da Leadership Medica n. 272 del 2009
La diminuzione dei medici non è legata alla difficoltà di accesso ai corsi universitari, ma alla demotivazione che ha ormai contagiato tutta la classe medica.
Quando nel 1949 mi iscrissi alla Facoltà di Medicina della Università di Milano gli studenti del primo anno di corso erano circa 200. Chiaramente al sesto anno di corso eravamo restati circa 70 iscritti, anche perché all'epoca c'era una severa valutazione del merito da parte dei docenti. In Lombardia oltre a Milano c'era anche l'Università di Pavia cui affluivano studenti da tutta la Regione e da altre varie Province italiane, all'epoca prive della Facoltà di Medicina.
Nel giro di pochi anni le cose cambiarono in maniera sostanziale, anche perché, con la Legge 685 del 1961 venne a mancare un filtro di notevole spessore rappresentato dal titolo di studio per accedere ai corsi di Medicina costituito all'epoca esclusivamente dal diploma di maturità classica o scientifica.
Le iscrizioni cominciarono a moltiplicarsi in maniera progressiva e gli spazi a disposizione degli studenti divennero sempre più ristretti per cui cominciarono a raddoppiare dapprima le aule e quindi anche le Facoltà. Per la sola Lombardia a Milano si inventarono i Poli Universitari moltiplicando per quattro la Facoltà di Medicina e subito dopo nacquero anche le Facoltà di Medicina a Brescia - Varese - Monza mentre a Milano nacque anche una Facoltà di Medicina privata presso l'Istituto Vita e Salute San Raffaele. Naturalmente lo stesso fenomeno si sviluppò anche nelle altre Regioni italiane e, per restare sempre nell'ambito di Milano, ad esempio, venne istituita la Facoltà di Medicina anche a Novara che pur essendo in Piemonte confina direttamente con Milano. Negli anni '70, nella sola Facoltà di Medicina della Università statale di Milano si contavano 2000 iscritti al primo anno. La frequenza nelle aule universitarie era diventata problematica e quella al letto del malato, importantissima per un laureando in medicina, pressoché nulla. Naturalmente non tutti si laureavano, ma i numeri di nuovi Medici che si iscrivevano agli Ordini cominciavano a moltiplicarsi. Negli anni '80 scoppiò il fenomeno della "pletora medica" . Ormai docenti, politici, Istituzioni e soprattutto giovani neo laureati si ponevano il problema della pletora Giovani medici che si affacciavano alla professione medica senza aver mai visto da vicino un malato, senza aver mai ascoltato un cuore, senza aver mai palpato un fegato, con una preparazione puramente teorica, ma abilitati a fare qualsiasi intervento medico-chirurgico.
Sul piano operativo era materialmente impossibile consentire a tutti i medici la possibilità di iniziare una attività, imponendo dei tempi lunghissimi per iniziare a svolgere una qualsiasi forma di specializzazione medica, anche in medicina generale. Nelle liste di aspiranti ad un semplice posto di medico convenzionato con il Servizio Sanitario, c'era una fila di candidati per i quali l'unico punto di precedenza in graduatoria, ad esempio, tra 50 medici laureati tutti contemporaneamente e tutti con 110 e lode, era rappresentato solo dalla data di nascita. Bastava essere nato un giorno prima!
Evidentemente in quelle condizioni c'era un reale decadimento della professionalità dei nuovi medici ed una materiale impossibilità di risolvere il problema senza mettere mano alla normativa Universitaria.
Nei primi anni '90 alcune Facoltà prestigiose cercarono di introdurre surrettiziamente una programmazione del numero di studenti che potevano accedere al corso, ma chiaramente, in assenza di norme precise, gli esclusi ricorrevano sistematicamente ai T.A.R. ottenendo l'iscrizione di autorità.
Finalmente nel 1999 con la Legge 264 venne promulgata dal Parlamento Italiano, anche su sollecitazione degli altri Stati Europei che subivano anche essi la pressione della pletora italiana, una norma che limitava l'accesso ai corsi di laurea per i quali l'ordinamento didattico preveda l'utilizzazione di laboratori ad alta specializzazione, di sistemi informatici e tecnologici o comunque di posti-studio personalizzati. E' inutile dire che la norma ha avuto tutta una serie di opposizioni e ricorsi, anche alla Corte Costituzionale, ma comunque resta ancora vigente oggi. Chiaramente un risultato concreto alla soluzione del problema non si è ancora visto, ma certamente il numero dei nuovi iscritti agli Ordini Provinciali dei Medici hanno invertito il trend e cominciano a diminuire, anche se occorrerà attendere ancora anni per rientrare nei parametri medi europei. Naturalmente la semplice diminuzione di nuovi iscritti agli Ordini sta già mobilitando una serie di Cassandre che cominciano a ipotizzare una mancanza di medici in futuro, soprattutto per la medicina generale. Purtroppo non è un semplice problema di numero. Adesso il bicchiere ha toccato il fondo ed i giovani non trovano più le motivazioni per correre a svolgere una attività che non li qualifica sul pia no professionale. Esiste una catena che parte dalla medicina universitaria, passa dalla medicina ospedaliera, attraversa la medicina specialistica e arriva alla medicina generale in cui tutto è stato massificato e condotto ad una venale questione di budget. Gli Ordini dei Medici sono assenti e la professionalità viene superata dalla necessità di dare il massimo in termini quantitativi anziché qualitativi. Esistono a tutti i livelli strutture convenzionate che adoperano i medici con contratti di collaborazione che pur prevedendo orari di lavoro e gerarchie interne, non sono considerati dipendenti e quindi non hanno un contratto della dipendenza e non sono considerati liberi professionisti e quindi non vengono pagati sulla base delle tariffe di libera professione che dovrebbe essere tutelata dagli Ordini dei Medici. È evidente che in queste condizioni la professione del medico ha perso la sua carica umana che costituiva un fattore stimolante per tutti quei giovani che possedevano una forte motivazione solidale. Naturalmente la figura che risente maggiormente di questo calo di partecipazione è quella del medico di medicina generale, trasformato ormai in un travet amanuense da una burocrazia che ne limita la autonomia e lo carica di responsabilità. Ma gli ospedalieri non stanno meglio, obbligati a muoversi con il vincolo operativo dei D.R.G., DIAGNOSIS RELATED GROUP e spinti dalle Aziende a contribuire a far salire il proprio budget, moltiplicando a dismisura le prestazioni, vengono trasformati in robot guardando solo alla quantità e non alla qualità.
La diminuzione dei medici che scelgono di entrare nel circuito del Servizio Sanitario non è perciò legata alla difficoltà di accesso ai corsi universitari, ma alla demotivazione che ha ormai contagiato tutta la classe medica.
Se si vuole perciò rimettere in movimento il numero di medici disposti a far parte del sistema, non occorre rivolgersi al mercato straniero, come da qualcuno ipotizzato, ma occorre ricostituire quella professionalità nei medici, ormai mortificata dal Sistema.
Amedeo Pavone