Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 6 del 2004

La Sanità italiana è una buona Sanità.

E’ una Sanità medio-alta con dei costi medio bassi, invidiata da molti Paesi.
Spendiamo poco e abbiamo buonissimi risultati.
Non è una affermazione di opportunità, ma una affermazione che deriva dall’analisi dei vari indicatori, seppur con quelle riserve derivanti dai dati statistici e, ancor più se clinici, cioè da stime.
Questi dati sono significativi anche alla luce di chi vede la spesa sanitaria pubblica come vero e proprio colpevole spreco e come causa del pesante deficit pubblico.
Ecco alcuni numeri.
La spesa sanitaria totale italiana valutata in percentuale sul prodotto interno lordo è fluttuata da un 7,28% per 1990, a un 6,97 nel 1995, nel 2000 si è attestata al 7,4, di cui solo un 5,5 per quella pubblica.
Va tenuto conto anche, nell’analisi di questo dato, dell’invecchiamento della popolazione, dell’aumento connesso alla disabilità, oltre ovviamente dei maggiori costi di migliori e più sofisticate tecniche diagnostico-terapeutiche, nonché delle nuove patologie; tutti fattori che comportano aumenti di spesa, oltre al non trascurabile incremento dovuto alla quota inflattiva.
Le nostre speranze medie di vita sono salite in 10 anni dal 1991 al 2001 da un 80,3 anni per le donne e 73,8 per gli uomini a 82,8 per le donne e 76,7 per gli uomini. Nel 1981 erano di 77,9 per le donne e 71,1 per gli uomini. Siamo secondi dopo il Giappone. La mortalità infantile nel 1960 era del 43,9 per cento (la Germania del 35 e la Francia del 27,5) ora è al 4,3, meglio della Germania 4,5 e della Francia 4,5.
Spendono più di noi Germania 10,7, Francia 9,5, Stati uniti 13,9, Svizzera 10,9.

La Spagna spende meno di noi con apprezzabili risultati.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’Italia è al secondo posto, dopo la Francia, per qualità e fruibilità delle prestazioni sanitarie.
Abbiamo l’indice di vecchiaia più alto del mondo, la maggior speranza di vita e la popolazione più anziana dell’Unione europea.
Certamente ha valore il nostro vecchio sistema sanitario, ma grosso merito va anche e soprattutto ai medici che hanno contribuito validamente alla riuscita.
Ricordo qui la frase di Ippocrate “la medicina è fatta di tre cose: la malattia, il paziente e il medico; quest’ultimo è il servo dell’arte”.
Non si possono d’altra parte ignorare le rilevanti trasformazioni avvenute negli ultimi anni in medicina, di natura tecnico-scientifica, ma soprattutto culturale con una imperante richiesta di garanzia della salute, anche se il medico, ricordiamo, può garantire solo una buona prestazione per la tutela della salute del suo paziente e non la sua immortalità.
Nell’attuale pianeta Sanità fatto di buoni medici, ruotano però maghi e chiromanti cui troppo spesso il paziente ricorre per soddisfare le proprie ansie. Siamo spesso di fronte a una ipocondria collettiva; la stessa prevenzione ha creato la paura di essere ammalati, la cultura della patologia temuta è divenuta malattia vissuta.
Spesso non c’è più domanda sanitaria, ma mercato sanitario: si insinuano forze esterne per condizionare determinate scelte nel tentativo di ridurre le spese e ottimizzare le risorse oppure per forzare verso un certo consumismo con informazioni orientate.
D’altro canto, l’epoca delle grandi risorse è finita, seppur la domanda di beni e servizi in sanità è in aumento, e di conseguenza gli amministratori pretendono tagli, restrizioni, controllo degli sprechi, insomma le spese vanno razionalizzate e, in particolare, a un minor aumento di spesa, si pretende anche un miglioramento della qualità e quantità dei servizi. Dico razionalizzate, non razionate.
Invertendo i ruoli, l’Amministratore chiama il medico perché tagli le spese, mentre l’amministrativo deve controllare il medico, più che collaborare col medico o risolvere i problemi che il medico gli prospetta.
Ma nel gioco delle tre E quale sarà la futura Sanità?

Nella morsa dei contenimenti della spesa, i responsabili della cosa pubblica ritengono che il risanamento debba passare anche e soprattutto attraverso continui e progressivi tagli sulla Sanità.
In una analisi del periodo che va dal 1980 al 2002 si evidenzia un aumento del PIL del 478 % e una spesa sanitaria complessiva (pubblica + privata) del 561%.
Se però le cifre spese per la Sanità vengono portate al valore corrente il preoccupante incremento risulta soltanto del 83%, incremento non trascurabile, ma giustificato da quanto già sopra accennato: procedure diagnostico-terapeutiche più avanzate e quindi più costose, invecchiamento della popolazione con conseguente maggior disabilità. Inoltre, dato che meriterebbe degli approfondimenti, la spesa attribuibile ai singoli cittadini è aumentata del 545% se calcolata in valuta corrente, ma del 79% se calcolata in valuta 2000, cioè i singoli cittadini sono costati meno di quanto per la Sanità ha speso nel complesso il Paese.
Altro dato importante: nel decennio 1991-2000 la spesa sanitaria pubblica ha mostrato un certa flessione, mentre quella privata è risultata in costante progressione.
Non vi è chi non veda come all’ombra dello Stato sociale si sia sviluppato un parassitismo multiforme, grossolano, soffocante.
Si dice che il “privato” sia più efficiente, ma c’è da chiedersi se sia anche il più efficace.
Ricordiamo che il frutto dell’attività sanitaria non è un prodotto vendibile o visibile, è invece un bene: la salute individuale che non è apprezzabile dalla collettività, ma dal singolo individuo, anche se alla collettività torna utile; è, inoltre, un bene costituzionalmente tutelato.
Il servizio pubblico si rivolge all’intera comunità sociale e scandisce il ritmo della vita comune di tutta la popolazione e non può essere realizzato seguendo i criteri “privatistici” nel senso di “produttività” del servizio, ma deve improntarsi a criteri di efficacia, di raggiungimento degli obiettivi sociali e di corretto uso delle risorse messe a disposizione. Al contrario, una impresa privata ha una finalità mercantile, legittimamente mirata al guadagno e ciò si scontra con la finalità della tutela della salute che in uno stato civile va garantita a tutti.
Il servizio pubblico non mira e non può mirare ad alcun guadagno, ma deve fornire il proprio servizio in modo imparziale e nell’interesse della collettività.
In una analisi di dati di spesa pubblica, l’Italia si colloca tra i Paesi OCSE in posizione intermedia per incidenza percentuale della spesa sanitaria sul PIL: meno di noi Irlanda con un 4,7, più di noi la Germania con un 7,9.
Ben diversamente se si fa riferimento all’incidenza percentuale della spesa sanitaria privata sul totale di spesa. Infatti l’Italia nel rapporto spesa sanitaria privata/spesa sanitaria totale si pone decisamente ai primi posti nella graduatoria in ordine discendente dei Paesi OCSE: con il 32% copre il quarto posto dopo Stati Uniti, Grecia e Portogallo.

Ne consegue che il Servizio Sanitario Nazionale italiano non coprirebbe adeguatamente i bisogni dei cittadini, anche se l’Italia è tra i primi Paesi europei nei quali la assistenza sanitaria ha assunto ampia dimensione sociale.
Ma emerge un altro dato: l’Italia non è tra i Paesi che destinano più degli altri quota parte del PIL alla spesa sanitaria sia pubblica che privata. Ciò nemmeno tra i Paesi dell’UE: per la spesa sanitaria pubblica Germania con uno 7,9, Francia con uno 7,3, Belgio con uno 7,9, Svezia con un 7% contro il 7,5 del nostro Paese; per la spesa sanitaria privata Austria con il 2,4, Francia con il 2,2, Germania con il 2,6, Grecia con il 3,6, Olanda con il 2,5, Portogallo con il 2,6 contro quella italiana del 2%.
Ma punto fermo in Sanità è che il contenimento dei costi non deve peggiorare il livello qualitativo che, al contrario, andrebbe monitorato prioritariamente e correlato colla disponibilità delle risorse.
Un attento monitoraggio dovrebbe concentrarsi sulla eliminazione degli sprechi, delle inefficienze e dei ritardi.
La Sanità ha grossi costi, ma quanto è in realtà speso per la salute e quanto invece è sperperato dall’istituto di parassitologia che ruota intorno alla salute?
Più che a una razionalizzazione, si mira, nei contenimenti delle spesa pubblica, al razionamento delle risorse addossando ai medici le responsabilità dei no. In questi momenti si fa un gran parlare di controllo della domanda, ma è evidente che il concetto urta contro insuperabili ostacoli etici e deontologici che nessuno potrebbe mai avallare.
Non va dimenticato che la spesa programmata deve rispettare dei paletti di cui alcuni etici, insormontabili: al letto del paziente, di fronte a gravi decisioni, non si può risparmiare, non si può rischiare la vita di un paziente per non sfondare un budget e, infine, non si può non tenere conto di terapie innovative, ma estremamente efficaci.
Infine in Sanità si può parlare di costi / benefici? Il costo per la salute deve sempre produrre un beneficio?
Nella società la salute non ha prezzo, tuttavia per gli amministratori ha dei costi.

La spesa sanitaria non deve realizzare il maggior beneficio al minor costo, deve invece realizzare benefici anche solo probabili al costo che risulta indispensabile o almeno in funzione delle risorse disponibili.
Ecco dunque che si deve “razionalizzare”, ma non “tagliare”.
Bisogna infatti soddisfare gli effettivi bisogni di fronte alla domanda di tutela della salute.
Per concludere, la sfida del medico nel prossimo futuro dovrà, dunque, essere quella di una riappropriazione dei propri ruoli e di una leadership.
Da qui una importante e determinate responsabilità anche delle nostre strutture formative per la classe medica.
Il medico dovrà rivendicare la propria autonomia e pertanto non dovrà più essere solo uno strumento. Dovrà fare una medicina secondo scienza e coscienza, una medicina umana, competendo sul meglio, evitando mere valutazioni aberranti della produttività basata solo sugli indici numerici delle prestazioni, dei ricoveri, delle procedure, ma ignorando ciò che invece non va mai trascurato, oltre ovviamente alla buona riuscita della prestazione, la soddisfazione del paziente.
Ricordiamoci inoltre che le scoperte scientifiche aumentano, la tecnologia progredisce e, purtroppo, anche nuove patologie appaiono continuamente, e in questo scenario la pratica medica e il controllo del rischio evolvono e mutano continuamente.
E in mezzo a questa confusione di responsabilità palleggiate mi rimane, dopo diversi anni di professione, un solo consiglio per i colleghi che sono gli attori di questa nuova sanità: ricordiamoci di essere medici, ricordiamoci del giuramento di Ippocrate e di agire, conseguentemente, nell’interesse del paziente sempre in scienza e coscienza.
Da ultimo un dato curioso che deve far meditare: in una indagine di alcuni anni fa la Danimarca con la più bassa spesa sanitaria dell’Europa dei 15 ha avuto da parte dell’utenza il più alto indice di soddisfazione, la Francia con una spesa pro-capite oltre cinque volte tanto un indice di molta soddisfazione appena del 10 per cento.

Prof. Marco Perelli Ercolini