Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 272 del 2009

A seguito dei numerosi emendamenti condivisi dalle Commissioni riunite del Senato, verrebbero insediati nel testo del DDL approvato dal Governo il 3 ottobre 2008: IL PATTO DI CONVERGENZA E LA PEREQUAZIONE INFRASTRUTTURALE

Si assiste oggi, più esattamente a seguito della rubricazione del testo al Senato (A.S. n. 1117) del DDL delega licenziato dall'Esecutivo e, quindi, dell'inizio del suo esame, ad un intensificarsi del confronto sul federalismo fiscale. Il lavoro, intrapreso e portato avanti dalle Commissioni competenti riunite (Affari costituzionali, Bilancio e Finanze) del medesimo organo parlamentare della Repubblica, ne ha incentivato il confronto e lo ha reso massimamente partecipativo. Una siffatta metodologia istituzionale sta favorendo il formarsi di una analisi di significativo spessore concertativo, certamente stimolata e arricchita dalle conclusioni cui sono pervenute le audizioni pubbliche di autorevoli giuristi accademici1. Ad elevare la portata dello scrutinio hanno, altresì, notevolmente contribuito le apprezzabili considerazioni contenute nei dossier dei Servizi studi del Senato e della Camera, resi noti nei mesi di ottobre-dicembre 2008, che hanno costituito e costituiscono strumenti di fondamentale importanza per chi già si occupa ovvero per chi intende interessarsi di federalismo fiscale, sotto il profilo della ricerca tecnico-scientifica. In tale fase del procedimento legislativo sì è così, in parte, colmato quel vuoto dialettico, registratosi inspiegabilmente, a partire dalla fine del 2001 e protrattosi sino al licenziamento del  DDL delega da parte del Governo, avvenuto il 3 ottobre 2008, che ha impedito il generarsi di quel genuino contraddittorio che il federalismo fiscale e le sue fasi applicative meritavano e meritano, atteso che da queste ultime dipendevano e dipenderanno le sorti del funzionamento della Pubblica amministrazione e, con essa, della qualità della vita dei cittadini.

Proprio per la fondamentale importanza che un simile appuntamento legislativo rivestiva si sarebbe dovuto, sin dalla primogenitura della originaria ipotesi Calderoli, incentivarne la più diffusa discussione. Ciò allo scopo di far divenire la materia oggetto di analisi collettiva, ovverosia posta all'attenzione di "un pubblico" più allargato, inteso quest'ultimo come l'insieme delle istituzioni pubbliche e private, del mondo produttivo, del sindacato e dell'associazionismo, del no profit e delle università. Se ne è, invece, discusso poco nella "scuola" ad ogni livello e grado, e allorquando accaduto lo si è fatto confusamente e in modo disorganico; è stato scarno il confronto nelle associazioni categoriali, rappresentative dei lavoratori e dell'impresa; se ne è interessato poco il terzo settore e, più in generale, il mondo del volontariato, nonostante esso stia divenendo sempre di più protagonista attivo nella società produttiva; lo ha trascurato, quasi completamente, l'associazionismo ad ogni livello, ivi compreso quello rappresentativo dei consumatori, i quali costituiscono l'utenza sostanziale dei diritti di cittadinanza in gioco. Anche l'informazione, al di là di quella squisitamente economica2, ha destinato poco spazio all'analisi tecnico-scientifica su ciò che stava via via accadendo, benché gli interessi diffusi in gioco, forse perché convinta che, ancora una volta, i tempi di realizzazione sarebbero stati più lunghi di quelli, invece, registrati nell'ultimo periodo. Un errore di ipotesi, questo, che è costato tantissimo in termini di generale consapevolezza sull'argomento "federalismo fiscale" e di quel confronto utile a far sì che i cittadini - reali destinatari dei suoi effetti economici e, quindi, di "usufruttuari" dei relativi servizi/prestazioni essenziali - fossero messi in grado di valutare i percorsi frequentati dagli attori istituzionali e i rischi, reali e latenti, di inesigibilità dei loro diritti civili e sociali, costituzionalmente sanciti.

Dunque, una buona occasione perduta per allargare il più possibile quella partecipazione che si sarebbe resa indispensabile per favorire una ricerca consapevole ed estesa sulle forme e sulle modalità massimamente garanti della certezza della godibilità, da parte dei cittadini, dei diritti costituzionalmente protetti.

Nonostante questo, può ben affermarsi che il testo del DDL pervenuto all'esame del Senato, soprattutto con le modifiche e le integrazioni recate nella cosiddetta "bozza numero 3 del Relatore" del 22 dicembre 20083, rappresenta complessivamente un buon elaborato. Una ipotesi legislativa strumentalmente divenuta, nel suo percorso zeppo di emendamenti condivisi, una soluzione "ad ampio spettro", come quegli antibiotici che, per essere certi di debellare le malattie (rectius, di soddisfare le aspettative), intervengono indistintamente su tutti i diversi ceppi di batteri (rectius, soddisfano le diverse istanze della politica). E' accaduto così che il suddetto testo è venuto a candidarsi, nel consenso quasi unanime, come strumento utile:

  1. a) per calmierare, da una parte, le eccessive spinte di autonomia finanziaria, insite nelle dichiarazioni post-elettorali di Bossi, poi mitigate nel disegno di legge della Lombardia e "tradotte" da Calderoli per soddisfare le istanze della politica bipartisan;
  2. b) per garantire, dall'altro, le "pretese" di perequazione sostenute, invero alquanto moderatamente, dalle Regioni "a minore capacità fiscale per abitante".

Soprattutto quelle Regioni che, proprio perché espressione del più elevato fabbisogno sociale da soddisfare, avranno serie difficoltà a garantire, in favore dei propri amministrati, l'erogazione delle prestazioni essenziali ai costi standard, comunque essi vengano valorizzati. Ciò in quanto tali Regioni costituiscono quel segmento del sistema autonomistico territoriale, rimasto indietro nella qualità dell'offerta istituzionale, anche per gli scarsi investimenti effettuati in termini di ammodernamento tecnologico. Un handicap venutosi principalmente a determinare a causa di una classe dirigente regionale e locale che si è resa responsabile delle ben note continue diseconomie. Ci si riferisce a quelle gestioni dissennate che hanno prodotto disavanzi ricorrenti, oramai strutturali, che hanno costituito il maggiore ostacolo alla crescita e allo sviluppo. Un limite, questo, che peserà sensibilmente nel percorso di risanamento economico cui le medesime sono e saranno tenute. Obiettivi, questi ultimi, non traguardabili senza il ricorso assennato ad interventi aggiuntivi e/o speciali all'uopo destinati. Una opzione, questa appena sollecitata, che dovrà contribuire anche al ripianamento degli enormi deficit accumulati in materia sanitaria, da dover conseguire nella contemporaneità dell'ingresso a regime dell'introducendo criterio dei costi standard, ancorché differito nel suo esordio, atteso che dovranno in ogni modo essere garantite le prestazioni essenziali in favore dei cittadini. In quest'ottica vanno analizzate alcune integrazioni emendative intervenute rispetto al testo licenziato dal Governo, soprattutto quei precetti intesi ad individuare e ad insediare nell'ordinamento particolari meccanismi: alcuni, tendenti, in sede di prima applicazione del federalismo fiscale, a favorire l'insediamento del criterio dei costi standard in sostituzione della spesa storica; altri a contribuire al riequilibrio patrimoniale, in particolare di quello cosiddetto produttivo, propedeutico a garantire, nel medio periodo, l'equilibrio qualitativo e l'uniformità dei livelli essenziali delle prestazioni, relative ai diritti civili e sociali, da erogare ai cittadini su tutto il territorio nazionale. Tra questi, si è ritenuto soffermarsi due articoli che rappresentano entrambi delle new entry rispetto al testo condiviso dal Governo lo scorso ottobre 2008:

  • l'articolo 15 bis, che individua un percorso dinamico denominato "patto di convergenza" ai costi e ai fabbisogni ordinari, propedeutico a realizzare un sistema coordinato di regolazione multi-livello, di governance multi-level. Un tracciato convenzionale operativo e mirato4, individuato (dal Partito Democratico che lo vorrebbe però insediato, a regime, nella legge finanziaria) per instaurare, all'interno del Documento annuale di programmazione economico-finanziaria (Dpef), un meccanismo-percorso dinamico di riequilibrio economico-patrimoniale, preparatorio all'accompagnamento graduale, soprattutto delle Regioni, verso la sostanziale e corretta introduzione dei criteri fissati nell'istituendo rapporto costi/fabbisogni, entrambi standard. Tale strumento di programmazione, così come desumibile dalla lettera (pre)normativa, andrebbe a funzionare per ogni livello di governo territoriale nella preventivazione dei saldi da rispettare, sia in sede di bilancio di previsione che di rendiconto, nella pre-definizione dei livelli di ricorso al debito e alla pressione fiscale complessiva. Insomma, una sorta di "linea guida" autorevole, destinata al sistema autonomistico territoriale, che sancisca i comportamenti economico-gestionali da tenere nell'esercizio delle loro funzioni ordinarie, "volto ad accertare (in difetto) le cause degli scostamenti e stabilire le azioni correttive da intraprendere, anche fornendo agli enti la necessaria assistenza tecnica e utilizzando, ove possibile, il metodo della diffusione delle migliori pratiche" collaborative tra le burocrazie di pari livello.
    A ben vedere, nella ipotesi di mancato rispetto degli obblighi da parte delle Istituzioni destinatarie (Regioni, città me- legge n. 131 del 5 giugno 2003 (la c.d. La Loggia)5;
  • l'articolo 18 bis che insedia, limitatamente alla fase transitoria6, la cosiddetta perequa- zione infrastrutturale7.

Una disposizione ad hoc che prevede la ricognizione di tutti i deficit infrastrutturali, relativi alla rete viaria e ferroviaria, alle reti idriche ed elettriche, nonché alla distribuzione del gas e alle strutture portuali/aeroportuali, intesa a rimuovere tutti i gap territoriali esistenti.

Un modo, questo, per rimediare - attraverso una politica una tantum degli investimenti, da tracciare nel Dpef - alle differenze sostanziali esistenti nel Paese in termine di capitale fisso sociale, che costituiscono spesso la causa di una economia che corre a velocità differenziate per territorio. Una soluzione, quella individuata, che si ritiene, ancorché apprezzabile sotto il profilo degli obiettivi concreti che si pone, inadeguata sotto il profilo concettuale e procedurale. Non si comprende, infatti, dal momento che la stessa riconduce i siffatti interventi nell'ambito delle risorse aggiuntive e di quelli speciali di cui al comma 5 del novellato articolo 119 della Costituzione, come possano i bisogni strutturali essere accertati e soddisfatti attraverso l'applicazione di una norma transitoria e non già di una disciplina a regime ordinario. Le differenze infrastrutturali esistenti, proprio perché hanno fino ad oggi impedito uno sviluppo economico equamente diffuso, necessitano infatti di un obiettivo accertamento di carattere ricognitivo e di una particolare attenzione sulle soluzioni praticabili, nonché di un loro attento monitoraggio, il tutto in stretto rapporto con le risorse aggiuntive e la specialità degli interventi economici individuate dalla Costituzione per sopperire ai ritardi di sviluppo, per rimuovere le differenze di effettivo esercizio dei diritti afferenti la persona e gli squilibri economici e sociali. Sotto il profilo più strettamente concettuale non si comprende una fondamentale dimenticanza del legislatore. Essa riguarda la trascuratezza generale inerente le carenze infrastrutturali e strutturali che afferiscono al sistema sanitario, afflitto da insanabili differenze sostanziali, rinvenibili nel patrimonio immobiliare e tecnologico posseduto particolarmente dai Regioni meridionali, spesso fatiscente e obsoleto in termini assoluti. Un discrimen patrimoniale che, il più delle volte, costituisce causa ex se dei disservizi prestazionali che determinano la mobilità passiva che tutto il Mezzogiorno retribuisce, in termini pressoché miliardari, in favore di ben individuate aree del nord e del centro del Paese. Un problema, questo, che ha rappresentato una delle più rilevanti concause dell'accumulo degli enormi extra-deficit accertati in otto regioni, non solo meridionali, nei confronti delle quali sono stati previsti e sono da prevedere interventi agevolativi per ripianare l'enormità dei debiti pregressi accertati e ancora da accertare. Anche questo ultimo problema - proprio perché da esso dipenderanno le sorti dei servizi e delle prestazioni essenziali da rendere esigibili ai cittadini, più esattamente quelli da garantire con la perequazione del 100% indipendentemente dalla determinazione delle formule relative ai costi standard - deve essere affrontato in sede di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione. Dunque, non è trascurabile una ipotesi di perequazione straordinaria da garantire a copertura di una siffatta posizione debitoria miliardaria delle Regioni in materia sanitaria, proprio perché da questo dipenderà l'esordio del federalismo fiscale e, con esso, la portata dei livelli essenziali delle prestazioni socio-sanitarie che la Costituzione impone su tutto il territorio nazionale. Una grave disattenzione normativa in tal senso creerebbe delle situazioni così differenziate da impedire l'esigibilità, uniforme e universale, delle prestazioni riferite ai diritti sociali, primo fra tutti il diritto alla salute, con grave nocumento per i cittadini residenti nelle Regioni colpevolmente indebitate.

Prof. Ettore Jorio
Professore di diritto amministrativo sanitario presso la facoltà di Scienze
Politiche dell'Università della Calabria - Unical

Note

1. Al riguardo sono stati redatti dal Senato della Repubblica n. 6 elaborati, numerati progressivamente, contenenti il resoconto stenografico del dibattito registratosi nelle Commissioni riunite (la 1a: Affari costituzionali, affari della presidenza del Consiglio e dell'Interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione; la 5a: Programmazione economica, bilancio; infine, la 6a: Finanze e tesoro), nonché diffuse le audizioni dell'ANCI-UPI, della Banca d'Italia, dell'ISAE, dell'ISTAT, della CGIL, dell'UIL, della Legautonomie. Sono state, altresì, programmate e pubblicate le relazioni accademiche tenute, tra l'altro, al Senato dai professori V. Cerulli Irelli, G.C. De Martin, T. Groppi e A. Zanardi.
2. In specie, IlSole24Ore con i numerosi e qualificati articoli dei giornalisti R. Turno, E. Bruno, D. Pesole, G. Trovati, D. Colombo e degli spazi messi a disposizione di illustri accademici del tipo E. De Mita e M. Bordigon.
3. Un testo, da ultimo, composto da articoli numerati progressivamente da 1 a 22, fatta salva la cancellazione di quello rubricato al n. 13, arricchito da altri n. 6 articoli di nuovo inserimento (2-bis, 4-bis, 15-bis, 18-bis, ter e quater).
4. Bruno E., Federalismo a regime in 9 anni, in IlSole24Ore, 19 dicembre 2008;
5. Jorio E., Prime osservazioni sull'esercizio del potere legislativo da parte dei Commissaria ad acta, e Dickmann R., Sull'esercizio del 'potere legislativo' a titolo sostitutivo da parte dei commissari ad acta, ivi, n. 14, 2008.
6. Bassanini F., Macciotta G., Il disegno di legge sulla attuazione del federalismo fiscale all'esame del Senato. Osservazione e rilievi sul testo del relatore, in Astrid, 2009.
7. Jorio E., Il federalismo fiscale esige un eguale punto di partenza. Una prima lettura della proposta Calderoli, ivi, n. 16, 2008.