Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 10 del 2004

Il “mal di città”, che lo si può definire come un “fastidio” che deriva dal vivere in un grande centro urbano.
E se il traffico è il peggiore fattore di stress, il problema non deve essere sottovalutato.

Quando, anche solo una decina di anni fa, si diceva che le città erano inquinate si pensava immediatamente allo smog che aleggiava nell’aria e ai malesseri che esso causava, più o meno percepiti direttamente.
Oggi, invece, i fastidi che si provano in città, non sono più legati soltanto allo smog, ma anche ad altri “inquinanti” che producono disagi di non poco conto a chi vi abita. Una conferma a ciò viene da un sondaggio recentemente realizzato da IPR Marketing per Legambiente e il “Sole 24 ore”, secondo il quale un italiano su due soffre di “mal di città”, che lo si può definire come un “fastidio” che deriva dal vivere in un grande centro urbano. Tra i principali fattori di tale fastidio, che produce uno stress più o meno intenso, l’indagine mette al primo posto il traffico (l’80% degli intervistati lo indica come molto o abbastanza rilevante). Al secondo posto le code agli uffici pubblici (68%), al terzo la microcriminalità (62%), soltanto al quarto posto si incontra l’inquinamento da smog (61%), quindi il rumore (59%), il “mal” funzionamento dei mezzi pubblici (50%), il rischio attentati (40%) e, infine, la vita sedentaria (35%). Non manca, tra i fattori di malessere che le grandi città producono, la solitudine, indicata come problema molto o abbastanza sentito dal 25% degli intervistati. Sono gli abitanti di Napoli e Roma, indica il sondaggio, quelli più spaventati dal traffico e dallo smog e i più sofferenti per le lunghe attese negli uffici pubblici. I napoletani, e la cronaca spiega perchè, sono maggiormente preoccupati per la microcriminalità (80% la indica ai primi posti), seguiti dai torinesi (74%) che temono molto anche il rischio attentati.

E se il traffico è il peggiore fattore di stress, il problema non deve essere sottovalutato anche perché un’altra recente ricerca sostiene che esso abbia una notevole influenza sulla salute del cuore. Sembra, infatti, che uno ogni 12 casi di attacco cardiaco è legato al traffico stradale. A rischiare di più sono le donne e gli over-65. La notizia, che arriva sulle pagine del New England Journal of Medicine, indica inoltre che le persone bloccate in un ingorgo stradale rischiano in media tre volte di più di andare incontro a un infarto entro un’ora dall’esperienza nella “giungla urbana”. A indagare su questo killer che si aggira tra le vie intasate delle città è stato un gruppo di esperti tedeschi guidati da Annette Peters presso il Centro di Ricerca Nazionale per Ambiente e Salute a Neuherberg. I ricercatori hanno condotto il loro studio coinvolgendo 691 volontari che erano sopravvissuti a un infarto tra il ‘99 e il 2001. A loro gli esperti hanno chiesto di relazionare le attività svolte nei 4 giorni precedenti all’evento che ha messo a repentaglio il loro cuore. Confrontando i dati raccolti hanno trovato che chi era rimasto bloccato in un ingorgo dentro il proprio autoveicolo aveva una probabilità più alta di 2,6 volte di andare incontro a un incidente cardiaco rispetto alle proprie probabilità di avere un infarto; peggio ancora, rilevano gli specialisti tedeschi, se a tenere bloccate le persone sono i mezzi pubblici, che hanno lasciato registrare una probabilità di un evento a carico del cuore più alta di 3,1 volte. Ma più di tutti rischiano, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, coloro che si spostano in bicicletta; per questi infatti, è più alta di un fattore 3,9 volte la probabilità di un attacco di cuore. Evidentemente in questo caso centra molto il problema inquinamento.

E a ricordare il pericolo inquinamento cittadino vi è la ricerca che è apparsa un po’ su tutti i mass media negli ultimi mesi: andare per un giorno a spasso per Milano, Palermo o Trieste equivale, senza saperlo, a fumare fino a 15 sigarette. Tra le 9 e le 11 sigarette si inalano a Napoli, mentre è da fumatore medio la giornata in giro per Firenze, Genova, Torino e Verona, dove l’inquinamento fa respirare l’equivalente di 7-8 sigarette. Va meglio a Roma dove la stima sulla sigarette fumate scende a 5-6. La stessa equiparazione inquinamento-fumo di Roma è valida per Catania, Foggia e Livorno. Chiudono la classifica Bari, Bologna, Brescia, Parma, Taranto, Padova e Venezia con 4-5 “bionde” al giorno. I dati sono stati elaborati dal dipartimento di Medicina del Lavoro dell’Ospedale Civile di Sesto S.Giovanni. I numeri, ovviamente, sono da maneggiare con cautela, perchè potrebbero essere falsati da una serie di parametri imprevedibili come il numero di stazioni sulle quali sono state calcolate le medie o l’equiparabilità dei metodi di valutazione, ma nello stesso tempo c’è da osservare che questo inquinamento colpisce in maniera indistinta, bambini, anziani ed ammalati che magari non hanno mai fumato una sigaretta. Inoltre i dati sui quali si è basata l’elaborazione - avvisa il dicastero nel suo report - potrebbero contenere una sottostima delle concentrazioni anche se il benzene è stato misurato in genere mediante analizzatore automatico in grado di dare raccogliere i dati in un determinato orario e attraverso campagne periodiche di indagine usando campionatori passivi, ossia predisposti per simulare ciò che respira un polmone umano. Il dato che si ottiene dalle campagne di monitoraggio permette di analizzare la concentrazione di benzene in un orizzonte spaziale molto più ampio e non limitato solo all’area di interesse dello strumento fisso.
Eppure basterebbe ridurre di soli 5 microgrammi al metro cubo l’inquinamento da Pm10, le polveri sottili provocate dalle auto (per il 70%) e impianti di riscaldamento per risparmiare 5.000 vite ogni anno. Lo conferma uno studio APHEIS svolto su un campione di 32 milioni di cittadini residenti in 26 città europee, tra cui Roma, Milano e Torino.
Giuseppe Girbino, presidente della Simer, la Società Italiana di Medicina Respiratoria ha spiegato: “Ciò significa che solo in queste tre città italiane si potrebbero evitare 1.500 decessi annui per malattie respiratorie. Un piccolo paese che, se esteso a livello nazionale, diventa un esercito di uomini e donne che potrebbero essere salvati solo riducendo il numero di auto circolanti nelle nostre città. Con un piccolo sforzo, se si calcola che la soglia di allarme, quella che, per esempio, fa scattare il blocco del traffico nei centri urbani, è di 50 microgrammi al metro cubo ripetuto per tre giornate consecutive. Ad allarmare non è solo il problema delle polveri sottili: sono anche le correlazioni tra i vari inquinanti. L’organismo è, infatti, esposto a diversi agenti inquinanti, che interagiscono tra di loro ed esercitano effetti non tanto additivi quanto moltiplicativi”.
E certa, secondo gli esperti, è la correlazione con la broncopneumopatia cronico ostruttiva (Bpco) e con il tumore del polmone: “Nei prossimi 10 anni - ha sostenuto Vincenzo Fogliani, presidente dell’UIP (Unione Italiana per la Pneumologia) - proprio a causa dell’inquinamento atmosferico e del fumo di tabacco la prevalenza della Bpco aumenterà del 50% negli uomini e addirittura del 130% nelle donne. Inoltre, una proiezione sulle variazioni di incidenza delle principali cause di morte vede la Bpco al primo posto nel 2020’’.

Che fare allora? Fuggire dalle città? Forse potrebbe non essere la soluzione migliore visto che in estate l’aria di alcuni centri turistici alpini è più inquinata di quella di Milano. Lo dimostra una campagna di monitoraggio presentata da Legambiente, condotta nell’agosto 2004 in 11 località dell’arco alpino, da Tarvisio a Limone Piemonte, con la collaborazione tecnica di Fondazione Lombardia per l’Ambiente. I campionamenti dell’aria sono stati effettuati nell’ambito della campagna itinerante “La Carovana delle Alpi”, quest’anno giunta alla terza edizione, grazie al contributo del Ministero dell’Ambiente. A Bormio (Sondrio) in agosto sono state rilevate concentrazioni di benzene pari a 3,2 microgrammi al metro cubo, più del doppio dei 1,3 di Milano. Stesso discorso per il biossido di azoto (63 microgrammi/metro cubo a Bormio, 37 a Milano). L’inquinamento da traffico inoltre è tale da provocare danni tangibili alla flora e alle colture, soprattutto per quanto riguarda l’ozono, un potente ossidante, che anche in concentrazioni minime, è capace di "bruciare" le foglie, diminuendo la loro capacità fotosintetica.
Le soglie di sicurezza per la vegetazione fissate dall’Oms in 65 microgrammi per metro cubo vengono superate in 7 stazioni di rilevamento su 11.
"Se vogliono evitare il declino turistico - afferma Damiano Di Simine, responsabile scientifico della Carovana delle Alpi - le amministrazioni dei centri turistici alpini devono puntare su treni, pedonalizzazioni e servizi navetta che mettano i turisti nelle condizioni di liberarsi dalla schiavitù dell’auto". Tre gli inquinanti monitorati, tutti altamente tossici: biossido di azoto (NO2), benzene e ozono troposferico (O3). I livelli di concentrazione di queste sostanze nell’aria di montagna sono stati rilevati tramite campionatori passivi, collocati dai volontari in 11 località dell’arco alpino.
In termini assoluti i livelli di inquinamento riscontrati non sono altissimi. Anche perché nel periodo di monitoraggio il tempo è stato generalmente clemente, con abbondanti perturbazioni, che hanno garantito un efficace ricambio d’aria.
Le soglie di allarme fissate dalla legge non sono mai state superate. Appare significativo però il confronto con i valori delle centraline ARPA di una grande area urbana come Milano, con concentrazioni di sostanze tossiche che in alcune località di montagna sono doppie rispetto a quelle di città nello stesso periodo.
“L’inquinamento atmosferico in area montana - afferma Andrea Poggio, vice-direttore di Legambiente - è un fenomeno poco indagato. Generalmente si dà per scontato che in montagna l’aria sia sempre pulita. Ma le cose non stanno così. La conformazione della valli spesso provoca dei ristagni d’aria cui si aggiungono i fenomeni di trasporto dell’inquinamento da ozono dalle aree urbane di pianura, con situazioni preoccupanti anche per la salute umana, oltre che per i vegetali. Le nostre analisi dimostrano che in pieno agosto l’aria di Milano era addirittura più salubre di quella di molte località turistiche montane”.

Luigi Bignami