da Leadership Medica n. 6 del 2000
Si possono chiamare culti distruttivi o gruppi totalitari ma la prassi di certe organizzazioni è sempre la stessa: offendere deliberatamente e in modo continuato la dignità umana dei loro membri e probabilmente anche i diritti dell'uomo.
I culti distruttivi si celano dietro quella libertà di fede, di coscienza e di associazione che sono garantite in tutti i Paesi democratici, sfruttano l'area effettivamente non regolata dal diritto in riferimento alla manipolazione mentale fino al limite estremo. E' proprio da questo che deriva la difficoltà di far luce dietro la facciata. Si ha così un paradosso: le stesse norme e le stesse leggi che sono state emanate per la tutela delle libertà dell'uomo, consentono ai culti distruttivi di indottrinare i loro membri e ridurli in schiavitù. I metodi usati vanno dai procedimenti ipnotici alle dinamiche di gruppo.
L'individuo durante tutta la fase di iniziazione è ingannato e manipolato, ma mai direttamente minacciato, in modo tale che faccia le scelte che sono previste. Una volta all'interno del culto il controllo del contesto sociale è mantenuto grazie all'intervento di diversi fattori:
- Processi interni
- Isolamento da altre persone
- Pressione psicologica
- Distanza geografica
- Mancanza di mezzi propri
- A volte pressione fisica
L'imposizione di un forte controllo dell'ambiente è strettamente connessa al processo di cambiamento dell'individuo.
Nel caso in cui sia molto intenso, il controllo mira a divenire interiorizzato, nel tentativo di gestire la comunicazione interiore dell'individuo.
Pur non realizzandosi mai in maniera completa il controllo può arrivare in profondità. Si manifesta come il convincimento che il possesso della verità sia un'esclusiva del gruppo e così può entrare in conflitto con l'autonomia dell'individuo, vissuta come una minaccia.
L'indottrinamento effettuato dai culti distruttivi passa attraverso sofisticate e potenti tecniche:
- Controllo del comportamento
- Controllo dei pensieri
- Controllo delle emozioni
- Controllo dell'informazione
Il controllo del comportamento
E' ciò che regola la realtà fisica di un individuo. Include il controllo del contesto in cui la persona si trova - dove abita, quali vestiti indossa, che cibo mangia, quanto dorme, che tipo di lavoro svolge - come pure le sue abitudini e altre attività. I culti totalitari sanno bene che se per un motivo qualsiasi il comportamento di un individuo cambia, l'intera gamma di valori e l'immagine che ha di se stesso muteranno a loro volta, per accordarsi al mutamento. Quindi la necessità di esercitare cambiamento è alla base dei rigidi programmi di vita imposti agli adepti.
Nei culti distruttivi c'è sempre qualcosa da fare. In alcuni gruppi i membri devono chiedere il permesso per qualsiasi cosa. In altri casi l'individuo viene reso così dipendente dal punto di vista finanziario che la sua facoltà di scelta comportamentale si restringe automaticamente. Il seguace deve essere autorizzato a telefonare a un amico o a un parente fuori dal gruppo e deve rendere conto di ogni ora della giornata. In un ambiente così strutturato, tutti i comportamenti possono essere premiati o puniti. L'ubbidienza è la più importante lezione da apprendere. Chi comanda sa che non potrà mai controllare completamente i pensieri di un individuo, ma sa anche che nel determinarne il suo comportamento riuscirà ad arrivare anche al cuore e alla mente di quel soggetto.
Si tratta di un'altra importante componente, prevede l'indottrinamento dei membri in maniera così pervasiva da far loro interiorizzare la dottrina del gruppo, assumere un nuovo sistema gergale e usare tecniche di blocco del pensiero che tengano le loro menti "centrate", ovvero sempre concentrate sull'obiettivo imposto dal gruppo. Per divenire un buon seguace, infatti, una persona deve prima imparare a manipolare i propri processi mentali.
Nei culti totalitari, l'ideologia è interiorizzata come "la verità", l'unica e autentica "mappa" della realtà. La dottrina non solo serve a filtrare le informazioni in entrata, ma indica anche il modo in cui elaborarle. Generalmente si tratta di dottrine assolutistiche, che dividono ogni cosa in "bianco o nero", "noi o loro". Tutto ciò che è buono si incarna nel leader e nel suo gruppo. Tutto ciò che è cattivo è nel mondo esterno. La dottrina sostiene di poter esaudire tutte le domande, di rispondere a tutti i problemi e a tutte le situazioni.
Un affiliato non ha bisogno di pensare con la sua testa, dal momento che la dottrina pensa per lui. Un culto distruttivo ha un suo "proprio" linguaggio, che contempla parole ed espressioni tipiche. Poiché il linguaggio fornisce i simboli che usiamo per pensare, controllare determinate parole significa anche controllare i pensieri. I cliché del culto, così come il suo gergo, costruiscono un ulteriore muro invisibile tra appartenenti ed esterni. Il linguaggio del gruppo aiuta i membri a sentirsi speciali.
Un altro aspetto chiave del controllo del pensiero prevede l'addestramento specifico dei soggetti a bloccare e respingere qualsiasi informazione critica nei confronti del gruppo. I basilari meccanismi di difesa di una persona vengono confusi a tal punto da farla arrivare a difendere l'identità acquisita nel culto a scapito dell'identità originaria, che soccomberà nello scontro. La linea di difesa include:
- la negazione
- la razionalizzazione
- la giustificazione
- il desiderio
Se un'informazione trasmessa al membro di un culto viene percepita come un attacco al capo, alla dottrina o al gruppo stesso, per tutta risposta viene immediatamente eretto un muro di ostilità. I seguaci sono stati addestrati a non credere ad alcuna critica. Ogni eventuale appunto nei loro confronti è stato preventivamente presentato come "menzogne contro di noi". Paradossalmente le critiche mosse al gruppo non fanno che rafforzare la convinzione che la sua visione del mondo sia più che fondata. L'informazione, perciò, non viene mai accolta correttamente. Il blocco del pensiero è il modo più diretto per mandare in corto circuito la capacità di una persona di verificare la realtà. Di fatto se una persona pensa esclusivamente in maniera positiva rispetto al suo coinvolgimento nel gruppo, è senza dubbio intrappolata.
Il controllo del pensiero può effettivamente bloccare qualsiasi sensazione che non corrisponda a quelle previste dalla dottrina del gruppo e serve a fare dell'adepto uno schiavo laborioso e ubbidiente. In ogni caso, quando il pensiero viene controllato, anche le emozioni e i comportamenti sono posti sotto controllo.
Esso mira a stravolgere e limitare la sfera dei sentimenti. Sensi di colpa e paura sono gli strumenti impiegati per tenere le persone sotto controllo. Il senso di colpa è forse la più importante leva emozionale capace di indurre conformismo e accondiscendenza. Dal momento che la dottrina viene considerata perfetta così come il suo leader, qualsiasi problema possa sorgere non può che scaturire da una propria manchevolezza. In questo modo il seguace impara ad incolpare sempre se stesso ed è spinto a lavorare ancora di più.
La maggior parte degli affiliati non è affatto consapevole che i sensi di colpa e le paure vengono usati al fine di controllarli, rispondono invece con gratitudine ogni qual volta un dirigente faccia loro notare una "mancanza". La paura indotta mira a tenere unito il gruppo e sostanzialmente è usata in due modi. Il primo è la creazione di un nemico esterno che ti perseguita: la sindrome dell'assedio. Il secondo sistema è terrorizzare il soggetto a fronte della possibilità di essere scoperto e punito dai capi. La paura di cosa potrà accadere se non fai il tuo dovere può essere terribile.
Per controllare qualcuno attraverso la sue emozioni e i suoi sentimenti è necessario procedere alla loro ridefinizione. La felicità, ad esempio, è una sensazione a cui tutti aspirano. Se la felicità viene definita essere vicini a Dio e se quest'ultimo ha costituito o scelto quel determinato gruppo per portare avanti i suoi propositi, ubbidire alle sue dottrine diventa il solo modo per avere l'approvazione di Dio e la sua vicinanza. In alcuni gruppi quindi, la felicità consiste semplicemente nell'eseguire le direttive dell'organizzazione, reclutando proseliti o facendo affluire nelle casse del culto quanto più denaro possibile.
La felicità è definita come il senso di appartenenza alla comunità ed è riservata a coloro che rispettano i dettami del culto. Lealtà e devozione diventano quindi le qualità maggiormente valutate. Molti gruppi esercitano un controllo completo sulle relazioni interpersonali. I capi possono dire ai membri chi devono frequentare e chi accuratamente evitare. Alcuni arrivano a indicare ai propri affiliati chi possono sposare e chi no, esercitando un controllo diretto sull'intero rapporto matrimoniale, vita sessuale inclusa.
Il controllo dell'informazione
L'informazione è il carburante che usiamo per il buon funzionamento della nostra mente: se a una persona viene negata l'informazione necessaria a formulare giudizi fondati, non sarà più in grado di formarsi opinioni proprie. Le persone rimangono intrappolate nei culti non solo perché viene loro negato l'accesso a informazioni di carattere critico, ma anche perché vengono a mancare loro quegli appropriati meccanismi interni che servono a elaborarle. In molti culti totalitari le persone hanno un accesso limitato ai mezzi d'informazione che non siano di pertinenza del culto. Ciò è in parte dovuto al fatto che vengono tenute impegnate a tal punto da non avere il benché minimo tempo da dedicare ad altro. Tra i seguaci vige l'obbligo della delazione, devono quindi spiarsi a vicenda e riportare immediatamente ai leader attività improprie e commenti inopportuni. E, cosa più importante, viene tassativamente proibito loro di avere contatti con ex membri, arrivando a vietare anche il semplice saluto, poco importa all'organizzazione se l'ex membro è un amico o un parente. Devono essere evitate soprattutto le persone che potrebbero fornire loro maggiori informazioni. Alcuni gruppi arrivano al punto di leggere le lettere e intercettare le telefonate. Tanto è importante controllare l'informazione che le organizzazioni distruttive coniano differenti livelli di "verità" così da creare dottrine "esterne" e "interne".
Il materiale esterno, relativamente innocuo, è riservato al pubblico e ai nuovi reclutati. Le dottrine interne, invece, vengono svelate solo gradualmente, mano a mano che la persona entra a far parte dell'organizzazione.
Controllo del comportamento, del pensiero, delle emozioni e dell'informazione, insieme formano una rete totalizzante capace di intrappolare le menti anche degli individui più forti. L'applicazione di queste tecniche portano alla modificazione del comportamento umano attraverso:
- la destrutturazione
- il cambiamento
- la ristrutturazione
Per preparare un nuovo individuo a un cambiamento radicale è necessario dare prima uno scossone alla sua realtà. Gli indottrinatori devono disorientarlo: gli schemi di riferimento per capire se stesso e l'ambiente che lo circonda devono essere stravolti e distrutti. Sconvolgere la sua visione della realtà lo priva delle difese naturali. Una volta che una persona è distrutta o destrutturizzata, è pronta per la fase successiva. Il cambiamento consiste nell'imporre una nuova identità, un nuovo schema di comportamenti, pensieri ed emozioni che andrà a riempire il vuoto lasciato dal crollo della vecchia identità. Il processo di cambiamento richiede ben più che la semplice obbedienza alle autorità del culto. Ci sono numerose sessioni "comuni" nel corso delle quali si confessano le colpe del passato, si raccontano i successi ottenuti e viene instaurato un senso di appartenenza.
Questi incontri di gruppo sono molto efficaci per indurre il conformismo: il gruppo incoraggia alcuni comportamenti con lodi e riconoscimenti mentre punisce con silenzi di ghiaccio idee e atteggiamenti ritenuti non idonei. Gli esseri umani hanno un'enorme capacità di adattamento a contesti e situazioni del tutto nuovi e i culti distruttivi sanno bene come sfruttare queste capacità. Controllando ciò che circonda una persona, usando strategie di modifica comportamentale, inducendo stati ipnotici, premiando o condannando alcuni atteggiamenti, possono riprogrammare in tutta tranquillità l'identità di una persona.
Una volta che la persona è "cambiata" è pronta per la fase successiva: la ristrutturazione. Dopo averne smantellato l'identità e averlo indottrinato a credere in un nuovo sistema ideologico, l'individuo va ricomposto in un "nuovo essere". Deve essere fornito di una nuova finalità esistenziale e inserito in attività capaci di solidificare la sua identità.
Il primo e più importante compito del "nuovo" individuo sarà di denigrare la sua vecchia identità. La cosa peggiore che un membro possa fare è agire secondo la propria identità, a meno che questa non sia quella nuova di zecca datagli dal culto, che si andrà a completare dopo diversi mesi. La memoria del soggetto si distorce, tendendo a minimizzare le cose buone del passato e a ingigantire gli errori, i fallimenti, le ferite e i sensi di colpa. In caso di conflitto con il suo impegno rispetto alla causa, l'individuo dovrà gettarsi alle spalle ogni cosa: abitudini, interessi, amici e familiari. Cosa che preferibilmente andrà fatta con drammatiche prese di posizioni pubbliche. Per aiutare a interiorizzare il processo alcuni culti cambiano il nome ai seguaci. Molte organizzazioni spingono affinché gli affiliati cambino il modo di vestire e il taglio dei capelli, andando a incidere su qualsiasi cosa possa loro ricordare il passato. E' tipico che il nuovo membro venga assegnato ad attività di proselitismo appena ciò sarà possibile. Nulla consolida il credo di una persona così velocemente quanto il cercare di vendere le proprie convinzioni ad altri. Fare nuovi proseliti contribuisce a cristallizzare in fretta l'identità che il culto ha affidato all'individuo. Dopo che un novizio avrà passato abbastanza tempo con i membri più anziani, giunge anche per lui il momento in cui gli si potrà tranquillamente delegare l'istruzione dei nuovi arrivati. E' così che la vittima diventa carnefice.
Per eventuali approfondimenti, consigliamo la lettura Di "Mentalmente liberi" di Steven Hassan - Ed. Avverbi
Patrizia Santovecchi
Membro della Commissione diocesana per l'Ecumenismo
Responsabile del CeSAP per la Toscana