da Leadership Medica n. 2 del 2002
Ogni innovazione, se intelligente, è sicuramente utile in tema di sanità. L’organizzazione dei sistemi sanitari ha un’alta priorità ed un’altrettanta alta difficoltà, in tutti i paesi a tenore di vita elevato, dove altrettanto elevati sono il numero di persone anziane e le richieste, le aspettative ed i costi della salute.
Una caratteristica della mia vita di medico è quella di aver lavorato per anni (45 anni nel mio caso), come il Prof. Sirchia, “in grandi ospedali metropolitani pubblici” e di aver fatto anche numerose esperienze in Italia e all’estero. Ho visto sempre, in ogni circostanza, in ogni sistema ed in ogni ospedale, che vi sono situazioni anche molto difformi e che la difformità spesso si può ricondurre al fattore umano, dove per questo intendo preparazione ed etica professionale.
E’ per questo motivo che ho espresso e scritto al Ministro Bindi e al Governo di allora che la cosiddetta “Intramoenia” non selettiva aveva aspetti dequalificanti e demagogici; un premio generalizzato, certamente dovuto da tempo ai medici, ma contrabbandato come innovazione e miglioramento del sistema che ovviamente non c’è stato affatto.
Tutto quanto c’è di buono negli ospedali pubblici è in una riforma sanitaria che purtroppo è rimasta incompiuta. Ma ora voglio riferirmi alla lettera dell’attuale Ministro della Salute scritta a Repubblica nel giorno dell’Epifania, intitolata “Nelle Fondazioni il futuro degli Ospedali”, e non ne discuto gli obiettivi ed i rimedi proposti, piuttosto la diagnosi.
Gli obiettivi sono eccellenti e desiderabili: ”rilanciare i nostri grandi Ospedali pubblici ed i loro inestimabili valori professionali” , rendendoli “accoglienti, efficienti, orientati a soddisfare in pieno i bisogni della gente”. Far sì “che i pazienti non vengano selezionati, le patologie non discriminate, la ricerca e lo sviluppo non sacrificate, la didattica potenziata”. Io aggiungerei una nota sulla qualità di vita e sulle condizioni di lavoro del personale, medico e paramedico, e sulla incentivazione e riconoscimento della professionalità che è una delle due risorse più importanti di un ospedale moderno, essendo l’altra l’organizzazione e la tecnologia. Ma mi domando perché un Ospedale-Fondazione debba necessariamente produrre tutti questi risultati, senza peraltro creare vuoti.
Quindi la diagnosi (decadimento degli ospedali) e la sua patogenesi (il sistema pubblico dell’Ospedale-Azienda) non mi convince del tutto. Comincio dai “vuoti”: gli ospedali, grandi e piccoli, assistono tutti, dalle emergenze più varie e gravi alle rianimazioni, dalle malattie e dai malati che “costano” di più alle malattie che “rendono” di più. E’ all’interno dei grandi ospedali pubblici e dei Policlinici Universitari che si sono sviluppate metodiche assistenziali di grandissima qualità, ottenute con il finanziamento pubblico e privato.
La Sanità italiana, ci è riconosciuto, è stata spesso all’avanguardia. Eppure gli ospedali sono vecchi, non rispondono più alle esigenze alberghiere di qualità di vita dei pazienti, le liste di attesa sono a volte insopportabili, sacche di inefficienza sono sicuramente presenti: perché non dappertutto, perché esistono numerose “isole felici”? Sicuramente, a mio parere, chi ha saputo unire una qualità “imprenditoriale” al proprio impegno professionale è in grado di concedere ampi margini alle capacità umane: ma tutto ciò è già presente nell’attuale sistema. Ritorno quindi al punto già esposto all’inizio.
Ci troviamo in uno sviluppo a pelle di leopardo, e a costi troppo elevati, perché il buono deve convivere con sacche di inefficienza improduttiva. Il sistema evidentemente lo consente, consente sia il buono che il meno buono, ma ancora sono i singoli a realizzare sia l’uno che l’altro. Ora tutto questo non è più sostenibile, costa troppo e, d’accordissimo, va cambiato, ma il punto è “non buttiamo via il bambino insieme all’acqua sporca”.
L’acqua sporca, secondo me, è nel modo come gli ospedali sono, o spesso non sono, diretti: e non mi riferisco solo ai dubbi comportamenti amministrativi che a quanto pare continuano a far danno in alcuni casi. Mi riferisco invece, con molta forza e convinzione, al fatto che i Direttori Generali a volte non rispondono agli utenti che devono servire, rendendo efficienti e competitivi gli ospedali e le aziende, ma rispondono piuttosto ai loro referenti politici, e a sé stessi. Se la privatizzazione risolve questa parte di riforma incompiuta, ben venga; un consiglio di amministrazione al quale i dirigenti debbano rendere conto e rispondere può essere un organismo concreto, in carne ed ossa e cervello, non un controllore astratto, il potere pubblico della Regione, ma di fatto la sua maggioranza politica che si può servire dell’ospedale più che servirlo come organo prezioso, strumento di funzioni pubbliche essenziali: assistenza qualificata, ricerca innovativa, didattica e formazione universitaria e postuniversitaria.
Già oggi, lo sappiamo, questo avviene in una parte delle regioni italiane meglio amministrate, ma c’è qualcos’altro di simile, negli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (gli IRCCS finanziati anche direttamente dal Ministero della Sanità).
Vogliamo dire che questi siano tutti un modello di eccellenza della sanità? O che la redditività economica a volte non faccia premio sul servizio al pubblico? Che non si avvalgano di meccanismi di promozione eccessivi e anche impropri?
Prendiamo però i migliori e, per fortuna, tanti lo sono: tuttavia anche i migliori Istituti in maggioranza selezionano i pazienti, non fanno urgenza, producono assistenza di qualità ma scegliendo le proprie linee di sviluppo piuttosto che le esigenze epidemiologiche: quindi, non rispondono ad una parte degli obiettivi indicati nell’articolo su Repubblica del Ministro. Sono stati, peraltro, esempi positivi, importanti nel nostro sistema sanitario, ma ne sono solo una piccola parte e, come ho appena detto, non sostituiscono, né a mio parere accetterebbero di sostituire, specie gli IRCCS privati, un sistema pubblico che cura tutti.
Questo rimane un problema aperto. Torniamo quindi alle proposte, ancora non dettagliate, del nostro attuale Ministro che ha tutto questo assai ben presente. Infatti le linee programmatiche del Ministro Sirchia alla Commissione Affari Sociali della Camera contengono regole ed obiettivi indiscutibili ma poco applicati, che si riferiscono non a strutture selezionate ma a tutto il sistema: controllo della qualità, aggiornamento dei sanitari, informazione alla popolazione, riorganizzazione della rete ospedaliera privilegiando le patologie croniche ed invalidanti, riorganizzazione delle reti delle urgenze.
Tutto quanto cioè solo un potere pubblico può imporre, o, detto in altre parole, solo se vi è una programmazione pubblica dell’offerta alla quale sia gli ospedali-aziende che gli ospedali-fondazione, i presidi di tutte le dimensioni, privati e pubblici, devono rispondere accettandone il controllo. Se questo sarà ben venga, ma non è questa una privatizzazione della sanità: è necessario quindi un potere pubblico che sia garante per tutti e che non vi siano pazienti discriminati e patologie selezionate.
E’ quanto affermato dal Ministro Sirchia nel suo articolo su Repubblica. Attendiamolo, costruttivamente da parte nostra, alla prova.
Prof. Cesare Fieschi
Roma, 15 gennaio 2002