da Leadership Medica n. 5 del 2004
Sognare lucido vuol dire avventurarsi nei propri sogni conservando la lucidità della coscienza sveglia. Fino a una ventina di anni or sono questa possibilità veniva vigorosamente negata in base a un dogma neuroscientifico molto semplice: o si è svegli o si è nel sonno profondo o si sogna. Non si ammetteva che fosse possibile essere contemporaneamente in due stati di coscienza e, del resto, se i sogni potessero intrudere nella coscienza vigile si finirebbe in Pronto Soccorso ove lo psichiatra di guardia, sentita la descrizione di ciò che è successo, non esiterebbe a far diagnosi di delirio schizofrenico. La possibilità di trovarsi svegli nel sogno, invece, veniva liquidata pensando che fosse possibile sognare di star sognando. Eppure il sogno cosciente non solo era largamente noto ai parapsicologi che da un secolo raccoglievano nei Proceedings della Society for Psychical Research di Londra resoconti, segnalazioni e circostanze, ma anche agli psichiatri, ai neurologi e agli psicologi clinici perché si stima che circa il 20 per cento della popolazione abbia avuto almeno un sogno lucido nella vita e che tra costoro alcuni ne hanno uno al mese o più, ma la parapsicologia è sempre stata considerata una sorta di “pattumiera delle illusioni” e “sognare di star sognando” era considerata, appunto, un’illusione intraonirica. Nelle culture orientali, invece, il fenomeno non solo era (ed è) considerato normale, ma addirittura era (e lo è ancora) coltivato e sfruttato a fini religiosi, evolutivi e salvifici, come si dirà più avanti. Di fatto negli anni ’80 del secolo appena concluso, uno studente di medicina dell’Università di Stanford, Stephen LaBerge, chiese al suo professore di fisiologia, William Dement, il celebre onirologo che insieme ad Aserinsky e Kleitman negli anni ‘50 aveva descritto i REM, i movimenti oculari rapidi che caratterizzano il sonno con sogni, di fare la tesi di laurea sul sogno lucido.
Dement disse all’ingenuo studente che prima di accettare la sua proposta avrebbe dovuto convincerlo che il sogno lucido è una realtà fenomenica e non un’illusione intraonirica. LaBerge, che era (ed è) un sognatore lucido spontaneo, spiegò a Dement che malgrado nel sonno REM i muscoli striati siano in paralisi flaccida, completamente atonici, quelli estrinseci degli occhi (responsabili, appunto, dei REM), quelli della respirazione e quelli dell’orecchio medio, sono invece attivi e obbedienti al controllo volontario (eccetto, naturalmente, i muscoletti dell’orecchio medio che restano provvidenzialmente eccitabili dai rumori ambientali di modo che, uomini o animali, possano svegliarsi per del chiasso sospetto) e che perciò sarebbe stato possibile concordare un codice di comunicazione a base di movimenti oculari intenzionali mediante il quale il sognatore lucido fosse in grado di comunicare con un osservatore esterno. Lo stato REM si sarebbe, ovviamente, potuto accertare con le abituali registrazioni poligrafiche con le quali si valutano gli stadi del sonno. Detto fatto, Dement fece dormire LaBerge in laboratorio e quando sul poligrafo comparvero i segni della caduta del tono muscolare e i REM e l’onironauta eseguì il segnale concordato, otto movimenti consecutivi degli occhi da destra a sinistra, Dement dovette riconoscere di trovarsi di fronte a una dirompente novità negli studi sul sogno. Naturalmente, prima di pubblicare l’osservazione, l’esperimento venne doverosamente ripetuto un numero sufficiente di volte su un congruo numero di soggetti, ma, di fatto, la scoperta rappresentava l’opportunità di enormi progressi nello studio del sogno. Si aveva praticamente la metodica per indagare il mondo onirico “in diretta”, senza più risvegli “mirati”, imprecisioni metodologiche, dubbi interpretativi ed esasperanti controversie.
All’epoca l’onirologia stava segnando il passo. La neurofisiologia aveva pressoché finito di identificare i nuclei, i neuroni e i mediatori chimici che regolano il sonno e il sogno. La psicofisiologia, anche se con possibilità sperimentali molto limitate perché gli animali da esperimento non possono parlare e gli esperimenti cruenti sull’uomo sono impossibili, aveva cercato di risolvere problemi apparentemente minori, quali il significato funzionale dei REM (proprio Dement aveva proposto che tali movimenti corrispondano all’esplorazione visiva che il sognatore farebbe delle scene oniriche, proposta nota con il nome di “scanning hypothesis”) oppure la valutazione soggettiva della durata dei sogni, ma anche problemi più corposi, quali l’incorporazione nella trama del sogno di segnali ambientali o sensoriali, oppure il reale grado di isolamento del cervello dalla realtà esterna. Si era cominciata a studiare la neuropsicologia del sogno, cercando di capire la processualità cognitiva del pensiero onirico e, quindi, di mettere a punto meglio il concetto di “processo primario” col quale Freud aveva definito l’attività mentale che caratterizza i sogni, oppure si era cercato di chiarire quanto e come vari stimoli uditivi che raggiungono la coscienza onirica influiscano sulla canovaccio del sogno. La stasi maggiore nell’avanzamento delle conoscenze, tuttavia, si era verificata soprattutto negli studi sulla psicologia del sognare e i problemi irrisolti sembravano destinati a rimanere tali indefinitamente. Hobson e McCarley, con la loro ipotesi che il cervello fosse “un generatore casuale di sogni”, avevano tentato di mettere in discussione la teoria psicoanalitica, suscitando un vespaio di polemiche e di acidi commenti e sebbene la proposta non fosse del tutto gratuita, fu accolta più come una provocazione che come un serio tentativo di risolvere dubbi e incertezze che neppure le teorie di Freud avevano chiarito. In sostanza Hobson e McCarley sostenevano che le PGO (onde ponto-genicolo-occipitali, ovvero quelle onde di potenziale che costituiscono uno degli eventi fasici più vistosi del sonno REM) agissero come attivatori casuali di frammenti mnemonici che, entrando nella coscienza onirica, venivano vissuti come sogni.
Le PGO, attivando prima di tutto i nuclei oculomotori sono, di fatto, le generatrici dei REM e poiché invadono praticamente tutto il cervello, è plausibile pensare che, similmente ai nuclei oculomotori, attivino in maniera completamente casuale anche strutture contenenti memorie sensoriali, motorie o esperienziali. In seguito a tali stimolazioni, nella coscienza onirica intruderebbero caoticamente spezzoni di vita vissuta, frammenti di spettacoli cinematografici, paesaggi, persone, situazioni traumatiche, oggetti di desiderio, e così via, di per sé privi di senso ma che la coscienza onirica tenterebbe di organizzare in un costrutto dotato di significato. Si capisce quanto questa idea irritasse gli psicoanalisti per i quali l’interpretazione dei sogni rimane “la via maestra per esplorare l’inconscio”. E tuttavia, anni di studio dei protocolli onirici sperimentali avevano dimostrato notevoli punti deboli della teoria freudiana: i sogni erotici manifesti sono una percentuale irrisoria (meno del 4 per cento) delle esperienze oniriche; la maggior parte dei sogni hanno contenuti assolutamente banali, del tutto simili ai contenuti della coscienza ordinaria, come se il cervello continuasse anche nel sogno il chiacchericcio diurno sicchè per molti studiosi del sogno l’appagamento onirico di desideri inconfessabili era più un costrutto inventato dalle forzose interpretazioni degli analisti che un reale lavoro dell’inconscio; molti psicologi sperimentali, di formazione diversa da quella psicoanalitica, come i cognitivisti, attribuivano al sogno funzioni molto lontane da quelle proposte da Freud. Perfino il concetto di inconscio stava subendo revisioni e rimaneggiamenti, per non parlare dell’idea che la coscienza onirica emerga da una regressione a stadi primordiali dello sviluppo del pensiero. Le ultime perplessità le avevano create gli studi sui cervelli commissurotomizzati e cioè sui cervelli nei quali erano stati interrotti i collegamenti tra i due emisferi. Tali studi avevano indotto a concludere che l’emisfero “minore”, il destro, tende a pensare abitualmente in modo “primario” e che, se nel sogno si realizza un’inversione della dominanza emisferica, non c’è nessuna regressione ma semplicemente un cambiamento del regime cognitivo, un modo diverso di elaborazione delle informazioni. Come in tutte le discussioni, gli opposti contendenti avevano buoni argomenti per sostenere le loro idee, ma il fatto è che tali discussioni dimostravano l’invecchiamento e la stanchezza dell’impianto freudiano e il sogno lucido arrivava come lo strumento ideale per uscire dalle circolarità polemiche e ricominciare gli studi da un’angolatura del tutto nuova.
La caratteristica più dirompente del sogno cosciente è che il sognatore può decidere quale sogno fare, se parteciparvi come protagonista o assistervi come spettatore, se interromperne uno già cominciato e sostituirlo con un altro, cambiare il finale, scegliere i coprotagonisti maschili e femminili, soddisfare qualunque desiderio o vivere ogni sorta di avventure ma anche risolvere problemi, eliminare incubi ricorrenti o liberarsi di ricordi traumatici.
In pratica è come se si diventasse proprietari della più favolosa casa di produzione cinematografica che si possa immaginare.
Questa caratteristica sembrerebbe confermare uno dei cardini della psicologia psicoanalitica e cioè che i sogni servano ad appagare desideri. Tuttavia si tratta di una conferma parziale, nel senso che i sogni non appagano fondamentalmente desideri sessuali inammissibili dai codici morali della coscienza ordinaria, ma semplicemente i desideri che hanno più potenza nella coscienza del sognatore. Ciò risulta chiaramente quando il sognatore lucido invece che scegliere un sogno lo lascia emergere spontaneamente: nella maggior parte dei casi si tratta di trame costruite su situazioni problematiche sia di tipo affettivo che di tipo pratico, quanto di desideri che col sesso non hanno nulla a che vedere. Per esempio, una giovane sognatrice lucida impegnata nella stesura della tesi di laurea, lavoro che non solo le costava una grande fatica ma che faceva assai malvolentieri perché era stata obbligata dai genitori a laurearsi in un ramo di studi che non le interessava, ogni volta che si accorgeva di essere in condizioni di lucidità e lasciava sorgere spontaneamente un sogno, si vedeva immancabilmente seduta davanti al computer a cincischiare con i testi di consultazione, con la stesura di qualche riga di testo che poi cancellava e riscriveva più volte, ad alzarsi dalla sedia esasperata per poi risedersi con la mente in preda all’angoscia, rivivendo il tormento della quotidianità. Le fu suggerito di diventare protagonista di tali sogni e di “scrivere” la tesi in quella condizione “fidandosi del suo inconscio creativo”. L’espediente funzionò a meraviglia: il mattino, la giovane si precipitava al computer e trascriveva velocemente ciò che aveva elaborato nel sogno così che riuscì a concludere la trattazione in due mesi. Quando, invece, è il sognatore che decide cosa sognare, se i desideri sessuali sono al centro della sua coscienza diurna, potrà appagarli, notte dopo notte con chi e come la sua fantasia gli suggerirà. Lo stesso LaBerge racconta quanto si fosse divertito da giovane, non appena si era reso conto di cosa poteva fare in sogno lucido, a vivere le più ghiotte avventure, finché una notte, si accorse di averne avuto abbastanza. Aveva immaginato di essere su un’autostrada californiana alla guida di una lussuosa decapottabile e di caricare un’autostoppista in hot pants. Mentre la ragazza saliva in auto, tuttavia, LaBerge si accorse di non avere più voglia dell’ennesima avventura e non appena si rese conto di questa stanchezza del desiderio la ragazza sparì e l’automobile cominciò a muoversi da sola con crescente velocità fino a che, come un aeroplano decollò verso il cielo. L’onironauta, incuriosito, lasciò che il sogno continuasse da solo e l’automobile salendo in verticale sempre più velocemente finì per arrestarsi in mezzo ad una luce abbagliante. In quel momento una possente voce maschile chiese: “Ma si può sapere che cosa vuoi?” lasciando il giovane sognatore sconcertato. E anche noi, dopo questo racconto, restiamo perplessi sul significato del drive psicodinamico che ha generato “il sogno spontaneo”. Chi ha parlato? Si direbbe il “regista dei sogni” che, a sua volta perplesso, non sa più quale pellicola proiettare. Sembra plausibile che tale regista sia la mente stessa di LaBerge, vuota di desideri immediati. Questa è la spiegazione che darebbero i buddisti tibetani che praticano lo yoga del sogno e cioè persone che hanno elaborato, da secoli, una tecnica per imparare a sognare lucido. Anche secondo costoro i sogni nascono dai desideri, che essi chiamano “attaccamenti” e quindi, anche per costoro, i sogni servono prima di tutto ad appagare desideri. Tuttavia, a differenza dei seguaci delle teorie freudiane, considerano il sesso solo uno dei possibili “attaccamenti” così che il sogno lucido finisce per rivelare al sognatore quale sia o siano i desideri fondamentali attorno ai quali ruota la sua esistenza, sia diurna che notturna. Forse lo scopo della vita non è quello di appagare dei desideri e, per di più, quando si scopre che si è attaccati ai soldi, al sesso o al potere, ci si potrebbe anche accorgere di essere avidi, invidiosi, lascivi o dispotici e cioè, come sostengono sempre i buddisti, fedeli al loro credo che “la vita è dolore”, ci si potrebbe accorgere da dove nascono i nostri guai. Una simile presa di coscienza dovrebbe aiutare il praticante dello yoga del sogno a scoprire la radice delle sue sofferenze e a “liberarsi”, se non completamente, almeno il più possibile, dagli attaccamenti. La “psicologia” lamaista distingue i sogni in due categorie: “karmici” (in questo caso il termine “karma” va inteso come “conseguenza” di pensieri o azioni) e “di chiarezza della mente”. I primi vengono generati da “semi karmici” che sono, appunto, gli attaccamenti, ma possono essere anche traumi emotivi, problemi di difficile soluzione o, addirittura tracce karmiche di vite precedenti. I secondi sono i sogni che nascono dalla consapevolezza dell’illusorietà della realtà e cioè quando si è raggiunta la “chiarezza della mente”. Il distacco dagli attaccamenti viene raggiunto piano piano, notte dopo notte, quando si sarà saziato completamente ogni desiderio, come si accorse il giovane LaBerge sull’autostrada californiana. Questa pratica viene chiamata “pulizia karmica” e può essere utilizzata anche per eliminare incubi ricorrenti o sogni che nascano da traumi emotivo/affettivi del passato. Per esempio, se una notte l’onironauta decidesse di lasciare sorgere un sogno spontaneo e questo lo riportasse all’angoscia di dover affrontare gli esami di maturità basterebbe che si dicesse che è inutile soffrire per un evento del tutto superato perché il sogno non si ripetesse più. Questi aspetti dello yoga del sogno assomigliano ad una auto-psicoterapia che, tuttavia, se da un lato è utile per mitigare le sofferenze della vita diurna, dall’altro ha lo scopo di rivelare ai praticanti la struttura delle mente (per sviluppare la “chiarezza”) e quindi a promuovere un’evoluzione cognitiva e da un altro ancora serve ad evitare la reincarnazione e, cioè, a scopi spirituali. Tutto ciò rivela una concezione della coscienza umana decisamente profonda e una “psicotecnologia” che non ha nulla da invidiare alla psicotecnologia clinica delle innumerevoli scuole psicoterapiche occidentali. In particolare, come si vede, tra le concezioni dei buddisti tibetani e la teoria psicoanalitica del sogno ci sono delle interessanti concordanze e sovrapposizioni, ma anche delle differenze che meriterebbero di essere prese in considerazione come spunti per impostare una revisione del significato psicologico del sogno. La mentalità scientifica occidentale ha gli strumenti metodologici per affrontare questa revisione: è più di mezzo secolo che gli psicoanalisti da una parte e gli studiosi del sonno dall’altra studiano i resoconti onirici e sarebbe possibile, come d’abitudine, adottare metodi statistici per verificare nuove ipotesi. Sicuramente questo ramo delle ricerche sul sogno lucido è il più stimolante, se non altro perché ha già promosso un confronto tra psicologia occidentale e psicologia orientale e cioè un tentativo di complementare tra loro due culture che per secoli hanno marciato per conto loro e oggi sentono il bisogno di avvicinarsi e dialogare. Ne è stato un entusiasta promotore Francisco Varela, un notissimo studioso di scienze cognitive, che ha organizzato dei seminari annuali tra il Dalai Lama, i suoi assistenti e vari rappresentanti delle neuroscienze (ma anche fisici, filosofi e uomini di lettere) occidentali nei quali si è proceduto a dei confronti tra le due culture. Uno di questi incontri è stato proprio dedicato al sogno lucido e alla pratica dello yoga del sogno. Varela mostra nei suoi scritti la profonda influenza che ha avuto su di lui il pensiero buddista e, in particolare, l’importanza dei concetti di vacuità, illusorietà e impermanenza della realtà perché descrivono un’organizzazione del pensiero e un’organizzazione della coscienza cui le scienze cognitive, anche grazie al suo lavoro, stanno giungendo in questi anni. In breve, tale punto nodale è riassunto dalla bella definizione che della realtà dà Gerard Edelman come un “presente ricordato”, nel senso che qualunque segnale sensoriale, per esempio un suono, appena giunto nel cervello, per essere riconosciuto deve essere confrontato con i segnali consimili contenuti nella memoria così che se non ci fosse memoria non ci potrebbe essere “il presente” e neppure la coscienza. La controprova di questa verità è fornita dalle sindromi amnesiche che seguono a danni delle aree cerebrali della memoria: come è noto, si può perdere perfino il ricordo della propria identità così che è facile dedurre che la coscienza è un costrutto mnemonico. Tutto ciò sembrerebbe uscire dall’area di interessi delle neuroscienze per migrare in quello della filosofia ma, in realtà, è un percorso che deve essere visto come un robusto lavoro di revisione di vari paradigmi sui quali ha finora poggiato il pensiero occidentale. Tra questi c’era quello che impediva lo studio scientifico della coscienza perché la “soggettività” non è obbiettivabile. Oppure quello della mutua esclusività degli stati di coscienza fondamentali che, come si è visto, è stato infranto dalla dimostrazione sperimentale del sogno lucido. Di fatto, considerando che si fa risalire a Cartesio, un filosofo, la cancellazione della mente e dell’anima dagli interessi delle scienze esatte, questo ravvicinamento tra le neuroscienze e la filosofia è già un cambiamento di paradigma e sta creando, si potrebbe dire, una nuova categoria di pensatori: i neurofilosofi. Ritornano all’attualità le posizioni degli empiristi inglesi che si potrebbe dire, anche se un po’ troppo sinteticamente, sostenevano che la realtà esiste solo perché noi la pensiamo, accodandosi, senza saperlo, al pensiero orientale che sosteneva questo assunto già da secoli. Il sogno lucido dà a questo nodo neurofilosofico un sostegno sorprendentemente robusto: gli eventi sognati in lucidità inducono nel corpo le stesse reazioni che provocherebbe l’evento reale. LaBerge ha dimostrato questa verità chiedendo ad una onironauta di “immaginare” durante un sogno di fare del sesso. Malgrado fosse costellata di elettrodi (18, per la precisione) e dormisse in laboratorio, in presenza di vari sperimentatori, la donna riuscì ad eseguire il compito sperimentale segnalando con il codice dei movimenti oculari l’inizio della performance e il momento dell’orgasmo. Le registrazioni psicofisiologiche dimostrarono che il suo corpo aveva vissuto l’esperienza come se si fosse trattato di un evento reale. Forse si è trattato di un esperimento inutile, se non altro perché le polluzioni notturne dimostravano già la potenza del sogno, ma in questo caso non si trattava della “soddisfazione di un desiderio inconscio” ma delle conseguenze di un evento deliberatamente immaginato. L’unico parametro che non corrispondeva alla psicofisiologia dell’orgasmo vissuto nella realtà fisica era la frequenza cardiaca, che, contrariamente a quanto succede nella realtà, si era elevata di poco. Al di là dei significati neurofilosofici, questo risultato marginale è invece molto interessante in un altro senso. Poiché in sonno REM la muscolatura striata è paralizzata, gli eventi onirici non hanno potere nel muovere i muscoli volontari e poiché le reazioni della muscolatura liscia sono identiche a quelle degli eventi reali se ne deduce che il muscolo cardiaco, anatomicamente e fisiologicamente né liscio né striato, risponde svogliatamente ad eventi immaginari. L’esperimento, dunque, fa riflettere sulla potenza dell’immaginazione in rapporto agli stati di coscienza. Oggi le tecniche di visualizzazione sono diffusamente utilizzate in vari sistemi psicoterapeutici quali la gestalt, la programmazione neurolinguistica, il rêve éveillé di Desoille, in tentativi di autoguarigione, in ipnosi e in altre ancora. Per non parlare delle numerose pratiche di meditazione. Ci si è spesso chiesti e ci si continua a chiedere quale sia la loro reale efficacia e l’esperimento del sesso in sogno lucido ci indica una parziale risposta. In lucidità l’immaginazione ha la potenza di un evento reale e poiché in stato di veglia è difficile avere un orgasmo solo con l’immaginazione si può già dire che in veglia vigile la potenza della fantasia è bassa, su un valore di 2 o 3 di una scala da uno a 10, mentre il sogno lucido andrebbe collocato sul valore massimo. Intermedia tra questi due si trova l’ipnosi, nella quale in alcuni soggetti molto ipnotizzabili si possono provocare reazioni molto vicine a quelle che provocherebbe un evento reale, anche se hanno tale potenza più degli eventi già vissuti che quelli che vengano fatti immaginare senza che provengano da un ricordo. Poiché nello stato di trance la coscienza vigile non è del tutto spenta e neppure quella della trance (che è molto simile alla coscienza onirica) è completamente dominante, l’efficacia dell’immaginazione si può collocare circa verso il 5 della scala di potenza. La trance ipnotica, però, può avere diversi gradi di profondità e quando questa è massima il potere dell’immaginazione si avvicina molto a quello del sogno lucido. In tale caso, però, la coscienza vigile è “dissociata”, ovvero è come se fosse altrove e non sa cosa stia rappresentandosi quella ipnotica. Per capire questo stato si pensi alla “scrittura automatica”: nel soggetto in trance profonda si suggerisce di scrivere su un foglio ciò che gli passa per la mente e la sua mano, obbediente, comincia a stendere un testo, talvolta addirittura ad occhi chiusi. Se a questo punto si “sveglia” il soggetto, si può tranquillamente conversare mentre la sua mano continuerà a scrivere. Quella che scrive è la coscienza ipnotica, “disgiunta” da quella vigile occupata nella conversazione. La stranezza di tale fenomeno non ha mancato di impressionare generazioni di studiosi ed è ancora lontana da essere spiegabile. Tuttavia sembra essere la condizione ipnotica nella quale la potenza dell’immaginazione può eguagliare quella del sogno lucido. Intermedia tra quelle della veglia e quella del sogno è anche la potenza dell’immaginazione in stato ipnagogico, e cioè quando ci si sta addormentando. In questo caso la coscienza è basculante tra la veglia e il sonno, il livello di vigilanza è fluttuante e i collegamenti neurosensoriali con la realtà ambientale sono pressoché chiusi: si è vicini ad uno stato di trance che, non essendo eteroindotto, lascia spazio all’immaginazione volontaria e può utilizzare la potenza dell’immaginazione con modalità accuratamente pianificate. È quanto viene fatto con le numerose tecniche di meditazione che hanno elaborato le culture orientali. Infine, c’è uno stato di coscienza nel quale il potere di eventi immaginari, se così è lecito dire, supera di gran lunga quello di tutti gli altri: l’estasi mistica. In tale condizione l’immaginazione può influenzare il corpo fino a produrre le stigmate, ovvero a produrre lesioni cospicue e che per di più riproducono la forma, la localizzazione e la gravità delle ferite del “modello” iconografico (una statua o un dipinto rappresentanti Gesù crocifisso) contenuto nella memoria dell’estatico. C’è, dunque, un collegamento verticale tra livello di vigilanza e potenza delle visualizzazioni, nel senso che quanto più questo si abbassa tanto maggiore è l’efficacia delle immagini mentali. Questa è, forse, una nozione di minor conto rispetto ad altri problemi più interessanti che potrebbe risolvere il sogno lucido ma si deve tenere conto che lo studio della lucidità è ancora agli inizi e che sono ancora pochi i ricercatori che vi si dedicano. All’orizzonte non c’è solo un avanzamento delle conoscenze sul sogno ma quello sulla natura della coscienza umana.
Prof. Marco Margnelli
Presidente della Società Italiana per lo Studio degli stati di Coscienza e della Biofeedback Association of Europe