da Leadership Medica n. 4 del 2004
Abstract
Dopo aver brevemente ripercorso le principali tappe storiche dell’affermazione del concetto di Mobbing e aver chiarito dei vari termini ad esso associati, l’articolo passa a definire il Mobbing e a fare il punto sull’attuale situazione italiana: si esaminano i più recenti contributi in tema di riconoscimento INAIL e di contributi giuridici. Si esamina quindi la strada della tutela legale per ottenere il risarcimento del Danno subito in seguito al Mobbing. A questo proposito si delineano le peculiarità del Danno da Mobbing. che non deve essere confuso con il semplice danno biologico, e si accenna al nuovissimo “Metodo Ege 2002”, che consente la valutazione e la quantificazione monetaria del Danno da Mobbing ai fini giuridici.
Sommario
- Origine e storia del termine Mobbing
- La situazione in Italia
- Mobbing e malattia
- La tutela legale dal Mobbing
- Metodo EGE 2002
Origine e storia del termine Mobbing
Il Mobbing, o terrore psicologico sul posto di lavoro, pur costituendo un fenomeno vecchio come il mondo, a livello scientifico è conosciuto e studiato soltanto da una ventina d’anni. Le prime ricerche e teorizzazioni di Heinz Leymann, universalmente riconosciuto come il “padre del Mobbing”, risalgono alla metà degli anni Ottanta, mentre il suo primo e famoso libro uscì in Svezia all’inizio degli anni Novanta e in Germania nel 1993. In entrambi i Paesi fu un best seller e la tematica del Mobbing conobbe un’immediata diffusione. L’anno di boom del Mobbing fu il 1996, quando uscì il famoso numero 2/1996 della rivista europea di Psicologia del Lavoro EAWOP interamente dedicata al Mobbing. In quello stesso anno iniziava ufficialmente la ricerca anche in Italia, con l’uscita del primo libro sul Mobbing in lingua italiana e la costituzione a Bologna di PRIMA Associazione Italiana contro Mobbing e Stress Psico-sociale, l’organizzazione no profit che, oltre a dare il via all’assistenza alle vittime del Mobbing, redasse anche la prima ricerca statistica sul Mobbing in Italia, pubblicata poi in un mio testo del 1998. Leymann mutuò il termine Mobbing dall’etologia, dove Konrad Lorenz l’aveva utilzzato per spiegare il comportamento aggressivo di alcune specie di uccelli nei confronti di altre specie che venivano attaccate in massa e indotte così alla fuga. Il sostantivo inglese mob indica “la folla tumultuante, la plebe, la plebaglia, la gentaglia, o anche la banda di delinquenti”; il verbo to mob significa “assalire tumultuando, affollarsi attorno a qualcuno”, mentre la forma verbale in - ing esprime l’attività, il movimento. Il termine ha dunque valenza metaforica ed esprime così con tutta la forza dell’immagine dell’assalto e dell’accerchiamento di gruppo, la situazione di terrore psicologico dovuta all’isolamento della vittima di fronte all’ostilità degli altri. Ultimamente, in corrispondenza con lo sviluppo della ricerca nei Paesi anglosassoni, in ambito internazionale è divenuta consuetudine utilizzare il termine Bullying come sinonimo di Mobbing, che storicamente e culturalmente è più legato all’area tedesca e scandinava. Con Bullying la psicologia ha inizialmente identificato gli atteggiamenti di prevaricazione e violenza di gruppo tra bambini e ragazzi in ambito scolastico, ossia il fenomeno noto in italiano come bullismo. Poichè comunque il Mobbing è proprio dell’ambiente di lavoro e delle sue particolari dinamiche, per evitare equivoci è invalsa tra i ricercatori internazionali la buona abitudine di connotare sempre il termine con l’ambiente di applicazione, per cui si parla di Bullying at school o School Bullying per il bullismo e di Bullying at work o Workplace Bullying per riferirsi invece al Mobbing. Altro termine in uso, spesso equivocato, è Bossing (=“spa-droneggiare, co-mandare”): la ra-dice inglese ha un significato molto simile a quello di Bullying, tuttavia i due termini non devono essere confusi: Bossing infatti indica un tipo particolare di Mobbing, quello cioè messo in atto dall’azienda nei confronti di uno o più dipendenti come precisa stra-tegia di riduzione dell’organico. Negli Stati Uniti è diffuso il termine Job Harassment (=“vessazione, tormento, molestia sul lavoro”), che normalmente è usato nel contesto limitato delle molestie sessuali, che possono anche essere una forma di Mobbing; si trova inoltre l’espressione Work Abuse, che indica più letteralmente l’abuso di potere o di comportamento.
Appartengono invece al vocabolario italiano due coppie di espressioni molto diffuse. Mobbing verticale/Mobbing orizzontale e Mobbing emozionale/strategico.
Purtroppo non mi sembra che tale nuova terminologia apporti una migliore o più corretta definizione del pro-blema; anzi, sono piuttosto convinto che tenda addirittura ad alimentare equivoci e incomprensioni. Per quanto riguarda la coppia di aggettivi verticale/orizzontale, fin dal suo esordio feci notare come il Mobbing abbia tre dimensioni - e non soltanto due come tale antinomia lasciava invece intendere - e come gli studiosi della materia preferiscano parlare di Mobbing dall’alto, quando il mobber è un superiore o l’azienda, di Mobbing tra pari quando ad attaccare è un collega di pari grado e di Mobbing dal basso nei pochi, ma attestati, casi in cui un sottoposto attua una sorta di ammunitamento. Non appena eviden-ziai questo problema, si ricorse ancora una volta alla fantasia e si cominciò a parlare di Mobbing verticale ascendente o discendente, complicando ulteriormente, a mio modesto avviso, una materia che è di per sè già abbastanza ostica. La seconda coppia di antonimi, Mobbing emozionale e strategico, è più recente e ultimamente molto in voga, tuttavia anche in questo caso risulta scarsamente descrittiva del fenomeno: all’interno di qualsiasi vicenda di Mobbing, infatti, sono identificabili sia un elemento emotivo, su cui si basa e prospera il conflitto, sia una strategia lesiva ben precisa da parte del mobber, come si dirà in seguito.
La situazione in Italia
Negli ultimi anni la conoscenza e la ricerca sul Mobbing dalla Scandinavia, Germania e Gran Bretagna si è diffusa capillarmente nel resto dell’Europa: dopo l’Italia, il problema è esploso in Francia dopo la pubblicazione, nel 1998, del saggio di Marie-France Hirigoyen “L’harcèlement moral: la violence perverse au quotidien”; in Spagna, dove nel giro di un paio d’anni si sono moltiplicate le associazioni e le organizzazioni contro l’Acoso Moral, così come là viene chiamato il Mobbing; persino i Paesi dell’ex blocco sovietico, come la Polonia, cominciano ad interessarsi al fenomeno. Secondo l’Agenzia Europea per la salute e la sicurezza sul lavoro, il Mobbing coinvolgerebbe circa 40 milioni di cittadini dell’Unione Europea. Occorre prendere queste cifre con le dovute cautele, poichè derivano da ricerche condotte con strumenti e metodologie discordanti, tuttavia il dato è allarmante. In Italia, l’Associazione PRIMA di Bologna (www.mobbing-prima.it) ha stimato che le vittime di Mobbing superano il milione e che sui 5 milioni si aggira il numero di persone in qualche modo coinvolte nel fenomeno, come spettatori o amici e familiari delle vittime. Sempre PRIMA ha calcolato che un lavoratore costretto alla pensione a soli 40 anni costa alla Società ben 620.000 Euro in più rispetto ad uno pensionato all’età prevista. Il Mobbing è essenzialmente una situazione di conflitto sul lavoro, che si presenta come una serie di azioni ostili costanti, frequenti e prolungate nel tempo, portate da uno o più individui aggressori - detti mobber - ai danni di una o più vittime - detti mobbizzati - con lo scopo preciso di arrecare danno. Le azioni di Mobbing possono essere attive (attacchi ai contatti umani e alla reputazione, cambiamenti delle mansioni, minacce, critiche, pettegolezzi, violenze, etc) oppure passive (isolamento, discriminazioni, ostruzionismi, sabotaggi, rifiuto di collaborazione e di risposte, etc), ma in ogni caso sono tese alla distruzione psicologica, professionale e/o sociale del mobbizzato, generalmente perchè questo si è venuto a porre in una posizione “scomoda”. Il Mobbing consiste in un lungo processo in cui il sistema delle relazioni tra gli individui si caratte-rizza sempre di più in base a una serie ripetuta di strategie negative. Il Mobbing infatti non è mai immotivato: per quanto banale, fortuita o importante, vi è sempre una ragione ben precisa dietro il comportamento lesivo del mobber, che in genere vede la sua vittima come un ostacolo, un fastidio, un problema da eliminare. La vittima di Mobbing può derivare vari tipi di danno: professionale, psicologico, alla salute, alla sua sfera privata ed esistenziale in senso lato del termine. Dal contesto lavorativo infatti il conflitto si propaga velocemente alla sfera intima e famigliare della persona: il mobbizzato perde autostima e fiducia in se stesso, sviluppa spesso manifestazioni di depressione, pessimismo, ansia, diventa noioso, irritabile, ossessionato dai suoi problemi, per cui dirada i rapporti sociali e si isola sempre di più anche all’interno del suo stesso nucleo famigliare. Si tratta del cosiddetto Doppio Mobbing, un fenomeno collaterale al Mobbing, da me teorizzato in seguito alla ricerca condotta in Italia, che vede l’atteggiamento della famiglia della vittima di Mobbing passare da una iniziale comprensione a una fase di disinteresse per giungere ad una sorta di sfiducia-ripulsa finale contro il mobbizzato, divenuto ormai una minaccia per l’integrità della famiglia stessa. In Italia il termine Mobbing è ormai sulla bocca di tutti. Dopo un iniziale momento di deprecabile confusione, in cui praticamente tutto veniva considerato Mobbing, dalle liti coniugali ai diverbi sportivi, fino addirittura ai battibecchi tra condomini (qualcuno ha addirittura accusato l’Euro di mobbizzare i consumatori!), oggi siamo giunti fortunatamente ad una discreta conoscenza di base del problema, per cui almeno gli equivoci più clamorosi sembrano essere finalmente banditi. Persistono ancora tuttavia, alcune incomprensioni più sottili, ma non per questo meno importanti: Diffusissime - e pericolosissime - sono per esempio le equazioni:
- Mobbing = depressione;
- Mobbing = stress occupazionale;
- Mobbing = molestia sessuale;
- Mobbing = demansionamento;
- Mobbing = reato;
- Mobbing = Bossing.
Altrove si arriva ad affermare che il Mobbing sarebbe una malattia, oppure una categoria di pertinenza esclusivamente giuridica. Perchè tutto questo è pericoloso? Una cattiva percezione del fenomeno si traduce automaticamente in un danno per chi ne è vittima, nel senso che la persona che non viene identificata subito come vittima o non vittima di Mobbing viene indirizzata male e perde tempo, denaro, opportunità. Per questo è essenziale che l’informazione sul Mobbing, soprattutto a livello professionale, sia assolutamente corretta.
Mobbing e malattia
Il vero problema dietro alla disinformazione sul Mobbing, tuttavia, è ben più ampio. Sembra quasi che ogni categoria stia letteralmente rivendicando il Mobbing come bene esclusivo, da usare a proprio uso e consumo. Così i giudici tendono a vedere il Mobbing come una categoria esclusivamente giuridica, ragion per cui si sentono in grado e in diritto di operare in piena autonomia distinzioni cruciali e complesse tra Mobbing e non Mobbing; le associazioni sindacali, dal canto loro, si ritengono i referenti esclusivi del problema, finendo purtroppo nella maggior parte dei casi per equivocarlo profondamente; infine, neppure certi medici si sottraggono a questa disputa, tendendo a considerare il Mobbing come una malattia da diagnosticare e trattare. Sebbene abbia indiscutibili riflessi nel campo della Medicina e della Psichiatria, il Mobbing è un tema esclusivo della Psicologia del Lavoro. Il Mobbing non è una patologia, è una situazione; non è un problema dell’individuo, è un problema dell’ambiente di lavoro; il Mobbing, insomma non è depressione, ansia, insonnia, gastrite, stress occupazionale o quant’altro, è la causa di questi disturbi: il Mobbing insomma non è l’effetto, è la causa! Se una persona viene investita da un’automobile e si rompe una gamba, la diagnosi medica con cui uscirà dal Pronto Soccorso sarà presumibilmente qualcosa come “Frattura dell’arto inferiore”: sicuramente essa non sarà certo “incidente stradale”. Ciò sarebbe assurdo, in quanto costituirebbe chiaramente la poco probabile opera-zione di diagnosticare la causa di un trauma. Una “diagnosi di Mobbing” equivale concettualmente a una “diagnosi di incidente stradale”: entrambe non hanno alcun senso. Il mobbizzato è una persona che ha riportato disturbi e danni psicofisici in seguito all’esposizione prolungata ad un ambiente di lavoro ostile e persecutorio. La causa dei suoi problemi non è in lui/lei, nella sua personalità, nel suo atteggiamento o nel suo passato; bensì nell’ambiente ostile che lo circonda sul lavoro. Con questo non intendo “defraudare” minimamente la categoria medica di ciò a cui le spetta: nel Mobbing c’è, veramente, posto per tutti. Allo psicologo, e precisamente allo psicologo del lavoro, spetterà il compito di identificare il Mob-bing in una situa-zione lavorativa e di valutare il danno specifico da Mob-bing; al medico, e più precisamente ad alcune specializza-zioni mediche quali la psichiatria, la medicina legale, la medicina del lavoro, spetterà il compito di valutare e trattare le conseguenze del Mobbing sulla salute della vittima e sull’ambiente di lavoro. Recentemente l’INAIL, con la circolare n. 71 del 17.12.2003, ha stabilito che possono essere considerati di origine professionale, e quindi indennizzabili, anche i disturbi psichici causati, o concausati in modo prevalente, da situazioni di “costrittività organizzativa”. L’elenco di tali situazioni, e la successiva specificazione delle condizioni di lavoro che invece non vi rientrano, permettono a tutti gli effetti di identificare la “costrittività organizzativa” con il Mobbing. Il Mobbing dunque viene ufficialmente riconosciuto dall’INAIL come un fattore di rischio dell’ambiente di lavoro, che può dare luogo a malattie professionali “non tabellate”. Come tali, spetta al lavoratore produrre le prove documentali del nesso causale tra la sua malattia e l’ambiente di lavoro, tuttavia l’INAIL ammette che nel caso specifico non sempre la persona singola è in grado di fornire tutte le prove che le servono. Per questo motivo l’INAIL stabilisce come procedura obbligatoria la conduzione di indagini ispettive sul posto di lavoro per raccogliere riscontri oggettivi ed eventuali elementi integrativi attraverso le prove testimoniali di colleghi, datore di lavoro, responsabili dei servizi di prevenzione e di protezione delle aziende e di ogni persona informata sui fatti. Quest’ultima precisazione costituisce a mio avviso un grosso passo in avanti nella gestione dei casi di Mobbing, per cui la circolare INAIL è a tutti gli effetti molto importante. Tuttavia, non mancano purtroppo i lati oscuri. L’INAIL ha ristretto molto il campo delle diagnosi che permettono l’automatico ricono-scimento del nesso causale con il Mobbing: parla infatti soltanto di sindrome (o disturbo) da disadattamento cronico e di sindrome (o disturbo) post-traumatico da stress cronico. In particolare, la diagnosi più correlabile ai rischi da “costrittività organizzativa” sarebbe quella di Disturbo dell’Adattamento cronico, mentre il cosiddetto PTSD dovrebbe essere applicabile nei casi con connotazioni più estreme. La limitazione delle diagnosi possibli a queste due ha suscitato non poche perplessità tra gli operatori del settore. L’associazione tra Mobbing e Post Traumatic Stress Disorder appare in effetti più frutto di un equivoco che di una ragionata applicazione dei criteri diagnostici del DSM-IV. Nel 1996 Leymann affrontò direttamente la questione delle conseguenze di natura psichiatrica del Mobbing e ritenne che la maggior parte delle vittime di Mobbing potesse essere inquadrata a tutti gli effetti nella casistica del PTSD. In realtà, ciò a cui Leymann era interessato era dimostrare che i mobbizzati spesso mostrano una significativa modificazione della personalità, come prevede appunto questo il PTSD, e che quindi non aveva alcun senso imputare il Mob-bing ad una presunta personalità “malata” della vittima. Il Mobbing, diceva Leymann in sostanza, non dipende dalla vittima, ma dall’ambiente di lavoro. Egli non si preoccupò mai di verificare la correttezza o meno della diagnosi di PTSD in conseguenza al Mobbing: del resto non era un medico, ma uno psicologo del lavoro. Secondo alcuni contributi recenti, la diagnosi di PTSD appare inapplicabile in conseguenza a casi di Mobbing, sulla base degli stessi criteri stabiliti dal DSM-IV. In particolare, il Mobbing definito come situazione di conflitto persistente, sistematico e duraturo non rispetterebbe il criterio A del PTSD, ossia quello dell’evento traumatico estremo, tale cioè da implicare morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica della persona stessa o di altre (non a caso, il Disturbo Post Traumatico da Stress ricevette legittimazione scientifica a seguito del trattamento dei reduci del Vietnam e viene normalmente diagnosticato in persone soprav-vissute a incidenti, stragi, guerre, catastrofi o altri eventi di gravità per l’appunto estrema). Dubbi, anche se di altro tipo, suscita anche l’altra patologia o sindrome che l’INAIL correla al Mobbing, ossia il Disturbo dello Adattamento. In questo caso gli esperti non mettono in dubbio la correttezza della diagnosi, che appare effettivamente la più adatta in molti casi di Mobbing; le perplessità provengono invece dall’opinione condivisa secondo cui il DA sarebbe una mera diagnosi di esclusione. In questo senso, esso non indicherebbe una vera e propria patologia psichiatrica, ma un semplice disturbo di gravità molto limitata che quindi, a livello di valutazione del danno biologico, darebbe diritto ad un punteggio relativamente basso.
Il rischio che alcuni temono, in sostanza, è che il mobbizzato abbia sì finalmente trovato la strada per ottenere un indennizzo INAIL, ma che alla fine si ritrovi poi insoddisfatto della somma modesta che ha ottenuto, in relazione alla scarsa gravità della patologia di cui è stato riconosciuto affetto. Sempre in tema di riconoscimento di patologie in seguito al Mobbing, occorre tener presente che il Mobbing spesso più che come causa scatenante ed unica di una patologia, agisce come un catalizzatore, ossia come fattore concausale che porta all’aggravamento di sintomi o malattie preesistenti. Il caso tipico è quello della depressione, una patologia spessissimo legata al Mobbing ma che tuttavia non appare nella tabella dell’INAIL. L’esperienza insegna che una persona incline alla depressione o che in passato ne ha sofferto ha altissime probabilità di ripiombarvi a capofitto se esposta a Mobbing; in casi di questo genere non risulta corretto nè affermare che il Mobbing ha provocato la malattia, nè escludere in modo assoluto il nesso causale tra essa ed il Mobbing: la verità è, come spesso accade, proprio nel mezzo. Gli studi più recenti suggeriscono che anche qualora vi sia una predisposizione di personalità o caratteriale alla depressione maggiore (con tratti di carattere come la difficoltà ad affermarsi, la scarsa fiducia nella proprie capacità, l’instabilità emotiva, l’asocialità, la preoccupazione per il proprio stato di salute, il sentirsi perseguitati da un destino avverso) particolare importanza rivestono comunque i fattori psicologici e ambientali, che possono fungere o da componenti scatenanti la malattia oppure da elementi precipitanti di una situazione già precaria e/o emergenti di una situazione preesistente in modo latente. Fra i principali fattori traumatizzanti, la scienza medica annovera inequivocabilmente anche le perdite di status o ruolo o ancora, importanti delusioni, frustrazioni, fallimenti, come anche importante risulta il supporto e il sostegno che l’individuo riceve dalla società e dall’ambiente che lo circonda nel superare e/o mitigare le conseguenze degli aspetti stressogeni. Questo concetto ha anche avuto anche il ricoscimento ufficiale della Giurisprudenza: la sentenza della Cassazione n. 5539 del 2003 ha infatti sancito la risarcibilità del danno biologico anche in presenza di una predisposizione fisica.
La tutela legale dal Mobbing
Di fronte ad una situazione di Mobbing, la questione più pressante è naturalmente quella che riguarda le possibili soluzioni: cosa fare insomma per uscirne, o perlomeno per alleggerirne le conseguenze. Le strade battibili per un cosiddetto mobbizzato sono senz’altro due. La prima è quella di lavorare su se stessi, per migliorare le proprie difese e le proprie capacità interpersonali, per esempio con i percorsi di Autodifesa Verbale o di altra formazione individuale. La seconda strada è invece, ove naturalmente ve ne siano gli estremi, l’individuazione di una strategia di tutela dagli abusi sul lavoro tramite il ricorso al legale. A volte basta qualche lettera, a volte invece non si prospetta altra soluzione se non quella di citare direttamente il mobber in una causa penale o, addirittura, l’azienda in una causa civile e/o di lavoro. Per quanto riguarda la tutela penale, va detto però che le possibilità sono ancora piuttosto ristrette, giacchè allo stato di fatto e di diritto attuale non è ancora stata esplicitamente prevista dal legislatore una fattispecie tipica di reato inquadrante la condotta di Mobbing come tale. L’azione legale più diffusa e sostanzialmente più fattibile è, viceversa, senz’altro quella del ricorso alla Giustizia civile, e più precisamente al Giudice del lavoro, al fine di ottenere il risarcimento monetario del danno subito in conseguenza del Mobbing. In una causa di questo tipo il procedimento è sostanzialmente simile a quello di una causa per il risar-cimento del danno biologico: la vittima di Mobbing deve sostanzialmente provare: 1) che la situazione che ha vissuto sul lavoro è riconducibile al Mobbing e 2) che da essa ha riportato un danno risar-cibile, ossia che esiste un nesso causale (cioè un legame di causa-effetto) tra il Mobbing subito e il danno riportato. In questo caso, alla vittima di Mobbing che ricorre in giudizio occorre una perizia specifica che attesti prima di tutto che quello che ha subito può dirsi effettivamente Mobbing e quindi che valuti e quantifichi il danno che ha riportato. I medesimi motivi possono spingere il Giudice - o anche il Pubblico Ministero nel caso di una causa penale - a chiedere una consulenza tecnica, cosiddetta d’Ufficio, di un Esperto di Mob-bing. Come appare chiaro, il fronte giuridico è un terreno nuovo e straordinariamente fertile per lo sviluppo della ricerca sul Mobbing, e in questa direzione si è infatti rivolto negli ultimi anni il lavoro del sottoscritto e degli altri esperti di PRIMA. In particolare, in ambito giuridico gli studi condotti hanno portato ad un’attenta riflessione sul concetto giuridico di danno ed alla precisa definizione della nuova categoria risarcitoria del danno da Mobbing, che si affianca, dove possibile, a quella più tradizionale del puro danno biologico. Parallelamente, dal punto di vista della Psicologia del Lavoro, il nostro lavoro è giunto alla messa a punto di un metodo di riconoscimento del Mobbing in una vicenda lavorativa e di successiva valutazione e quantificazione monetaria del danno da esso derivato. Il danno da Mobbing è un concetto sulla cui esistenza e pregnanza il coro di voci è sostanzialmente unanime, non altrettanto invece sulla sua natura specifica. Come è noto, da alcuni esso è consi-derato una sorta di “danno biologico allargato”; altri invece preferiscono inquadrarlo sotto il profilo patrimoniale del danno professionale; altri ancora, in accordo con le più innovative correnti del diritto italiano, lo ritengono un esempio del cosiddetto danno esistenziale. Come è noto, questa nuova categoria di danno recentemente invalsa indica - e ci-tiamo al proposito Paolo Cendon - un “danno derivato dalla forzosa rinuncia allo svolgimento di attività remunerative, fonte di compiacimento o benessere per il danneggiato, ma non causato da una compromissione dell’integrità psicofisica”. Lo stesso autorevole giurista lo ha anche indicato come “la modificazione della realtà concreta della vittima, derivante dai condizionamenti e dalle compressioni innescate dall’illecito nella sua sfera di esplicazione personale”. A parere di chi scrive il danno da Mobbing ha una natura complessa, che in qualche modo assomma e sintetizza tutti questi punti di vista, ma che conserva nel contempo una sua propria specificità. In base alla nostra ricerca, siamo giunti a configurare il danno da Mobbing essenzialmente come riduzione della capacità lavorativa della persona mobbizzata, poichè le difficoltà sociali vissute dal mobbizzato provocano innanzitutto il suo immiserimento professionale con conseguenze negative su tutto il suo avvenire lavorativo. Come tale, il danno da Mobbing ha dunque una base fondamentalmente patrimoniale, a cui si possono aggiungere componenti di altra natura, per esempio riferibili alla sfera esistenziale (nel caso in cui le conseguenze negative si ripercuotano sulla qualità di vita in senso lato del mobbizzato), oppure inquadrabili nel classico schema del danno biologico, se dal Mobbing siano derivate lesioni alla salute psicofisica. All’idea della base patrimoniale del danno da Mobbing ci ha portato l’analisi di alcune delle azioni di Mobbing più comuni, come le decurtazioni dello stipendio o nel caso peggiore la perdita del lavoro, le lesioni all’immagine personale e professionale, le mancate promozioni, i trasferimenti illegittimi, le multe e le sanzioni disciplinari, il blocco di informazioni o i sabotaggi che ostacolano o impediscono il corretto svolgimento del lavoro, fanno perdere tempo e influiscono quindi sul rendimento della vittima, oltre alle conseguenze della perdita delle capacità psicofisiche, come le difficoltà di memoria e di concentrazione, la paralisi della creatività, l’annullamento dello spirito di iniziativa: si tratta di lesioni che investono soprattutto la sicurezza economica del mobbizzato e come tali hanno quindi ripercussioni prettamente patrimoniali e reddituali. Non potevamo comunque fermarci a questo punto, poichè, come sostiene la migliore letteratura giuridica e psicologica, le conseguenze del Mobbing possono (e nella maggioranza dei casi così effettivamente succede) fuoriuscire dallo stretto ambito lavorativo ed intervenire sulla vita privata e personale dell’individuo. Queste ripercussioni sono di tipo prettamente esistenziale, investendo la sfera personale e sociale dell’individuo, e comprendono per esempio la diminuzione di interesse nella vita privata e nel tempo libero, il calo o la scomparsa del desiderio sessuale, il minor tempo dedicato ai figli, la perdita della fiducia in se stessi e nelle proprie capacità, l’azzeramento delle aspettative e della progettualità per il futuro, fino alle crisi coniugali e ad altre fratture dolorose. Infine, il Mobbing può (e ancora una volta sottolineiamo che solitamente è così, ma non necessariamente) incidere direttamente anche sullo stato di salute della vittima, rendendola più vulnerabile ai fattori di malattia psichica o fisica. Questa parte di danno è di natura prettamente biologica, cioè investe la salute ed è di competenza esclusivamente medica. La lesione corrispondente è quindi suscettibile di valutazione medico-legale. Un nuovo metodo per la valutazione e la quantificazione del danno da Mobbing Fin qui la teoria, che non abbiamo tuttavia mancato di trasformare in prassi. Il risultato è stata l’elaborazione di un procedimento assolutamente nuovo ed originale, denominato “Metodo Ege 2002 per la determinazione del Mobbing e la quantificazione del Danno da Mobbing”, che consente come primo e fondamentale passo di riconoscere o meno la presenza del Mobbing in una vicenda lavorativa, e successivamente di calcolare il grado di lesione risarcibile riportata dal mobbizzato, mettendolo quindi in grado di fronte al Giudice prima di tutto di dimostrare di essere stato vittima di Mobbing e quindi di monetizzare il danno di cui chiede il risarcimento. Il primo problema che ci siamo posti è stato quello del riconoscimento preciso e sicuro del Mobbing: di fronte alla disinformazione dilagante di cui abbiamo parlato, la necessità assoluta ci è parsa infatti quella di superare l’abitudine di definire questo fenomeno attraverso delle semplicistiche liste di comportamenti e di trascendere così il livello particolare della singola vicenda conflittuale. In vista di tale compito ci siamo basati sulla ricerca empirica che PRIMA porta avanti dal 1996 e che attualmente conta oltre 3000 casi analizzati. Siamo così giunti all’individuazione di sette parametri tassativi, la cui presenza contestuale permette di riconoscere il Mobbing in una vicenda lavorativa conflittuale. Si tratta di sette criteri oggettivi e scientificamente accettabili che, da un lato, sgombrano finalmente il campo dalla disinformazione e dall’equivoco imperanti, e dall’altro permettono una valutazione rigorosa e sicura della presenza del Mobbing. Appare evidente che il riconoscimento del Mobbing costituisce un passo fondamentale sia in ambito giuridico - essendo una premessa indispensabile nella causa penale così come in quella civile risarcitoria - sia nel campo più specifico della Psicologia del Lavoro, poichè in sostanza implica la messa a punto di una definizione finalmente tassativa e rigidamente scientifica del Mobbing. La prima fase del “Metodo Ege 2002” riguarda dunque la determinazione del Mobbing. Essa consiste nella verifica empirica e rigo-rosa della presenza dei sette parametri nella vicenda in esame e termina con un giudizio chiaro: se tutti e sette i parametri sono presenti, oppure se il caso rientra in una delle due eccezioni previste, allora l’esito è positivo e la conflittualità della vicenda in esame è a tutti gli effetti classificabile come Mobbing; se invece anche solo uno dei parametri non è rispettato e la vicenda non rientra nelle due eccezioni, allora non è scientificamente possibile parlare di Mobbing ed il lavoro dell’Esperto si esaurisce. Ugualmente la perizia si interrompe a questo punto nel caso in cui il suo scopo fosse soltanto quello di stabilire o meno la presenza del Mobbing nella vicenda (in linea generale, la presenza del Mobbing è tutto quello a cui il perito è chiamato ad accertare nella causa penale). La seconda fase del “Metodo Ege 2002” è quella della valutazione della Lesione Accertata da Mobbing (L.A.M.) totale permanente, ossia del calcolo matematico dell’entità del danno da Mobbing. Si procede a questo stadio ovviamente solo quando l’esito della prima fase è positivo e solo se al perito è stato richiesto di procedere alla valutazione del danno derivato dal Mobbing accertato, oggetto della causa civile di risarcimento. In questa fase l’Esperto procede, sulla base del calcolo matematico di valori convenzionali, alla percentualizzazione della cosiddetta L.A.M. totale permanente, che indica il grado di lesione che la vittima di Mobbing ha riportato sia a livello professionale/economico, sia dal punto di vista cosiddetto esistenziale (maggiorazioni relative al Doppio-Mobbing e al calo di Autostima). Nella valutazione si tiene conto di più varianti, come la durata e la frequenza del Mobbing, lo stadio raggiunto dalla vicenda lavorativa e la fascia di reddito della vittima. Il risultato di questa seconda fase è un numero che indica in percentuale la riduzione delle capacità lavorative, relazionali, affettive, sociali, etc. che il soggetto ha riportato in seguito al Mobbing. Tale percentuale viene poi monetizzata nella terza e ultima fase del “Metodo Ege 2002”, quella appunto della quantificazione monetaria della L.A.M. totale permanente. Con apposite Tabelle di Monetizzazione del Danno da Mobbing, elaborate sulla base dell’attuale tabellazione per la quantificazione del danno biologico, il perito giunge alla determinazione dell’indennizzo monetario che il mobbizzato può richiedere davanti al Giudice a titolo di risarcimento per l’insieme dei danni che il Mobbing gli ha arrecato. I valori di tale indennizzo variano a seconda del sesso e dell’età della vittima, oltre naturalmente a tener conto dell’inflazione Il “Metodo Ege 2002” costituisce il primo esperimento in assoluto di tabellazione matematica per il risarcimento del Danno da Mobbing ed è presentato e dettagliatamente spiegato nel testo di H. Ege “La valutazione peritale del Danno da Mobbing”, edito da Giuffrè, Milano, 2002, che nell’Appendice riporta tra l’altro anche le Tabelle complete di Monetizzazione del Danno da Mobbing.
(H.Ege, “La valutazione peritale del danno da Mobbing”, Giuffrè, Milano 2002)
Prof. Harald Ege
Dottore di Ricerca in Psicologia
del Lavoro e dell'Organizzazione
Esperto di Mobbing - CTU del Tribunale
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Sul danno da Mobbing:
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13. Cantisani D., Ege H. La perizia sul danno da Mobbing. Che cosè e a che cosa serve, Ed. PRIMA Associazione Italiana contro Mobbing e stress psicosociale, Bologna, 2002
14. Cendon P. Esistere o non esistere, in Le Nuove Voci Del Diritto, a cura di G. Cassano (reperibile all’indirizzo www.lenuovevocideldiritto.com)
15. Cendon P. Trattato breve dei nuovi danni. Il risarcimento del danno esistenziale, vol. III, Cedam Padova, 2001.
16. Ege H. La valutazione peritale del Danno da Mobbing, Giuffrè, Milano, 2002
Sulla multifattorialità dell’eziogenesi della depressione:
17. Klerman e Weissman. Psicoterapia interpersonale della depressione, Bollati Boringhieri
18. Vella e Loriedo La prospettiva relazionale della depressione, Psicobiettivo, 10
19. Rush Short-term psychoterapies for depression. Behavioral, Interpersonal, cognitive and Psychodynamic Approaches. The Guilford Press.