Il 1° dicembre si celebra la Giornata Mondiale della lotta all’AIDS: come è cambiato l’impatto psicologico della malattia?
Il 1983 è la data che segna l’inizio della lotta al virus dell’HIV.
Oggi, a distanza di 37 anni, l’infezione da HIV non spaventa più come un tempo: i progressi della ricerca scientifica e l’uso della terapia antiretrovirale hanno reso possibile, alle persone con HIV, una buona qualità di vita, grazie anche al minor impatto sull’organismo e ai minori effetti collaterali. Se l’infezione viene diagnosticata e trattata precocemente, l’aspettativa di vita di chi ha contratto l’infezione è sostanzialmente sovrapponibile a quella di un individuo sieronegativo.
In merito alle novità più significative, il 2019 segna un traguardo storico nella storia dell’HIV del nostro paese: la comunità scientifica italiana ha riconosciuto ufficialmente la validità del principio U=U, Undetectable=Untrasmittable, Non rilevabile=Non trasmissibile. Si tratta della rivoluzionaria evidenza scientifica secondo la quale una persona con HIV in terapia efficace, con viremia non rilevabile, non trasmette il virus.
Tale principio nasce dai risultati di una ricerca da poco pubblicata su Lancet (Rodger et al, 2019), lo studio Partner 2, durato 8 anni, secondo i quali su un totale di oltre 76mila rapporti senza preservativo tra coppie omosessuali siero-discordanti, ossia tra un partner HIV positivo, ma con viremia non rilevabile perché in terapia con farmaci antiretrovirali, e un partner sieronegativo, la trasmissione dell’infezione è risultata pari a zero. Tali risultati erano stati già preannunciati nel 2014 (Rodger et al., 2014), alla chiusura della prima fase dello studio, Partner 1, ma in riferimento ai soli rapporti eterosessuali. Oggi, alla luce dei risultati della seconda fase, si può affermare con certezza che chi è HIV positivo, ma prende regolarmente la terapia e ha una viremia stabilmente soppressa da almeno 6 mesi, può avere rapporti sessuali non protetti, sia eterosessuali che omosessuali, con partner sieronegativo, senza avere alcun rischio di infettarlo.
Questa scoperta oltre ad avere una notevole valenza scientifica e clinica, ha anche un significativo impatto sociale, psicologico e relazionale.
Fino a pochi anni fa lo psicologo era chiamato ad affrontare numerose problematiche legate all’HIV, riguardanti principalmente la comunicazione della sieropositività, il timore del contagio, la mancanza di spontaneità nei rapporti sessuali, decisioni sulla gravidanza. La presenza di comorbidità psicologica e psichiatrica nei pazienti HIV era molto frequente condizionando pesantemente l’evoluzione clinica dell’infezione, la compliance terapeutica, l’adesione a norme profilattiche efficaci nonché la capacità di intraprendere e mantenere relazioni affettive e sessuali funzionali (A. Mariniello, 2001).
Attualmente lo scenario è notevolmente diverso e le ripercussioni positive sulla vita individuale e di coppia delle persone con HIV sono un dato evidente; il paradigma U=U ha restituito fiducia nel futuro archiviando quasi completamente la paura del contagio e del rifiuto, lo stigma, le discriminazioni, l’emarginazione come cose del passato.
Ciò è confermato anche dalla nostra esperienza clinica con i pazienti HIV+, presso l’Ospedale “D. Cotugno” di Napoli, dalla quale emergono dati più confortanti, rispetto al passato, sulla salute mentale. Nello specifico, abbiamo riscontrato un calo di disturbi psichiatrici quali:
- Depressione
- Ansia
- Insonnia
- Pensieri ossessivi e ruminazioni
- Somatizzazione
Allo stesso modo, abbiamo osservato una riduzione del disagio psichico derivante da problematiche HIV correlate, quali:
- Notifica del risultato di sieropositività
- Rapporti familiari e sessuali
- Gravidanza
- Adattamento lavorativo e sociale
- Stigmi culturali
- Terapia ed effetti collaterali
- Invecchiamento e morte.
Altrettanto confortanti sono i dati epidemiologici delle nuove diagnosi di infezione da HIV, riferiti dal Centro Operativo AIDS (COA, 2019) dell’Istituto Superiore di Sanità, secondo i quali nel 2018 e fino a maggio 2019 ci sono state 2847 nuove diagnosi pari a 4,7 nuovi casi per 100.000 residenti. Per la prima volta, il numero di nuove diagnosi è sceso sotto quota tremila, un calo significativo da attribuire certamente all’impatto protettivo che il principio U=U comincia ad avere sulla popolazione generale.
Tutto questo, ovviamente, dovrebbe permettere di ridurre ulteriormente il numero delle nuove infezioni a patto però che aumenti il numero di persone che fanno i test in modo da conoscere il loro stato di salute e da poter accedere alle cure. Ci riferiamo al problema del cosiddetto “sommerso”, ossia i sieropositivi “inconsapevoli”, coloro che non si curano semplicemente perché non fanno il test e non sanno di essere infetti. Si stima che il numero del sommerso ammonti a circa 15.000 persone e rappresenta evidentemente il principale veicolo delle nuove infezioni, più di quelle sieropositive che seguono correttamente le terapie.
È necessario, dunque, intervenire in maniera più mirata con iniziative orientate a diffondere e promuovere il messaggio di queste rivoluzionarie novità. Sono ancora molti, soprattutto i giovani (la maggior parte delle nuove infezioni si osserva negli individui tra i 25 e i 29 anni e quasi un caso su dieci riguarda i giovani tra i 18 e i 24 anni), a non conoscere queste svolte o addirittura a non conoscere le modalità di trasmissione del virus e, dunque, le precauzioni per un sesso più sicuro e consapevole.
La prevenzione contro l’HIV/AIDS non è mai abbastanza e la ricerca conferma che accanto al “trattamento come prevenzione” (TasP), anche la “PrEP” rappresenta una nuova strategia di prevenzione altamente efficace che pure ha contribuito sensibilmente a migliorare la qualità di vita delle persone sieropositive e delle coppie siero discordanti.
La PrEP, ossia la profilassi pre-esposizione, è un mezzo di prevenzione per le persone che non hanno contratto il virus, ma che sono ad altissimo rischio di contrarlo e consiste nell’assunzione di farmaci antiretrovirali, specificamente due farmaci che vengono già utilizzati in combinazione con altre molecole per il trattamento dell’HIV, che impediscono che il virus si riproduca nel corpo, evitando così di contrarre l’infezione. Numerosi studi, effettuati su scala mondiale, hanno dimostrato che la PrEP, se usata in modo corretto, riduce il rischio di contrarre l’HIV in seguito a rapporti non protetti del 99%.
La profilassi si può seguire attraverso due modalità, quotidiana oppure on demand. Nel primo caso si assume la terapia ogni giorno alla stessa ora, mentre nel secondo la si assume solo prima del rapporto potenzialmente a rischio. In ogni caso, non è raccomandata a tutti ma, come si diceva, a coloro che hanno comportamenti ad alto rischio, in particolare a persone che:
- Hanno una relazione sessuale con un partner che ha un’infezione da HIV il cui virus non è ben controllato dalle terapie (per esempio, quando non sono assunte in modo corretto, o quando l’infezione è molto recente).
- Hanno rapporti sessuali occasionali e usano il preservativo saltuariamente.
- Hanno una nuova relazione sessuale ma non conoscono lo stato dell’infezione del partner e non usano il preservativo.
- Non usano il preservativo con il/la partner di cui non si conosce lo stato sierologico ma che è ad alto rischio di infezione da HIV (ad esempio, una persona che fa uso di droghe o che ha rapporti sessuali promiscui).
- Tossicodipendenti che condividono materiale per iniettare droghe.
La PrEP, tuttavia, sembra ancora poco diffusa e questo, secondo la nostra esperienza, è legato a diversi ordini di motivi: in primo luogo, sono tante le persone che afferiscono al nostro “Servizio di Screening HIV in anonimato” per effettuare il test HIV e che non conoscono questa strategia di prevenzione; talvolta, seppure conosciuta, la rifiutano perché spaventati dagli effetti collaterali o anche perché è costosa e non rimborsabile dal SSN.
Negli ultimi mesi, inoltre, il ricorso alla PrEP si è ridotto ulteriormente a causa della pandemia di Covid-19, che ha reso più complicata sia la gestione delle persone con HIV, sia la prevenzione.
E sempre a proposito della prevenzione, è necessario ribadire che, nonostante la portata rivoluzionaria di questi studi per prevenire l’HIV, l’uso del preservativo resta l’unico strumento per prevenire altre infezioni sessualmente trasmissibili, come la gonorrea, la sifilide, la clamidia e l’epatite B e C.
Le nuove scoperte hanno determinato una nuova progettualità delle persone con HIV anche rispetto al concepimento, favorito dalla possibilità di prevenire il rischio di trasmissione verticale in caso di sieropositività di uno o di entrambi i partner e dunque garantendo la sicurezza sia della donna che del nascituro.
Nelle coppie sierodiscordanti, come visto in precedenza, se la carica virale della persona sieropositiva non è rilevabile da almeno sei mesi, e la terapia antiretrovirale viene assunta con regolarità, si può procedere al concepimento in modo naturale senza rischio di infezione per il partner sieronegativo né per il feto (SIGO, 2017).
Inoltre, per le donne sieropositive in terapia antiretrovirale e con una carica virale al di sotto delle 50 copie/ml è possibile effettuare il parto naturale; in altre condizioni il taglio cesareo alla 38esima settimana è raccomandato come la misura più efficace nel prevenire la trasmissione dell’HIV al nascituro.
Per concludere, la ricerca, dunque, ha fatto passi clamorosi e ancora prosegue per migliorare ulteriormente la qualità di vita di chi convive con il virus puntando anche allo snellimento della terapia antiretrovirale. Già oggi è possibile la singola compressa a bassissima tossicità e da qualche tempo sono in fase di sperimentazione i long-acting drugs, molecole a lunga durata d’azione, somministrate attraverso iniezioni intramuscolari una volta al mese o, in un futuro non troppo lontano, addirittura una volta ogni 4 mesi. Se pensiamo che all’inizio la terapia consisteva in numerose compresse giornaliere, con importanti effetti collaterali, è evidente l’eccezionale portata di tali risultati e delle ricadute positive sull’aderenza terapeutica.
Tante buone notizie insomma, in prospettiva della svolta che tutte le persone con HIV attendono, ossia la svolta che porterà finalmente all’eradicazione del virus.
Antonietta Mariniello
Dirigente Psicologa A.O.R.N. dei Colli - Ospedale “D. Cotugno” - Napoli
Milena De Cenzo
Dirigente Psicologa A.O.R.N. dei Colli - Ospedale “D. Cotugno” - Napoli
Alberto Vito
Responsabile U.O.S.D. Psicologia Clinica A.O.R.N. dei Colli - Napoli
Vincenzo Sangiovanni
Direttore U.O.C “Infezioni sistemiche e dell’immunodepresso” A.O.R.N. dei Colli - Ospedale “D. Cotugno” - Napoli
Bibliografia
- COA (Centro operativo AIDS), Notiziario dell’Iss - Aggiornamento delle nuove diagnosi di infezione da HIV e dei casi di AIDS in Italia al 31 dicembre 2018, Volume 32 - Numero 10 2019
- Mariniello A, Sieropositività nella coppia: aspetti psicologici, Leadership Medica, Anno XVII, n. 7/2001.
- Riddell J, Amico KR, Mayer KH, , HIV Preexposure Prophylaxis: A Review, Jama, 2018.
- Rodger A, Bruun T, Cambiano V, et al. HIV transmission risk through condomless sex if HIV positive partner on suppressive ART: PARTNER Study. 21st Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections (CROI); Boston, MA, USA; March 3–6, 2014.
- Rodger AJ, Cambiano V, Bruun T, et al. Risk of HIV transmission through condomless sex in serodifferent gay couples with the HIV-positive partner taking suppressive antiretroviral therapy (PARTNER): final results of a multicentre, prospective, observational study. Lancet 2019;393(10189):2428-2438.
- SIGO, GRLA e Istituto Superiore di Sanità, Progetto Nazionale per la Sorveglianza sul Trattamento Antiretrovirale in Gravidanza. 2017;1–26.
Le immagini sono dei rispettivi proprietari @ pixabay.com