Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 2 del 2001

Nel corso degli ultimi anni il federalismo va sempre più prendendo forma e comincia a delinearsi una vera e propria Italia delle Regioni. Attraverso le numerose Leggi Nazionali e Regionali, si concretizza la politica che trasferisce sempre più competenze in materia sanitaria. Per la medicina generale si è giunti, con la Convenzione realizzata nell’ultimo triennio, ad una regionalizzazione sempre più rapida degli Accordi Nazionali. Ormai le trattative per il rinnovo degli Accordi si fanno a Roma, ma la controparte dei medici non è il Ministero della Sanità, ma le Regioni. I vari Assessori alla Sanità regionali nominano una delegazione ed un Presidente che conducono la trattativa a nome e per conto delle venti Regioni italiane e delle Province di Trento e Bolzano. Gli ultimi due contratti stipulati hanno previsto degli Accordi integrativi regionali da attuare in seguito a livello locale. Tutto ciò comporta dei tempi lunghissimi per la difficoltà di convocare le parti e riuscire a trovare un minimo comune denominatore accettato da tutti. Questo il motivo per cui ormai il calendario è diventato una formalità inutile, in quanto viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 230 del 2 ottobre 2000 un Accordo Collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale che decorre dal 1° gennaio 1998 e scade il 31 dicembre 2000. Vale a dire che una Convenzione della durata di un triennio viene decretata esattamente a tre mesi dalla fine del triennio. Certamente i tempi cambiano e chi scrive queste note può testimoniare per esperienza diretta (avendo avuto incarichi nell’Inam, Enpas, Inadel, poi nel Ministero in rappresentanza delle SAUB, infine nelle delegazioni regionali) e senza tema di smentite, che la situazione è andata sempre più deteriorandosi, sia nei tempi che negli stessi contenuti delle Convenzioni, appesantite da norme e cavilli burocratici che hanno di fatto tolto al medico la propria professionalità ed hanno dato agli assistiti una assistenza sempre più burocratizzata e sempre meno umana. A questo punto, in vista della nuova Legislatura, che, si presume, metterà sempre in maggiore evidenza il tema del federalismo, è normale chiedersi se si possa avere un Accordo per la Medicina Generale a carattere nazionale. Dato che la competenza è ormai delle Regioni, dato che le trattative devono essere condotte dalle Regioni e dato che le Convenzioni devono essere integrate da accordi regionali, sarebbe più coerente fare stipulare un proprio Accordo ad ogni regione senza disturbare le farraginose strutture romane. Certamente l’iter sarebbe più spedito, i tempi sarebbero rispettati senza assistere a quelle situazioni incresciose che costringono i medici a prendere decisioni importanti retroattivamente, ma sopratutto si potrebbe dare un’assistenza più consona alle esigenze dei cittadini di quella Regione, che non sempre collimano con quelle delle altre Regioni. Regioni come la Valle d’Aosta - che si estende su un vasto territorio con tutte le maggiori catene montuose e una popolazione sparsa su tutto il territorio - hanno problemi differenti rispetto a Regioni come Lazio o Lombardia, dove sono ubicate metropoli come Milano e Roma, molto inferiori per estensione ma nettamente superiori per densità di popolazione. E’ evidente che l’organizzazione del territorio e le esigenze dei cittadini si conoscono meglio in sede locale che in sede centrale. A questo punto ritengo non sia il caso di entrare nel merito del tipo di Federalismo che occorre introdurre nell’ordinamento dello Stato italiano, ma quello che non può essere accettabile è sicuramente quell’ibrido cui stiamo assistendo; per ragioni meramente politiche, si pubblicano delle Leggi in cui lo Stato non si assume le proprie competenze per non essere tacciato di antifederalismo e nello stesso tempo non si trasferiscono le competenze alle amministrazioni locali. Da una situazione come questa non può che derivare un danno per i medici, cattiva assistenza per i cittadini e disorganizzazione nelle strutture sanitarie.

Amedeo Pavone