superiore a 53 anni con AFP superiore a 20 ng/ml, rispetto a tassi inferiori in altri sottogruppi di pazienti stratificati per sesso, età e valori di AFP. Misurando l’indice di proliferazione epatocitaria il tasso annuale di CE era 5% nei pazienti con elevata proliferazione e solo nei pazienti con bassa proliferazione (Figura 3). Applicando questi schemi è quindi possibile identificare categorie di cirrotici che più di altri sono a rischio di sviluppare tumore e perciò meritano programmi di screening aggressivi.

Carcinoma epatico tabella 1

Carcinoma epatico tabella 2

Carcinoma epatico figura 3
Figura 3

Portatori cronici di virus dell’epatite B
Trecento milioni di persone nel mondo sono cronicamente infettate dal virus dell’epatite B (19). Studi epidemiologici e clinici hanno stabilito un legame forte e consistente tra infezione cronica HBV e CE. Il virus infatti produce lesioni genotossiche negli epatociti e promuove il tumore stimolando la proliferazione degli epatociti durante l’epatite cronica (20). Spesso l’infezione procede a tumore saltando la tappa della cirrosi. In uno studio prospettico a Taiwan, il rischio di CE in 3454 portatori cronici di virus era 102 volte superiore a quello di persone non infettate dal virus (14). I portatori di virus con maggior rischio di tumore erano i pazienti con cirrosi o con segni umorali di attiva replicazione virale (HBeAg+/HBV-DNA+). E’ ormai chiaro che i portatori cronici di virus con transaminasi persistentemente normali (cosiddetti portatori sani) sviluppano tumore con frequenze inferiori a quelle dei portatori con malattia epatica (13). Tuttavia, può essere difficile distinguere tra portatori di virus con diversi assetti clinici cioè con/senza epatopatia. Il forte legame patogenetico tra virus dell’epatite B e CE è stato recentemente confermato dai risultati della campagna vaccinale dei nuovi nati in Taiwan. La campagna vaccinale, iniziata nel 1985, ha determinato infatti drastica riduzione della incidenza di CE infantili (21).

Pazienti con più rare malattie epatiche
Questo gruppo include pazienti a maggior rischio di CE, come i pazienti con porfiria cutanea tarda, emocromatosi genetica, difetto di alfa-1-antitripsina, tirosinemia ed ipercitrullinemia, e pazienti a minor rischio come i pazienti con glicogenosi I e III, morbo di Wilson ed intolleranza ereditaria al fruttosio (2). Il CE è stato segnalato anche come complicanza tardiva della cirrosi biliare primitiva, probabilmente come effetto del prolungamento della sopravvivenza indotta delle nuove terapie per questa affezione. Il CE si è sviluppato anche nel 64% dei 160 pazienti giapponesi e nel 48% di 101 pazienti sud-africani di colore affetti da sindrome di Budd-Chiari, cioè ostruzione trombotica delle vene sovraepatiche (22,23).

Gli esami di screening
Gli esami di screening devono essere semplici, sicuri, accettabili, riproducibili ed economici. L’AFP sierica e l’ecografia addominale (US) risponde a questi requisiti, sebbene differiscano per sensibilità e costi. I valori normali sierici di AFP dell’adulto sono compresi tra 0 e 20 ng/ml. Livelli sierici di 400 ng/ml sono diagnostici per CE. Sfortunatamente, due terzi dei pazienti con piccolo tumore ha valori di AFP inferiori a 200 ng/ml e più del 30% dei pazienti con CE ha normali livelli sierici di AFP. Per valori di AFP compresi tra 20 e 200 ng/ml, i pazienti con risultati falsamente positivi (cioè senza tumore) sono più numerosi dei pazienti con tumore (1,6,8). L’AFP lecitina reattiva è un potenziale marcatore di CE nei pazienti con valori di AFP al limite di norma. In uno studio prospettico di 361 pazienti cirrotici, 33 pazienti avevano alti livelli di AFP atipica già 3-18 mesi prima della identificazione ecografica del tumore (24). L’esame ecografico del fegato è un accurato predittore di CE, poiché ha un elevato valore predittivo negativo e un soddisfacente valore predittivo positivo (Tabella 3). Il paziente con un nodulo di 2-3 cm, può avere sia una lesione pre-neoplastica che un CE, e pertanto deve essere indagato in modo approfondito. La maggioranza dei tumori epatici si presenta come una lesione ipo-disecogenica (1,6,8).

Carcinoma epatico tabella 3

Stretegie di screening
Le strategie di screening sono influenzate dalla situazione epidemiologica locale e dalle risorse economiche disponibili. Negli studi di popolazioni dove la maggior parte degli individui sono asintomatici è possibile standardizzare gli intervalli di screening. Questi studi, per il grande numero di persone da studiare e la relativamente bassa incidenza di tumore, adottano l’AFP sierica come metodo più conveniente in termini di costo/efficacia. Invece, negli studi clinici dove i pazienti hanno più fattori di rischio, per esempio cirrosi ed alcol e diversi pazienti sono sintomatici, è più difficile standardizzare gli intervalli di screening. In questo caso gli US sono più convenienti dell’AFP sierica. Infatti, 3 studi prospettici di pazienti con cirrosi hanno dimostrato che il 35-60% dei casi di CE sfugge alla identificazione con la sola AFP (1,6,24) (Tabella 4). L’intervallo di screening più vantaggioso in termini di costo-efficia per la diagnosi di tumore è 6 mesi.

Carcinoma epatico tabella 4

Selezione dei pazienti da trattare
La scelta del trattamento dipende dalla presenza/assenza di cirrosi, dimensione e numero dei tumori e grado di compromissione epatica. La stadiazione della malattia, tappa cruciale poiché influenza la riuscita dei trattamenti, si fonda sull’esame TAC bifasico dell’addome superiore. Il tumore epatico è riconosciuto nella fase arteriosa come una lesione vascolarizzata nel contesto del fegato cirrotico che è contrastato durante la fase tardiva portale (25). In uno studio multicentrico a Milano (26), il 43% di 178 pazienti precocemente diagnosticati durante il programma di screening aveva CE multifocale (Tabella 5). E’ probabile che durante la stadiazione sfuggano alcuni tumori piccoli (< 2cm) che sono ipovascolarizzati e pertanto non prendono contrasto all’esame TAC. La stadiazione clinica del paziente utilizza il sistema Child-Pugh. La spettanza di vita a 3 anni dei pazienti non trattati con cirrosi ben compensata (Child A) e singolo tumore inferiore a 5 cm è circa 25% (27).

Carcinoma epatico tabella 5

Pazienti con fegato sano
La resezione epatica è indicata soprattutto per pazienti con CE e fegato sano, la cui sopravvivenza a 5 anni è circa 45% (28,29).

Pazienti con cirrosi e piccolo tumore
La capacità funzionale del fegato non tumorale è il fattore che determina la prognosi di questi pazienti e per questo il trattamento chirurgico ha particolare successo nei pazienti con tumori piccoli e fegati ben compensati. Grazie ai progressi della trapiantologia e delle conoscenze sulla storia naturale del tumore, il trapianto ortotopico di fegato si è venuto imponendo come la cura radicale e più efficace di questi pazienti.

Trapianto ortotopico di fegato
Il trapianto ortotopico di fegato risponde ai criteri di radicalità nel trattamento del tumore epatico poiché elimina il CE visibile, la quota di tumore non identificabile con le tecniche di immagine ed il fegato cirrotico che predispone alla formazione di nuovi tumori. Con la rimozione del fegato cirrotico si riduce anche il rischio di morte per ipertensione portale. L’impiego del trapianto di fegato per trattare i pazienti con CE è fortemente limitato dalla carenza di donazioni d’organo, dai costi di gestione e dai criteri severi di selezione dei pazienti. E’ difficile interpretare i risultati a lungo termine di questo trattamento per le grandi differenze da Centro a Centro nei tempi di attesa tra candidatura a trapianto ed intervento. In Europa tra il 1988 ed il 1994 sono stati trapiantati 537 pazienti con CE in 82 Centri: la sopravvivenza a 5 anni è stata del 45,5% nei 361 pazienti con tumore associato a cirrosi e del 54,5% nei 176 pazienti con tumore incidentalmente scoperto. A Milano la sopravvivenza attuariale a 4 anni di 48 pazienti con tumore inferiore a 5 cm o < 3 lesioni inferiori a 3 cm è stata del 92% per i 35 pazienti che all’espianto risultavano senza metastasi e del 60% per 13 pazienti che all’esame del fegato espiantato mostravano tumori satelliti o invasione vascolare del fegato (30). Benché la sopravvivenza dei pazienti trapiantati sia influenzata dalle dimensioni e numero dei tumori e dalla gravità della cirrosi non è stata ancora definita la dimensione ideale del tumore che ha il minor rischio di recidiva post-trapianto. Questo è dovuto al fatto che anche i tumori piccoli possono produrre precoci metastasi vascolari (28, 29). Spesso la recidiva precoce del tumore è frutto di una imperfetta valutazione pre-operatoria dei pazienti, dovuta alla scarsa sensibilità delle tecniche di immagine attualmente disponibili. Solo l’esame istologico permette la corretta stadiazione del rischio di recidiva, ma questa valutazione è ottenuta solo dopo l’asportazione chirurgica del tumore. A loro volta le metastasi linfonodali possono essere valutate con affidabilità solo durante laparoscopia o laparotomia. La riuscita del trattamento può essere compromessa dalla recidiva dell’epatite virale poiché l’infezione del nuovo fegato facilita il rigetto e ristabilisce il rischio neoplastico. Diversi studi stanno valutando l’efficacia terapetica dell’interferone nei trapiantati per epatite C e quella degli analoghi nucleosidici anti-epatite B (31). Le gammaglobuline anti-epatite B hanno elevata efficacia protettiva contro la reinfezione del fegato trapiantato, ma sono particolarmente costose (32).

Resezione epatica
Il trapianto di fegato non può essere offerto a tutti i pazienti con cirrosi e piccolo CE. Pertanto, la resezione epatica rimane la opzione terapeutica primaria in molti Centri. La capacità funzionale del fegato residuo è il maggiore fattore che influenza la prognosi dei pazienti sottoposti a resezione chirurgica. Per ridurre al minimo la perdita di tessuto epatico, la resezione del tumore è effettuata mediante segmentectomia o subsegmentectomia. A partire dal 1983 l’uso dell’ecografia in fase operatoria ha modificato le prospettive di riuscita di questo trattamento. I migliori risultati di sopravvivenza sono stati ottenuti nei pazienti con tumore inferiore a 2 cm di diametro e funzione epatica conservata. In 347 pazienti giapponesi la sopravvivenza a 5 anni dopo resezione epatica fu del 60%, con mortalità inferiore al 5% (33). La sopravvivenza a 3 anni di pazienti con cirrosi ben compensata (Child-Pugh A) dopo resezione per tumore inferiore a 5 cm è del 50-57% (34,35) (Tabella 6).

Carcinoma epatico tabella 6

Nei pazienti con cirrosi ben compensata l’ipertensione portale determina il rischio di scompenso epatico irreversibile dopo resezione chirurgica (36). In uno studio, pazienti con più di 10 mmHg di gradiente porto-cava svilupparono scompenso epatico rispetto a nessuno dei pazienti con gradiente inferiore a 10 mmHg. La rianalisi sulla base della “intenzione a trattare” dei pazienti operati a Barcellona di trapianto o resezione ha dimostrato che la sopravvivenza a 5 anni dopo resezione di pazienti con cirrosi ben compensata e modesta ipertensione portale era superiore a quella di simili pazienti sottoposti a trapianto. La sopravvivenza di questi ultimi infatti è diminuita negli ultimi anni da quando la lista di attesa trapianto si è allungata da una media di 62 giorni a 162 giorni e ha causato deterioramento delle condizioni cliniche dei pazienti in attesa di trapianto (37). Questi risultati suggeriscono che la resezione epatica è competitiva con il trapianto nei pazienti con CE ben selezionati e con ottimo compenso epatico, quando il Centro non può garantire tempestiva esecuzione del trapianto d’organo.

Pazienti con malattia avanzata
Diversi pazienti non rientrano nei criteri di operabilità per l’età avanzata, presenza di malattie extraepatiche, localizzazione strategica del tumore o una combinazione di questi fattori. Per questo gruppo eterogeneo di pazienti sono disponibili vari trattamenti locoregionali e sistemici.

Trattamenti interstiziali percutanei
Il tumore può essere distrutto mediante iniezione intratumorale di etanolo, acido acetico 50% o soluzione fisiologica bollente, oppure per termoablazione mediante sonde termiche introdotte per via percutanea. La iniezione intratumorale di etanolo sotto guida ecografica è il trattamento più utilizzato (Figura 4 e 5).

Carcinoma epatico figura 4
Fig. 4: Strumenti utilizzati perl'esecuzione della tecnica di iniezione percutanea di etanolo:
1) sonda ecografica, 2-4) componenti per le guide del catetere che inietta alcohol, 5 ) catetere montato su siringa.

Carcinoma epatico figura 5
Fig. 5: Esecuzione delle manovre di iniezione percutanea di etanolo. In questa fase l'operatore (D.ssa Cristina De Fazio)
inietta alcohol mediante siringa collegata direttamente al catetere

La alcolizzazione sfrutta il principio della diffusione selettiva nel tessuto neoplastico dell’etanolo, che causa estesa necrosi coagulativa degli epatociti neoplastici e trombosi dei vasi tumorali. L’etanolo è ben tollerato dal paziente. Il candidato ideale è quello con buona funzione epatica (Child A o B), una o due lesioni di diametro inferiore a 5 cm, sprovvisto di metastasi extraepatiche. La sopravvivenza del paziente trattato con iniezioni di alcol dipende dalle dimensioni del tumore, numero delle lesioni e stato di compenso epatico. La sopravvivenza a 5 anni di 293 pazienti italiani con cirrosi ben compensata e tumore < 5 cm era 47% rispetto al 29% di 149 pazienti con più avanzata malattia epatica (Tabella 7) (38).

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I buoni successi terapeutici nei pazienti con tumore piccolo dipendono probabilmente dalla bassa tendenza di questi tumori alla disseminazione extranodulare, rispetto a quelli di maggior diametro. Inoltre, l’architettura uniforme e l’assenza di grossi vasi intramurali nei piccoli tumori favorisce l’attività necrotizzante dell’etanolo. In uno studio randomizzato di 60 pazienti giapponesi con tumore piccolo (< 3 cm), l’iniezione di acido acetico 50% fu più efficace della iniezione di etanolo (sopravvivenza a 2 anni: 92% vs 63%, p=0.02), con particolare riguardo per i tumori ipervascolarizzati (39). La maggior efficacia terapeutica dell’acido acetico è legata alla sua capacità di distruggere i setti fibrosi che compartimentalizzano alcuni tumori, permettendo così uniforme necrosi del tumore. La termoablazione offre simili risultati, con il vantaggio di un numero ridotto di sedute. In tumori di dimensioni inferiori a 3 cm, è sufficiente un' unica seduta di trattamento e questa produce necrosi totale della lesione nel 90% dei casi (40). Una importante limitazione di questo trattamento è la maggior invasività rispetto alla iniezione percutanea di alcol e la necessità di una sedazione marcata del paziente, talvolta dell’anestesia generale.

 Chemioembolizzazione arteriosa transcatetere
L'embolizzazione dell’arteria che alimenta il CE causa necrosi ischemica del tumore e permette l’infusione di chemioterapici, aumentando la concentrazione tissutale di farmaco con riduzione degli effetti sistemici. L’infusione di lipiodol, seguita da embolizzazione con gelfoam, potenzia l’azione della TACE sia sul nodulo sia embolizzando eventuali noduli figli del tumore.

La chemioembolizzazione dell’arteria prossimale (embolizzazione convenzionale) viene utilizzata per trattare tumori di dimensioni maggiori. La procedura è controindicata nei pazienti con trombosi del tronco portale o grave insufficienza epatica. Quattro studi controllati in pazienti con tumore non operabile hanno escluso benefici sulla sopravvivenza dei pazienti trattati con chemioembolizzazione o embolizzazione (41-44). Invece, uno studio in pazienti giapponesi con cirrosi compensata e tumore < 5 cm di volume ha dimostrato lunghe sopravvivenze (67% a 4 anni) dopo chemioembolizzazione segmentaria o subsegmentaria (45). Ne consegue che il trattamento di chemioembolizzazione non è efficace nei pazienti con tumore avanzato mentre merita di essere ulteriormente valutato nella cura di pazienti con tumore di piccole dimensioni.

Altri trattamenti palliativi
Studi controllati e non controllati (46) hanno dimostrato scarsa risposta clinica (20%) dei pazienti trattati con chemioterapia sistemica, soprattutto doxorubicina, e nessun apprezzabile aumento della sopravvivenza dei pazienti. Invece, la potenziale ormonodipendenza dell’epatocarcinoma e la presenza di recettori nel tumore per gli ormoni sessuali, hanno suggerito l’impiego terapeutico di farmaci che antagonizzano gli estrogeni. Due importanti studi in pazienti con tumore inoperabile hanno dimostrato che il trattamento prolungato con tamoxifene non incrementa la sopravvivenza né la qualità di vita dei pazienti (47, 48). In uno studio prospettico randomizzato di 58 pazienti con CE inoperabile, il trattamento con infusione sottocutanea di 250 mcg di octeotride due volte al dì ha prolungato la sopravvivenza dei pazienti nel primo anno di osservazione (49). Questo studio però è fortemente criticato per il modesto numero di pazienti inclusi. La radioterapia finalizzata alla riduzione del dolore è stata tentata irradiando globalmente il fegato o mediante irradiazione temporanea dei segmenti epatici a 50-60Gy per oltre 5-6 settimane, il minimo cioè richiesto per controllare il tumore (50). Il trattamento irradiante con emissione di protoni sembra più efficace (19% di risposta obiettiva) è ben tollerato, ma richiede attrezzature costose e non facilmente reperibili. Nel prossimo futuro, la terapia genica potrebbe offrire possibilità di cura per molti pazienti con CE. Il principio è transfettare le cellule neoplastiche con un virus capace di conferire un gene che facilita il suicidio della cellula o geni terapeutici capaci di rendere gli epatociti neoplastici sensibili a farmaci antivirali.

Conlusioni
La diagnosi precoce di CE è possibile poiché conosciamo i pazienti a rischio e disponiamo di mezzi diagnostici efficaci ed economici. Non è noto tuttavia se lo screening riduce la mortalità per questo tumore, in quanto mancano studi clinici controllati. Senz’altro, lo screening offre vantaggi come il miglioramento delle risposte terapeutiche nei pazienti diagnosticati precocemente, per alcuni dei quali possono essere applicati trattamenti radicali, e la rassicurazione dei pazienti con esami diagnostici negativi. Tutto questo si traduce in un risparmio di risorse. Le screening può però produrre svantaggi, come quelli di infliggere una più lunga “morbilità” a pazienti con prognosi di malattia non modificabile delle cure, dare false rassicurazioni in pazienti con risultati falsamente negativi ed inutile morbilità in pazienti con risultati falsamente positivi. Questi svantaggi si traducono in un aumento dei costi. I pazienti con cirrosi o con malattie metaboliche congenite a rischio di CE devono essere indagati più frequentemente (ogni 6 mesi) dei portatori di HBsAg senza segni di malattia epatica (ogni 12 mesi). La resezione chirurgica è il trattamento di scelta nei pochi pazienti con tumore in fegato “sano”. Il trapianto ortotopico di fegato resta l’opzione migliore per i pazienti con cirrosi e tumore di dimensioni inferiori a 5 cm. Tuttavia, per la carenza di donazioni d’organo molti centri mantengono la resezione chirurgica come l’opzione “curativa” di prima scelta. I trattamenti palliativi, come l’iniezione percutanea di alcol e la radiofrequenza sono indicati nel paziente con fegato ben compensato e malattia neoplastica non trattabile chirurgicamente. In diversi pazienti l’approccio più efficace è l’uso combinato di questi trattamenti, cioè terapie ablative locoregionali e chirurgia resettiva o trapianto.

Massimo Colombo
Direttore, Cattedra di Medicina Interna, Centro “A.M. e A. Migliavacca” per lo Studio del Fegato
IRCCS Ospedale Maggiore, Milano

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