Sezione Medicina

da Leadership Medica n. 7 del 2006

Introduzione

L’interesse riguardo al counselling applicato in vari settori sanitari e socio-assistenziali è attualmente particolarmente vivo in Italia.
Numerose scuole e agenzie propongono corsi di formazione rivolti a figure professionali e non, interessate a vario titolo ad applicare il counselling in particolari ambiti della relazione d’aiuto. Tuttavia appare ancora difficoltosa la definizione di una metodologia univoca che detti linee operative concrete sia rispetto al ruolo e alla formazione degli operatori dedicati al counselling, sia rispetto agli aspetti organizzativi e operativi degli interventi di aiuto identificati con questo termine.
Derivando i suoi metodi e le sue tecniche dai più importanti e accreditati modelli proposti in ambito internazionale, il counselling eclettico-integrato si è rivelato nella pratica un approccio estremamente utile in diversi contesti, tutti caratterizzati dalla necessità di fornire un aiuto immediato, concreto, specifico e personalizzato, attraverso l’utilizzo del colloquio clinico, a persone che si trovano in difficoltà per diversi motivi.
La nostra esperienza deriva da applicazioni di questo modello sia nell’ambito sanitario, sia nell’ambito del disagio giovanile e adolescenziale; ma la metodologia del counselling eclettico-integrato, di cui verranno qui illustrati alcuni aspetti organizzativi, appare indicata in molte situazioni in cui, con il colloquio di aiuto, si intenda fornire una risposta concreta a bisogni anche molto complessi entro limiti temporali stretti e setting eterogenei, imposti da esigenze di natura pratica, organizzativa, sanitaria o economica.

 Che cos’è il counselling

Prescinde dagli scopi di questa breve trattazione entrare nei dettagli della storia del counselling, delle tecniche e delle strategie operative del counselling eclettico-integrato, per cui rimandiamo il lettore a più specifiche pubblicazioni (Bellotti e Bellani, 1997; Pezzotta e Bellani, 1997; Bellani, 2002; Trotti e Bellotti, 2006b). Tuttavia è opportuno rammentare una recente definizione che fissa alcuni punti fermi su un concetto tanto diffuso quanto denso di ambiguità e incertezze, dove appare ancora difficoltoso reperire linee di riferimento teorico-pratiche univoche e coerenti.
Come puntualizza Bellani (2002): “Il counselling è un processo relazionale di tipo professionale che coinvolge un counsellor e una persona che sente il bisogno di essere aiutata a risolvere un problema o a prendere una decisione; l’intervento si fonda sull’ascolto, il supporto e su principi peculiari ed è caratterizzato dall’utilizzo da parte del counsellor di qualità personali, conoscenze specifiche, nonché di abilità e strategie comunicative e relazionali finalizzate all’attivazione e alla riorganizzazione delle risorse personali dell’individuo al fine di rendere possibili scelte e cambiamenti in situazioni percepite come difficili dalla persona stessa, nel pieno rispetto dei suoi valori e delle sue capacità di autodeterminazione”.
L’intervento può essere rivolto a singoli individui ma anche a coppie, famiglie o piccoli gruppi di persone, accomunate dalla medesima situazione problematica (Trotti e Bellani, 1997).
Benché il counselling condivida molti aspetti e tecniche con la psicoterapia, esso se ne distingue sostanzialmente per essere un intervento di breve durata che si propone di identificare e mobilitare le risorse personali e sociali del soggetto che chiede aiuto (il cosiddetto “cliente”) allo scopo di affrontare in termini adattivi la situazione problematica attuale, senza la necessità di provocare cambiamenti sensibili, sostanziali e profondi all’interno della struttura di personalità del soggetto. Il counselling, peraltro, non è nemmeno considerabile un analogo del supporto psicologico: infatti, il counsellor può avvalersi anche di tecniche orientate a fornire supporto, ma l’intervento non è finalizzato esclusivamente a questo, gli obiettivi sono specificamente stabiliti e le tecniche sono decisamente più articolate.
Pertanto tale intervento, che, dati gli stretti vincoli temporali, richiede da parte del counsellor una maestria e una competenza relazionale pari a quelle richieste ad uno psicoterapeuta esperto, nonché un’esperienza specifica nel settore del counselling, può essere rivolto anche a persone con importanti quadri psicopatologici di base le quali, prescindendo dalla possibilità di affrontare un percorso terapeutico che modifichi l’assetto personologico, devono essere aiutate ad affrontare in modo adattivo difficoltà di vita attuali.
L’approccio eclettico-integrato al counselling sfrutta metodologie di lavoro e tecniche relazionali derivate da numerosi modelli della psicoterapia e della relazione d’aiuto (Rogers, 1942; Carkhuff, 1987; Egan, 1994; Miller e Bor, 1991; Horton e Bayne, 1998).
Per quanto riguarda la figura del counsellor, l’Organizzazione Mondiale della Sanità stabilisce che esso debba essere “una persona esperta, imparziale, non legata al cliente, addestrata all’ascolto, al supporto e alla guida” (WHO, 1989). Egli deve essere in grado di utilizzare in modo consapevole, intenzionale e finalizzato qualità personali, conoscenze specifiche, abilità e strategie comunicative e relazionali perseguendo gli obiettivi del counselling e rispettandone i principi e le caratteristiche peculiari (Bellani, 2002).
La funzione del counsellor nel counselling eclettico-integrato è quella di fornire un ascolto attento ai vissuti del soggetto, di facilitare l’espressione delle emozioni, di manifestare un punto di vista il più possibile obiettivo, di guidare nella puntuale definizione del problema e nella ricerca di possibili soluzioni, di aiutare la persona a ripristinare il senso di efficacia nel gestire situazioni complesse e il senso di controllo in situazioni di crisi e di disorientamento. Il counsellor, inoltre, si pone come figura centrale nel facilitare il contatto del cliente con altre figure professionali o servizi qualora ciò sia necessario per rispondere alla domanda di aiuto espressa.
Gli aspetti relativi al ruolo e alla formazione degli operatori deputati alla funzione di counsellor sono ben lontani dall’essere definiti in Italia come in molti altri Paesi. Tuttavia noi riteniamo che tali operatori dovrebbe sempre possedere: un ruolo definito e riconosciuto all’interno della struttura in cui operano, una formazione adeguata e specialistica, comprovate competenze psicologiche e relazionali, un’esperienza approfondita di counselling e, in particolare, della tipologia di counselling peculiare dello specifico contesto applicativo; come sottolineeremo in seguito, essi dovrebbero altresì lavorare sotto la costante supervisione da parte di personale esperto e qualificato.
L’intervento di counselling eclettico-integrato si definisce attraverso alcune caratteristiche peculiari (Trotti e Bellani, 1997, Bellani, 2002) la prima delle quali è riassunta nel concetto di integrazione, che racchiude tre diversi aspetti operativi: in primo luogo, nella fase di analisi del bisogno e delle risorse il counsellor integra tutti gli elementi che derivano dall’ascolto e dall’osservazione attenta della realtà interna ed esterna del soggetto, costruendo una visione globale della persona come parte del sistema di relazioni in cui è inserita; in secondo luogo, quando il servizio di counselling è offerto all’interno di una struttura che si avvale del lavoro d’équipe, l’operatore investito del ruolo di counsellor opera a stretto contatto con gli altri membri del gruppo di lavoro le cui competenze vengono attivate in modo integrato, in parallelo o in sequenza temporale, al fine di offrire una risposta globale ai molteplici bisogni rilevati (per esempio, un operatore si pone come punto di riferimento preferenziale per il paziente all’interno di un servizio di cure palliative dove collaborano medici di diverse specialità, infermieri professionali, psicologi, assistenti sociali e volontari, facendosi carico dell’integrazione dei diversi interventi); in terzo luogo, nell’ottica di una gestione integrata del caso (case management) è importante che il counsellor disponga di una rete esterna di altri servizi e figure professionali cui fare riferimento e poter inviare il cliente per eventuali consulenze o per una presa in carico specialistica al termine del processo di counselling (per esempio, strutture sanitarie dedicate, servizi di assistenza sociale, esperti in materia legale, psichiatri e psicoterapeuti, ecc.).
Per quanto riguarda le altre caratteristiche che delineano la tipologia di intervento (Trotti e Bellani, 1997; Bellani, 2002), il counselling eclettico-integrato è definito come un processo: personalizzato, specifico, focalizzato e limitato nel tempo, intenso e attivo.
Infatti, l’intervento è sempre centrato sulla persona che chiede aiuto, tagliato a misura dei suoi bisogni peculiari e le soluzioni proposte sono frutto di un lavoro di profonda condivisione svolto nel pieno rispetto dei valori, delle opinioni e delle convinzioni personali del cliente; l’area di interesse e di indagine è limitata al “qui ed ora” della situazione problematica attuale e mirata allo specifico settore nel quale il counselling viene, di volta in volta, utilizzato (per esempio: infezione da HIV, oncologia, modificazione di comportamenti a rischio per la salute, disagio adolescenziale, ecc.); le tecniche usate nel condurre il colloquio aiutano ad individuare rapidamente il nucleo del problema, a stabilire obiettivi realisticamente raggiungibili e a rimanere focalizzati su di essi fino alla conclusione dell’intervento; quest’ultimo si articola e si esaurisce in un numero limitato di incontri: la durata dell’intervento può essere, in alcuni casi, stabilita a priori a prescindere dal tipo di problema portato dal soggetto; in alternativa, essa è dettata dal raggiungimento degli obiettivi a breve termine concordati all’inizio. I limiti temporali determinano altresì la necessità che nel processo di aiuto il counsellor sappia costruire e sostenere un clima relazionale particolarmente intenso dal punto di vista emotivo, che sappia stabilire rapidamente con il cliente un’alleanza di lavoro all’interno di un sistema interpersonale orientato alla collaborazione e che sia in grado di modulare costantemente il proprio livello di attività, adeguandolo alle necessità imposte dalla situazione e alle risorse autonome del soggetto, mantenendosi comunque sempre su posizioni il più possibile non direttive.

Obiettivi e applicazioni del counselling

L’intervento di counselling si propone di aiutare persone che lo richiedono in modo esplicito a superare momenti di crisi, a risolvere problemi, a prendere decisioni o ad acquisire informazioni importanti per la loro salute o per orientare scelte di vario genere. A ciascuno di questi obiettivi corrisponde una precisa strategia per la conduzione del colloquio (Crisis Counselling, Problem-Solving Counselling, Decision Making Counselling, Informative Counselling) (WHO, 1989; Trotti e Bellani, 1997; Bellani, 2002).
Le possibili applicazioni del counselling sono dunque innumerevoli.
In ambito sanitario, per esempio, il counsellor può trovarsi di fronte alla richiesta di aiuto di persone che, a prescindere dal grado di salute mentale e dall’entità delle risorse cognitive, emotive o sociali di cui dispongono, devono gestire situazioni complesse e di notevole impatto personale e interpersonale quali l’infezione da HIV, una malattia oncologica o le conseguenze invalidanti di una malattia cronica progressiva.

Nell’ambito del disagio giovanile e adolescenziale, i fruitori di un servizio di counselling scolastico, universitario o territoriale possono essere ragazzi o adulti (genitori ed educatori) che, mentre esprimono richieste di aiuto eterogenee e, talvolta, all’apparenza banali, sollecitate da momenti di crisi, di scelta o di cambiamento, possono al contempo segnalare condizioni di profondo disagio personale e familiare, potenzialmente foriere di gravi condizioni psicopatologiche. In questo caso il counselling assume una particolare importanza quale intervento di prevenzione, di screening e di sensibilizzazione al trattamento precoce del disturbo mentale e delle situazioni relazionali a rischio. Quello dell’intervento sul disagio giovanile è il caso emblematico che evidenzia la necessità che il counsellor possieda grande esperienza clinica e competenza psicopatologica al fine di compiere, in un tempo tanto limitato, una corretta analisi della situazione e una puntuale diagnosi differenziale tra situazioni di crisi fisiologica, situazioni a rischio di scompenso e situazioni di esordio psicopatologico.

Aspetti metodologici nell’organizzazione dei servizi

Gli aspetti organizzativi generali atti a garantire la funzionalità di un servizio di counselling possono essere illustrati in modo sintetico attraverso una sorta di “flow chart” o “mappa di flusso” (Trotti e Bellotti, 2006a), che descrive il percorso compiuto dall’utente all’interno del servizio, nonché la serie di interventi che, svolti “dietro le quinte”, forniscono la struttura portante all’incontro tra il counsellor e il cliente in quanto tale. La mappa di flusso è illustrata in figura 1.

E’ evidente che quanto verrà di seguito esposto in linea generale deve poi essere articolato e adattato alle singole realtà applicative, nelle quali il processo potrà venire arricchito di aspetti peculiari in funzione delle necessità contingenti e dei differenti contesti socio-assistenziali.
La prima tappa del processo, fondamentale a nostro avviso per il successo del servizio, è la sua promozione. Attraverso un intervento capillare e multimediale (informazione diretta, locandine, depliant, siti web) dovrebbero essere portati a conoscenza degli utenti tanto l’esistenza del servizio, quanto, più nel dettaglio, i suoi scopi, le funzioni e le modalità di organizzazione, accesso e funzionamento. Una corretta informazione dell’utenza, che deve essere in primo luogo sensibilizzata sull’utilità del servizio, è importante soprattutto nella fase di avvio. In seguito, alcuni interventi di promozione mirati saranno sufficienti per affiancare l’opera di divulgazione spontanea che avviene attraverso il “passa-parola”.
La seconda tappa riguarda l’accesso al servizio: i canali di accesso (segreterie, sportelli di prenotazione, accessi telefonici) devono essere organizzati e tra loro articolati per funzionare in modo fluido in modo da garantire un’adeguata e tempestiva accoglienza della domanda sollecitata dagli interventi di promozione. Perchè il processo possa svolgersi in modo efficiente, evitando all’utente inutili attese e al servizio un eccessivo dispendio di risorse umane ed economiche, devono essere predisposte, verificate e corrette nel tempo modalità di prenotazione degli appuntamenti e di accoglienza della domanda adeguate ai bisogni specifici dell’utenza (linee telefoniche dedicate, modalità di gestione del registro di prenotazione degli appuntamenti, modalità di comunicazione tra la segreteria e gli operatori deputati al counselling, training di formazione per il personale dedicato, norme per la tutela della privacy, ecc.).
L’intervento vero e proprio si apre con la terza fase illustrata nella mappa di flusso, ovvero la fase di valutazione (o assessment). Il primo incontro tra counsellor e cliente, oltre ad essere la parte centrale del processo è anche la più delicata. In alcuni casi tutto si svolge in quest’unico incontro, decisivo per stabilire se il cliente dovrà e vorrà ritornare. Dopo avere curato in particolar modo l’accoglienza in un setting confortevole e riservato, in cui dovrebbero essere garantiti le norme minime di riservatezza e lo svolgimento del colloquio senza interruzioni, il counsellor procede all’analisi del bisogno e delle risorse personali e sociali e alla definizione della situazione problematica. Nella fase finale del colloquio la coppia counsellor-cliente giungerà alla condivisione di un obiettivo che guida nella formulazione delle ipotesi di soluzione.
In qualche caso, se la natura del problema appare fin dall’inizio molto complessa, la fase di valutazione può richiedere anche qualche colloquio supplementare, ma ciò dovrebbe essere l’eccezione e non la regola nell’ottica di un utilizzo efficiente delle risorse disponibili.
In base alla natura del bisogno della persona che ha chiesto aiuto l’intervento può dunque articolarsi secondo le seguenti tre vie, illustrate dalle freccie discendenti nella mappa di flusso.

  1. Chiusura e disponibilità: l’intervento si conclude dopo il primo colloquio (o i primi colloqui) di valutazione perché la persona riesce a trovare risposta immediata al bisogno espresso. Il counsellor allora chiude il processo lasciando comunque al cliente la propria disponibilità per eventuali necessità future. Se la persona avrà nuovamente bisogno, si dovrebbe predisporre un canale di accesso facilitato rispetto ai nuovi ingressi e fare in modo che sia sempre lo stesso operatore a vedere il cliente.
  2. Presa in carico per counselling: nel caso in cui l’analisi della situazione problematica abbia portato all’individuazione di uno o più obiettivi raggiungibili a breve termine attraverso la relazione d’aiuto strategicamente strutturata, si apre una presa in carico per il counselling, di cui vengono concordati insieme al cliente tempi e modalità.

Nell’organizzazione di alcuni servizi, che godono di strutture e di risorse limitate a fronte di una vasta popolazione target (per esempio: sportelli d’ascolto scolastici, universitari o territoriali) è opportuno, anche se all’apparenza limitante, che il numero di colloqui disponibili per ogni intervento di counselling sia stabilito a priori. Ciò innanzitutto al fine di non sovraccaricare il servizio e di garantire sempre una possibilità di accesso a nuovi casi evitando liste d’attesa che renderebbero intempestiva la risposta alla domanda d’aiuto. Secondariamente, ciò è utile anche al fine di evitare che prese in carico troppo prolungate facciano perdere di vista gli obiettivi limitati del counselling con il rischio di trasformare gli interventi in tipologie d’aiuto più simili ad un supporto psicologico a lungo termine o a veri e propri percorsi psicoterapici.

  1. Invio: al termine della fase di valutazione o di un intervento di counselling a breve termine, laddove siano emerse particolari problematiche non eludibili attraverso il counselling, è infine auspicabile che il counsellor sia messo nelle condizioni di poter programmare un invio ad altre strutture specialistiche per interventi mirati. In questo caso il counsellor, nel totale rispetto dell’autonomia decisionale della persona e sempre stimolando la sua iniziativa, offre il proprio sostegno affinché vengano attivati i canali corretti e l’invio vada a buon fine.

Come abbiamo già evidenziato a proposito del concetto di integrazione, l’efficacia e l’efficienza del servizio dipendono dalla disponibilità di una rete integrata di altre strutture (dell’ospedale, del territorio o del privato-sociale) a farsi carico dei casi più complessi in cui emerge la necessità di un trattamento specialistico di specifiche problematiche. Ciò può risultare particolarmente delicato e difficile da garantire agli utenti quando l’analisi e la ridefinizione del problema abbiano messo in luce la necessità di un intervento in senso psicoterapico, dal momento che le risorse pubbliche dedicate alla psicoterapia appaiono spesso alquanto limitate.
Da ultimo sottolineiamo l’importanza che il servizio di counselling metta a disposizione dei suoi utenti interni (operatori deputati al counselling) una costante supervisione da parte di personale esperto. Anche periodici incontri di intervisione tra pari, nel caso di servizi organizzati in équipe di lavoro mono o pluridisciplinari, sono importanti per alleviare il carico emotivo cui è soggetto qualunque operatore impegnato a lungo termine in relazioni d’aiuto e scongiurare così almeno in parte il noto rischio di sovraccarico che conduce al burnout.

Conclusioni

L’esperienza clinica nel campo del supporto integrato medico-psicologico nel settore sanitario e in quello del disagio giovanile ci ha convinti dell’estrema utilità di una metodologia di intervento come quella che abbiamo definito “counselling eclettico-integrato”.
Tale modello, che inizialmente ci appariva “fumoso”, denso di incertezze e ambiguità e sostanzialmente debole nei suoi fondamenti teorici e operativi, è stato strutturato nel corso del tempo in modo sempre più chiaro e delineato e ha mostrato sul campo della pratica clinica e nella formazione degli operatori la sua efficacia e la sua buona rispondenza alle esigenze dell’utenza.
Tale riscontro ci induce ad allargare il suo campo di applicazione a nuovi settori sia in ambito sanitario che nel settore socio-assistenziale.
Rimane aperta per il futuro la necessità di identificare e applicare validi strumenti e metodologie per la verifica dell’efficacia degli interventi, affinché l’utilità empirica dimostrata possa essere supportata da dati raccolti con adeguati metodi sperimentali.

Eugenia Trotti, Giorgio G. Bellotti
Psicologia Clinica
Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Università degli Studi dell’Insubria - Varese

 

Bibliografia

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