da Leadership Medica n. 2 del 2000
Nella Sanità italiana, da un po' di tempo, non si fa altro che parlare di pubblico e privato.
Per la verità per il Ministro della Sanità, on. Rosy Bindi, esiste solo la parola pubblico, essendo affetta da una grave idiosincrasia per la parola privato che, pare, le dia allergia.
Ma come possiamo nella realtà distinguere con precisione ciò che è pubblico da ciò che è privato?
Nell'economia nazionale esistono precise distinzioni tra gestione e amministrazione di un servizio che può essere anche in contemporanea pubblico e privato: esistono in tutto il mondo ottimi servizi pubblici affidati a una gestione pubblica.
L'Italia degli anni '70, con la sua politica di voler condurre tutte le attività sotto l'egida statale, è poi stata maestra di trasferimenti di servizi privati nel pubblico, dall'energia agli alimentari, dalle Banche alle automobili, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, specialmente sul gigantesco debito pubblico.
La Sanità poi si deve occupare di una serie di servizi in cui la differenza tra pubblico e privato è molto sfumata. Esistono persino Ospedali di grosse dimensioni egregiamente gestiti da privati, così come esistono piccole strutture operative sul territorio gestite dal Servizio pubblico.
Nella Sanità in più si inserisce una terza via, piuttosto anomala nel campo dell'economia, che è quella delle prestazioni eseguite in convenzione.
In pratica questo vuol dire che di fatto esistono strutture private che funzionano con i soldi pubblici.
In origine questa terza via doveva servire solo ad evitare l'esborso di quattrini da parte degli assicurati dalle Casse Mutue: queste ultime si assumevano l'onere di pagare direttamente al professionista o alla struttura convenzionata, l'onorario della prestazione fornita al proprio assicurato.
Naturalmente poi si trattava di un rapporto a tre, ma di un duplice rapporto a due: assicurativo tra Cassa di malattia e proprio assicurato e professionale tra cliente e prestatore d'opera convenzionato che non aveva alcun rapporto diretto con la Cassa che fungeva solo da terzo pagante di una prestazione libero professionista eseguita nello spirito di un rapporto di fiducia cliente professionista.
Con la creazione del Servizio Sanitario Nazionale nato in quello spirito di statalizzazione di tutte le attività attinenti la tutela della salute, veniva di fatto abolito il concetto di assicurazione di malattia e quindi tutte le Casse ed Enti di assistenza e previdenza di malattie venivano assorbite e monopolizzate in un unico mega Servizio pubblico che finiva per snaturare il primitivo concetto di pubblico e privato.
Nelle Convenzioni poi il rapporto a due (medico-paziente), con un terzo pagante (Casse di Malattia) veniva trasformato in un rapporto ibrido tra pubblico e privato tra Servizio e professionista convenzionato che di fatto fornisce a tariffe scontate e a spese sue un servizio che non rientra né nella dipendenza (pubblico), né nella libera professione (privato).
Il caso più eclatante è quello del medico di medicina generale convenzionato che addirittura effettua visite mediche ambulatoriali e domiciliari con tariffe a forfait, cosa di dubbia legittimità, con quota pro capite, indipendentemente dal numero e dal tipo di prestazione eseguita.
Il risultato reso ancora più bruciante nella recente epidemia influenzale (... e meno male che si è trattato solo di influenza), è sotto gli occhi di tutti.
Il Servizio anziché assicurare ai propri assistiti una quota annuale per le prestazioni che potrebbero rendersi necessarie nel corso dell'anno, assicura loro, di fatto, le prestazioni che possono rientrare nella quota predeterminata in maniera forfettaria.
Sembrerebbe solo un giuoco di parole, ma non è così!
Finché le visite a domicilio del paziente rientreranno in una quota forfettizata, non sarà possibile garantire una buona assistenza domiciliare.
Il problema che si pone un Servizio statalizzato come quello Sanitario è quello di essere in grado di poter mettere sotto controllo, soprattutto sul piano finanziario, il fenomeno del libero accesso al proprio medico di fiducia da parte del paziente, sulla base delle proprie necessità che la vita moderna ha reso sempre più frequenti.
Ed allora si inventa una quota capitaria a forfait pagata al medico indipendentemente dal ricorso dell'assistito alle prestazioni di quel medico o della disponibilità del medico ad eseguire con diligenza tutte le prestazioni che gli verranno richieste.
Se il problema dovesse essere solo quello del controllo, ormai in tutto il mondo esistono i cosiddetti "call center" in grado di concentrare tutte le chiamate e smistarle poi al singolo medico, con una rapidità e una precisione anche contabile, di cui si può avvalere sia il medico che il Servizio.
Naturalmente a questo punto non resta che decidere, senza tentennamenti di sorta, cosa debba essere riservato al pubblico e cosa debba essere riservato al privato.
Occorre far chiarezza nella Sanità italiana partendo dal presupposto che non ha importanza che si parli di pubblico o privato, basta essere in grado di pagare le prestazioni per quello che si vuole che valgano, sia per la medicina generale, sia per la specialistica, sia per la medicina ospedaliera, intra od extra moenia che sia.
Dott. Amedeo Pavone