da Leadership Medica n. 273 del 2009
L’inizio e la fine della vita umana pongono domande di natura etica: come definire la vita umana, quando ha inizio, quando ha fine?
Esercitare la medicina oggi è divenuto sempre più impegnativo sul piano professionale in considerazione del fatto che gli strumenti di cui dispone un medico del terzo millennio aprono orizzonti sino a qualche decennio fa impensabili.
I problemi etici della pratica medica sono balzati da tempo su tutte le pagine dei giornali e delle televisioni di ogni angolo del mondo.
Anche nella lontana Australia si dibatte alla radio il problema del caso di Eluana Englaro in Italia.
Ma perché dopo secoli di un diuturno lavoro in silenzio dei medici nel mondo, ora si affaccia prepotentemente questa esigenza di affrontare il problema dell'etica dell'atto medico?
In passato si combatteva soprattutto con le malattie infettive che mettevano a grave rischio la vita del paziente ed il medico veniva visto come un operatore tecnico scientifico che aveva il compito precipuo di intervenire con il suo sapere per salvare la vita di un paziente affetto da una grave patologia.
Attualmente le discussioni sull'etica nella medicina sono particolarmente intense in tutti i settori in cui operano i medici di oggi.
La diagnosi prenatale, l'inseminazione artificiale e la ricerca sulla genetica umana con tutto il corollario delle cellule staminali embrionali e adulte, il cosiddetto diritto all'aborto volontario, il trapianto di organi con la necessità di espianto a cuore battente, la decisione di proseguire o sospendere un trattamento terapeutico, il consenso informato dei pazienti, la sperimentazione dei farmaci sull'uomo i test genetici, la diagnostica prenatale, la procreazione medicalmente assistita, l'obiezione di coscienza sanitaria, le dichiarazioni anticipate di volontà dei pazienti hanno posto domande di natura etica ed hanno richiesto delle risposte diversificate, che investono anche il terreno giuridico. Ma il problema non è solo di natura giuridica e non va certo affrontato in termini giudiziari, così come sta accadendo nel caso Englaro in cui vi è una disputa tra le varie Sezioni della Magistratura che decretano se e in che modo deve essere sospesa l'alimentazione attraverso un sondino ad un paziente non in grado di deglutire per una grave patologia.
Oggi i temi da affrontare non sono solo questi che hanno un carattere di eccezionalità, ma sono quelli riferiti alla realtà quotidiana della pratica medica, la diagnostica e le terapie in ogni campo che impongono decisioni e risposte etiche.
- La diagnosi: è giusto comunicarla ad un malato e come bisogna comunicargliela?
- La fine di una vita; è giusto posticipare attraverso interventi terapeutici, anche se è chiaro a tutte le persone coinvolte che con tali interventi non si arriverà a risultati concreti dal punto di vista medico e che una vita umana comunque si sta spegnendo?
- L'inizio e la fine della vita umana pongono domande di natura etica: come definire la vita umana, quando ha inizio, quando ha fine?
- Si parla di una morte cerebrale, ma è valido il concetto di morte cerebrale in un soggetto ancora vivo?
Le domande che si pongono, sulla base della sola medicina, da un punto di vista scientifico, non possono trovare una risposta facilmente accettabile.
Il progresso della medicina ha portato a dei risultati tali da richiedere decisioni di natura non medica, bensì filosofica se non addirittura teologica.
Al medico è affidato un bene assai alto, la vita: con esso è collegato strettamente il comportamento rispetto alla morte e al dolore; inoltre, occorre aggiungere che la relazione tra il medico ed il paziente è disarmonica: la vera responsabilità per la diagnosi e la terapia spetta al medico anche se il problema dell'etica non va affrontato solo dal punto di vista medico: esiste infatti un coinvolgimento di gestione dei problemi da affrontare formato dal medico, dal paziente e dalla società.
Il medico è in relazione in primo luogo con il paziente, in secondo luogo con la società, e infine anche con altri medici, con i suoi colleghi e con la medicina che comporta sia doveri sia diritti, quindi presenta aspetti etici.
Il medico ha l'obbligo di informare il paziente, di dirgli la verità, ma ha anche un obbligo etico rispetto alla società: per esempio, nel caso di malattie infettive in cui ha il dovere di proteggere la società dal contagio.
Il paziente ha nei confronti del medico degli obblighi etici in quanto deve apertamente comunicare al medico i suoi precedenti morbosi e , se le approva, prendere sul serio le sue indicazioni terapeutiche.
La società ha l'obbligo di sorvegliare, ma anche di supportare l'opera del medico che non può essere lasciato solo per affrontare problemi tanto delicati, così come è dovere di parenti e amici del malato di non lasciarlo solo nelle sue decisioni asserendo che sia compito del medico prendersi cura del loro congiunto specie nelle ultime ore di vita.
Certo la medicina moderna con le sue tecnologie avanzate ha portato sempre più gli operatori di questo settore ad avvicinarsi ai confini della stessa vita e a porre interrogativi che toccano problemi di scienza e fede.
Sicuramente il problema dell'etica medica in passato era meno sentito in quanto i concetti di assistenza medica erano pervasi da una diversa cultura che poneva alla base della attività medica sempre il rapporto umano tra medico e paziente.
Negli ultimi anni si è modificata la filosofia posta alla base della vita.
Si parla soprattutto di laicismo e di laicità: concetto che si inserisce in numerosi aspetti della cultura corrente
Dalla Costituzione della Repubblica alla Scuola, all'Università, alla Giustizia, alla Informazione, al Matrimonio, alla Famiglia, tutto deve essere affrontato guardando con la lente colorata della visione laica.
Sicuramente questo cambio di cultura si è introdotto , dapprima in punta di piedi, poi sempre più massicciamente anche nel mondo medico.
Basti pensare ai due momenti più importanti della vita umana: la nascita e la morte.
La morte diventa un "diritto" così come la stessa nascita di una nuova vita già concepita ed in attesa di vedere la luce , diventa una eventualità condizionata alla volontà del singolo.
Naturalmente, lentamente, come un tarlo che rode il legno, questa cultura che antepone la materia allo spirito ha roso l'impalcatura che tiene assieme tutto il Sistema Sanitario, creando un vero e proprio distacco tra curante e malato che diventa un numero, un codice del sistema informatico posto alla base dell'assistenza, un coefficiente della statistica che raccoglie i dati della patologia corrente.
A questo punto la vita non conta più, specie se il paziente è affetto da una patologia che, secondo il curante, è senza possibilità di recupero. La terapia diventa una semplice cura palliativa e pertanto concettualmente inutile per quel paziente.
Peraltro l'ampia libertà di prescrizione di oppiacei che curano e prevengono qualsiasi rischio di dolore, ma che con la loro nebbia offuscano la mente del paziente ed insieme ad essa offuscano la stessa diagnosi, staccano il circuito di connessione medico-malato.
Con questa interpretazione "laicista" della vita è facile scivolare in un automatismo operativo che non mette in alcun conto la vita umana e tutti i discorsi sull'etica medica e tanto meno l'antico aforisma Ippocratico: "Primum non nocere".
Amedeo Pavone