da Leadership Medica n. 1 del 2000
Negli anni in cui il Regime Sovietico imperava, una giovane italiana che lavorava presso l'Ambasciata a Mosca conobbe e sposò un giovane ingegnere russo e riuscì persino ad ottenere l'autorizzazione a portare lo sposo in Italia, per conoscere i suoi genitori che vivevano a Milano.
La cosa, già difficile per quei tempi, divenne ancora più complessa quando la sposa dovette convincere il marito a salire in macchina per recarsi a Bergamo a conoscere una zia, senza dover sottostare all'obbligo di andare al Comando di Polizia di Milano per notificare il fatto.
Ci volle del bello e del buono per convincere il marito che sulle strade italiane si poteva circolare liberamente.
Probabilmente, specificandone il motivo, anche in Russia gli avrebbero consentito di andare a salutare la zia. Forse sarebbe stato libero di andarci, ma non era la stessa cosa.
Da un po' di tempo nella Sanità italiana si respira la stessa aria: il dirigismo del Ministero della Sanità è tutto ammantato di note CUF sulla prescrivibilità di farmaci, protocolli, incompatibilità dei medici a fare ancora il medico quando, terminato l'orario di lavoro, ne avessero ancora voglia, linee guida sui percorsi diagnostici e terapeutici e di quant'altro occorre per contingentare la spesa sanitaria a quelli che sono i quattrini che il Servizio ha destinato a quel capitolo di spesa.
Un medico che ha in cura un paziente con gastroduodenite ulcerosa è libero di prescrivergli la ranitidina a condizione che "il trattamento sia limitato a solo quattro settimane, occasionalmente (?) sei, che la forma sia HP+, che si accompagni a un trattamento eradicante dell'HP per le prime due settimane, oppure che si tratti di gastrite cronica severa, istologicamente documentata, associata a dispepsia similulcerosa, persistente da almeno sei mesi...etc.."
Naturalmente questa non è che una parte di una delle oltre 70 note CUF che il medico, "libero" ma con la pistola puntata alla nuca deve osservare. A questo punto non penso sia più il caso di parlare di libertà del medico: qui l'attentato è puramente alla "LIBERTA".
Attentato alla libertà del cittadino, obbligato a vivere in un regime che impedisce al medico, sia pure con una violenza psicologica, di operare secondo criteri di scelta scientifica acquisita personalmente, e al paziente di essere curato con metodi svincolati da interpretazioni di Commissioni, Comitati, Società scientifiche dalle visioni talvolta limitate, in un'epoca in cui qualsiasi medico diligente e preparato è in grado di acquisire, pressoché in tempo reale, notizie di nuovi metodi terapeutici, sulle ali di Internet, senza necessitare di autorizzazioni ministeriali.
Ma evidentemente i nostri Ministri, che con i miei soldi girano il mondo, hanno una visione provinciale e rigida della Sanità ed hanno bisogno di procedure e tempi lunghissimi per assimilare progressi scientifici già applicati in altre parti del mondo.
Decidono loro, da un giorno all'altro, fino a che età devi lavorare, come ti devi muovere in Ospedale, se puoi o meno esercitare la libera professione e dove: se intra o extra moenia; quanti pazienti puoi curare, come, dove, quanto li devi curare e via di seguito.
Salvo poi imbattersi in un giudice del lavoro che, di fronte alla richiesta di 93 medici di La Spezia, che ricorrevano avverso il provvedimento che imponeva loro una scelta rapida sulla libera professione intra o extra muraria, nel respingere il provvedimento dell'Ospedale, stabilisce che: "Non si può pretendere di obbligare persone ad assumere una scelta così importante, anzi decisiva e non modificabile, senza prima dare contezza di quali concrete realtà e situazioni sono state attivate".
Sembrerebbe una sentenza scritta per i 93 ricorrenti, ma se la si esamina attentamente si evince facilmente che è riferita al fatto che si pretende di "obbligare delle persone" a fare delle "scelte", indipendentemente dal fatto che siano medici.
A tutti i medici che operavano in quell'Ospedale dovevano dare contezza di che cosa era stato predisposto concretamente per ciascuno di essi, e non imporre delle scelte irreversibili solo sulla base di una bozza di regolamento per la disciplina della attività libero professionale intramuraria inviata alle Organizzazioni Sindacali.
Il concetto di "Libertà" non può essere contrattato a livello sindacale. Solo nei regimi centralisti in cui tutto è statalizzato, si possono imporre norme liberticide da un giorno all'altro ignorando i diritti dei cittadini.
Guai a non accorgersi di certi cedimenti su valori di vitale importanza per la vita democratica. Prima o poi ci si trova tutti imbavagliati, senza neppure poter esprimere le proprie critiche.
Amedeo Pavone