da Leadership Medica n. 3 del 2004
Introduzione
Per imaging molecolare si intende un nuovo settore della ricerca biomedica e di applicazione diagnostica che si occupa della misurazione, mediante tecniche di imaging, di processi biologici (attività funzionale, metabolismo, espressione di molecole specifiche) a livello cellulare e molecolare.
L’imaging molecolare può essere considerato parte del settore di ricerca di “imaging funzionale”. Da un punto di vista evolutivo infatti l’imaging molecolare può essere considerato come uno sviluppo dell’imaging funzionale, un settore da tempo operativo nell’ambito della Diagnostica per Immagini. Tecniche e approcci metodologici di imaging funzionale sono in fatti utilizzati da decenni in Medicina Nucleare, ma anche in Ecografia, Tomografia Computerizzata e, ancora nelle molteplici applicazioni della Risonanza Magnetica, e, sia pure in misura limitata in Ra-diodiagnostica tradizionale.
Rispetto all’imaging diagnostico convenzionale, nell’imaging molecolare si pone al centro dell’attenzione l’ individuazione della modificazione molecolare attraverso meccanismi e tecniche che possono essere impiegati per dimostrare e quantificare l’alterazione funzionale.
Nella ricerca biomedica tecniche di imaging molecolare possono trovare applicazione in tutti i settori, ma certamente l’oncologia, le malattie neurodegenerative, la cardiopatia ischemica e altri “big killers” sono al centro dell’interesse della maggior parte dei gruppi di ricerca che operano in questo settore.
La ricerca e lo sviluppo di nuove applicazioni
Per ottenere specifiche immagini molecolari in vivo, sono necessarie sonde molecolari ad elevata affinità per il bersaglio con caratteristiche farmacodinamiche compatibile con gli scopi della applicazione e quindi capaci di superare le barriere biologiche; le sonde molecolari devono poter superare le barriere biologiche naturali come l’interstizio e le membrane cellulari.
Problematica centrale per l’imaging con sonde molecolari è la densità del segnale cioè il numero di cellule bersaglio . Non sempre i segnali disponibili sono sufficienti e sono quindi necessari strumenti di amplificazione, sia per quanto riguarda la sonda sia per quanto riguarda la tecnica.
Ligandi recettoriali, substrati enzimatici e anticorpi monoclonali sono utilizzabili come sonde ; ma per permettere la visualizzazione in vico devono avere elevata affinità per il bersaglio e una favorevole farmacocinetica in vivo.
In un approccio sistematico allo sviluppo di nuove metodologie di imaging molecolare è indispensabile una pianificazione dei passi da compiere. L’attività deve partire dalla individuazione degli obiettivi (sulla base di conoscenze epidemiologiche, bioinformatiche, biochimiche e di genetica).
Deve quindi seguire la programmazione e la sintesi di molecole (semplici o complesse, con procedure di chimica organica) ; inizia quindi lo studio delle interazioni delle molecole sviluppate con i tessuti e le cellule (interazioni con le molecole plasmatiche, con strutture recettoriali cellulari, la internalizzazione e il movimento intracellulare, e studio della eventuale capacità di amplificare i segnali).
A queste fasi segue lo studio in vivo propriamente detto in cui entrano in gioco la disponibilità di sistemi per lo studio di biodistribuzione e la di modelli animali di malattia che consentono l’inizio della sperimentazione operativa; in questa fase di operatività in vivo. Diventa quindi fondamentale la caratterizzazione dei meccanismi di “delivery” e lo sviluppo di idonei marcatori che permettono di monitorare con le procedure di imaging la sonda molecolare prodotta. Marcatori diversi possono essere utilizzati per adottare anche in funzione comparative tecniche diverse di imaging. Lo studio di imaging nella sperimentazione animale si può avvalere di tecniche diverse, dall’ecografia ad alta frequenza, alla Risonanza Magnetica (imaging e spettroscopia), dalle tecniche scintigrafiche medico-nucleari convenzionali alla SPECT e alla PET e alla TC. A queste tecniche, consolidate nell’ambito dell’imaging diagnostico, nell’imaging sperimentale si affiancano le tecniche basate sulla individuazione di radiazioni luminose o di frequenza vicina a quelle luminose (fluorescenza, near infrared e altre che rientrano nell’ambito dell’optical imaging). Inoltre, sempre nella fase di avvio della sperimentazione in vivo l’approccio basato su tecniche di imaging con esplorazione dall’esterno si può integrare con sistemi di analisi interni (endoscopia, microscopia intravitale). Alla fase sperimentale “di laboratorio” segue quella della applicazione clinica, che include le fasi classiche di sperimentazione di ogni “farmaco nuovo” e che naturalmente nell’ottica moderna dell’approccio basato su criteri di efficienza e efficacia deve prevedere l’analisi dei benefici ottenibili rispetto agli approcci correntemente utilizzati.
Anche se questo suddescritto è l’approccio metodologicamente corretto e condiviso nella comunità scientifica, in passato l’approccio che ha portato ai primi sviluppi e alle prime applicazioni di imaging molecolare è stato certamente più meno ordinato e sistematico.
La ricerca in Diagnostica per Immagini finora si è concentrata in larga parte sullo studio di nuove tecniche di imaging, e, di riflesso, sullo sviluppo di nuove apparecchiature e sul potenziamento di quelle disponibili. Più recentemente la ricerca si è estesa allo sviluppo di nuovi sistemi per l’elaborazione e la gestione delle immagini delle immagini.
Ma, contemporaneamente alla ricerca “tecnologica”, da oltre cinquant’anni nell’ambito della Diagnostica per Immagini si persegue con approcci diversi lo sviluppo di metodologie di indagine volte alla caratterizzazione di funzioni insieme a quella degli aspetti morfologici e strutturali. Le applicazioni delle tecniche di Medicina Nucleare hanno fornito per prime la possibilità di inquadrare e valutare quantitativamente aspetti funzionali, integrando la rappresentazione delle mappe scintigrafiche con la misurazione della captazione dei traccianti radioattivi, o, in forme più complesse, utilizzando modelli di distribuzione che sulla base di misure sequenziali di radioattività permettono l’analisi quantitativa di funzioni quali la filtrazione glomerulare o la cineticacardiaca. Contemporaneamente alle prime utilizzazioni di radionuclidi per lo studio di processi funzionali con molecole “traccianti” è stata proposta la utilizzazione di “mezzi di contrasto” cioè di sostanze in grado di modificare le caratteristiche densitometriche di alcune strutture scarsamente o per nulla visibili con la radiologia diretta. Queste sostanze sono state di fatto utilizzate in numerose circostanze per un approccio “funzionale”: pensiamo allo sviluppo di molecole dotate di uno specifico tropismo per organi come il rene o il fegato, ma anche allo studio di meccanismi funzionali come la peristalsi esofagea, gastrica e intestinale.
Questi approcci portano verso la “funzione” anche se ancora non si avvicinano alla “molecola” come nell’imaging molecolare propriamente detta.
Imaging molecolare: possibili applicazioni in oncologia
Due approcci sono possibili nell’ambito delle metodiche di imaging molecolare: la visualizzazione diretta del processo o della molecola in esame e la visualizzazione indiretta. La visualizzazione diretta di aspetti metabolici, di metaboliti, di recettori di membrana, di proteine espresse e di geni richiede la sintesi di sonde molecolari, che possono essere marcate per fornire un segnale rilevabile e misurabile dall’esterno. I marcatori disponibili includono nuclidi radioattivi per applicazioni di medicina nucleare, complessi ad alta relassività magnetica per imaging RM, e emettitori di radiazioni luminose per imaging ottico, ma sono in corso di studio anche marcatori associati a microbolle per un possibile impiego ecografico.
Numerose sono le metodologie già disponibile per un imaging molecolare diagnostico diretto.
La visualizzazione indiretta, sempre ottenibile come molecole marcate, è un approccio particolarmente adatto alla valutazione della espressione genica ed ha una valenza ancora prevalentemente sperimentale.
In campo oncologico la scoperta dei meccanismi molecolari coinvolti nella crescita e nella progressione tumorale ha permesso di individuare una serie di bersagli molecolari utilizzabili per la visualizzazione di processi biologici quali sistemi recettoriali, il metabolismo di particolari substrati come glucosio e aminoacidi e altri processi quali neoangiogenesi e apoptosi.
Recettori
In Medicina Nucleare recentemente sono state proposte applicazioni diagnostiche cliniche di ligandi recettoriali, substrati enzimatici e anticorpi monoclonali utilizzabili come sonde molecolari.
Lo studio di sistemi recettoriali è stato perseguito con particolare interesse.
Un esempio rispetto al quale sono state avviate numerose linee di ricerca di base e di possibile applicazione clinica di imaging molecolare è rappresentato dalla Somatostatina e dal suo recettore. La somatostatina è un polipeptide di 14 aminoacidi prodotto da diverse cellule distribuite in vari tessuti, in particolare in alcuni neuroni e da una popolazione cellulare (cellule D) presente nel pancreas e nel tratto gastro-enterico. Il recettore per la somatostatina (di cui esistono 5 sottotipi con diversa affinità) è distribuito in diverse quantità in molti tessuti, in diverse regioni del cervello, del midollo spinale, dell’adenoipofisi, del tratto gastro-enterico, del surrene, del pancreas esocrino ed endocrino, della tiroide e del rene. Recettori per la somatostatina sono presenti nelle cellule maligne originate da tessuti le cui cellule normali esprimono questi recettori.
L’azione della somatostatina sulle cellule tumorali sulle può essere diretta, stimolando l’arresto della crescita e la induzione dell’apoptosi mediante inibizione del segnale mitogenico ed indiretta, mediante inibizione della secrezione dell’ormone della crescita (GH) e dei fattori di crescita, stimolando vasocostrizione, inibendo l’angiogenesi.
Su questi presupposti si è basato l’avvio di una sperimentazione diagnostica basato sull’impiego di un analogo della somatostatina, l’octreotide (un octapeptide, marcato con Indio-11-DTPA.
La somatostatina nativa infatti ha una emivita in circolo di soli 3 minuti per la rapida degradazione enzimatica che subisce; l’octreotide è un analogo della somatostatina che ha una lunga resistenza in circolo ed una elevata affinità per i recettori R1 e R5. Gli analoghi radiomarcati della somatostatina sono stati utilizzati per l’imaging di tumori diversi. Oltre e più che ai fini diagnostici, la presenza di recettori dimostrabili con tecniche di imaging potrebbe costituire la base per un impiego terapeutico di analoghi della somatostatina, in particolare se accoppiata a procedure di terapia genica con transfezione di geni che esprimono il recettore della somatostatina: la espressione di recettori per la somatostatina con procedure di gene therapy, seguita da somministrazione di sostanze in grado di interagire con il recettore bloccando la crescita cellulare potrebbe essere presa in considerazione come strategia terapeutica in alcune forme neoplastiche.
PET e metabolismo
Ma, accanto agli studi con ligandi recettore specifici, certamente nell’evoluzione verso l’imaging molecolare metabolico ha avuto un ruolo critico lo sviluppo della PET (Tomografia a Emissione di Positroni), la tecnica che oggi, a trent’anni dalla sua introduzione è lo strumento più potente, raffinato e versatile per lo sviluppo di metodiche diagnostiche di imaging molecolare, per l’elevata accuratezza delle misure tessutali di radioattività e per la possibilità di sviluppare molteplici traccianti marcati con radionuclidi positrone emettitori. E in questo contesto, nel processo di evoluzione verso l’imaging molecolare diagnostico ha avuto un ruolo fondamentale la messa a punto, negli anni ‘70, del metodo per lo studio del consumo di glucosio basato sull’utilizzazione dell’analogo del glucosio, il deossiglucosio, da parte di Sokoloff e collaboratori. Con la sintesi del deossiglucosio marcato con Fluoro-18 (FDG) si è aperta la strada dell’imaging metabolico mediante PET e, di fatto, è iniziata la storia dell’imaging “molecolare” come lo intendiamo oggi.
La tecnica PET e l’esame PET-FDG, sono stati inizialmente accolti con qualche diffidenza e perplessità in ambito diagnostico, anche per le difficoltà organizzative legate alla produzione del radiofarmaco. Ma negli ultimi 10 anni l’esame PET del metabolismo glucidico è diventato parte integrante dell’armamentario diagnostico per immagini con un ruolo rilevante nella dignostica oncologica e uno spazio ben definito anche se numericamente meno rilevante nella diagnostica neurologica e cardiologica. Mentre in ambito clinico si comincia a accogliere con crescente interesse la diffusione della PET-FDG, nei laboratori di ricerca PET continua lo sviluppo di nuovi traccianti per lo studio di altri aspetti metabolici, per lo studio della sintesi proteica e lipidica, dei sistemi di neurotrasmissione, della sintesi di DNA e della espressione genica. Questi sviluppi porteranno progressivamente ad ampliare in modo rilevante lo spazio di utilizzazione clinica dell’imaging molecolare mediante PET.
MRS e MRI
Ma, oltre alla PET anche un’altra tecnica che oggi utilizziamo prevalentemente per caratterizzazioni di tipo morfologico è strettamente legata alla possibilità di un approccio diagnostico funzionale e “molecolare”: la Risonanza Magnetica. Per sua natura intrinseca il fenomeno NMR è legato alla specie atomica e all’ambito molecolare in cui l’atomo è collocato. La spettroscopia a Risonanza Magnetica (Magnetic Resonance Spectroscopy, MRS) è una formidabile tecnica non invasiva per l’analisi delle caratteristiche chimiche dei campioni biologici: la MRS è stata utilizzata per quasi quarant’anni in laboratorio ed diventata oggi uno strumento di imaging molecolare avanzato in vivo. Con la MRS in vivo è possibile “mappare la distribuzione di metaboliti”, a livello del sistema nervoso centrale, del cuore, di lesioni neoplastiche . La caratteristica essenziale della tecnica spettroscopica è la specificità, cioè la possibilità di individuare selettivamente determinate specie molecolari. Alla specificità non si associa, nelle condizioni operative attuali, un’altrettanto elevata sensibilità; per questo le procedure MRS sono ancora caratterizzate da tempi di acqusizione relativamente lunghi. Tuttavia questi tempi sono riducibili con l’aumento del rapporto segnale/rumore ottenibile con campi magnetici di maggiore intensità. In ambito clinico quindi notevoli sono le aspettative relative alla diffusione degli apparecchi con campo magnetico da 3 Tesla; mentre in ambito sperimentale apparecchi di 7-9 Tesla e oltre sono già in uso. Non va dimenticato, peraltro che la RM consente anche altri approcci di studio di tipo funzionale, quali quelli volti allo studio della perfusione ematica e dei processi di diffusione delle molecole di acqua. Queste modalità di studio permettono di realizzare il cosiddetto functional MRI. Oltre alla valutazione di attivazioni funzionali cerebrali, il functional MRI può rappresentare uno strumento utile per la caratterizzazione dei processi di angiogenesi e degli approcci terapeutici innovativi basati sulla promozione o sul contrasto ai meccanismi di neoangiogenesi (rispettivamente nelle vasculopatie e nelle neoplasie maligne). Inoltre, anche con lo sviluppo di approcci basati su “mezzi di contrasto” per Risonanza Magnetica si cominciano ad affrontare tematiche come quelle della valutazione dell’espressione genica che in linea di principio potevano sembrare dominio riservato all’approccio medico nucleare con traccianti radiomarcati. Il principale vantaggio potenziale della RM per l’imaging molecolare e della espressione genica può essere la sua alta risoluzione spaziale e la capacità di estrarre dati quantitativi. Il contrasto presente in un’immagine RM è influenzato da numerosi fattori e può essere considerevolmente incrementato attraverso l’uso di specifiche sostanze (mezzi di contrasto )grazie alle quali è possibile aumentare notevolmente l’informazione diagnostica contenuta nell’immagine. Attualmente la maggior parte delle procedure diagnostiche che fanno uso di mdc prevede l’impiego di complessi paramagnetici di Gadolinio. L’efficacia di un mezzo di contrasto per RM dipende dalla sua relassività e quindi essenzialmente da parametri strutturali e dinamici del chelato. In particolare, ai valori di campo magnetico a cui operano i tomografi RM attualmente disponibili, la relassività è direttamente correlata alle dimensioni molecolari. La visualizzazione di strutture presenti “in vivo” a concentrazioni molto basse richiede lo sviluppo di molecole dotate di elevata relassività. Infatti è stato stimato che, utilizzando le molecole attualmente in commercio, la visualizzazione di recettori presenti sulla superfice cellulare è possibile solo con l’accumulo di 100-1000 complessi di Gadolinio per molecola di recettore. Lavori recenti hanno messo in evidenza come sia possibile predisporre complessi di Gadolinio dotati di valori relassività di circa 20 volte superiori rispetto ai mezzi di contrasto utilizzati nella pratica clinica. Ciò significa che con questi sistemi l’obiettivo della visualizzazione dei recettori cellulari potrebbe essere conseguito una volta che i complessi di Gadolinio fossero dotati di specifici sintoni di riconoscimento.
Angiogenesi, apoptosi e Multi Drug Resistance
L’angiogenesi è il processo mediante il quale si formano nuovi vasi a partire da vasi pre-esistenti attraverso una serie di passi sequenziali. La formazione di nuovi vasi è essenziale per numerosi processi fisiologici, ma si associa anche a fenomeni patologici. Infatti una neoformazione tumorale per poter raggiungere un certo diametro e per poter successivamente metastatizzare ad altri organi deve reclutare nuovi vasi. La ricerca nell’imaging molecolare si è rivolta allo studio delle numerose molecole sono coinvolte nella regolazione di tale processo. Alcune di queste (come i membri della famiglia del VEGF, l’Ang1 e il bFGF)sembrano indurre la proliferazione, la migrazione e l’assemblaggio di cellule endoteliali. Altre (come Ang2 e proteinasi) mediano la degradazione della membrana basale e della matrice extracellulare ; mentre le integrine avb3 e avb5 modulano la dispersione e la migrazione delle cellule endoteliali e così via. Numerose molecole inoltre possono interferire a vari livelli nel processo di neo angiogenesi impedendo la formazione di neovasi e di conseguenza la crescita tumorale.
Le cellule endoteliali dei neovasi si distinguono dalle cellule endoteliali quiescenti per l’espressione di marcatori specifici che potreb-bero essere utilizzati come bersagli molecolari per la diagnosi ma soprattutto per la terapia dei tumori. Particolarmente importante a tale fine sembra essere l’integrina avb3 iperespressa nelle cellule endoteliali attivate e poco espressa nell’endotelio quiescente e nei tessuti normali. Avb3 potrebbe essere un target promettente sia per l’imaging dell’angiogenesi, che per la distribuzione selettiva di farmaci antitumorali. Avendo come target questa integrina, è stato sviluppato un anticorpo monoclonale anti avb3 (LM609) che è stato accoppiato a liposomi contenenti Gadolinio per individuare mediante RM neovasi tumorali in modelli animali, ed è stato anche marcato con 125-I o con 18-F e usato in modelli animali per visualizzare mediante micro PET tumori iperesprimenti avb3.
L’apoptosi è un processo fisiologico che comporta la morte selettiva e programmata delle cellule. Alterazioni nel controllo dell’apoptosi sono coinvolte nella patogenesi di numerosi processi patologici quali tumori, patologie autoimmuni e alcuni processi infettivi. Numerosi stimoli quali farmaci, radiazioni, ischemia etc. possono innescare il processo di apoptosi. L’attività preoteolitica di alcuni enzimi produce i cambiamenti morfologici tipici della cellula in apoptosi comportando contrazione del volume cellulare, rigonfiamento delle membrane, condensazione della cromatina e frammentazione nucleare. Evento importante nell’ambito di tale processo è dato dall’esposizione sulla membrana cellulare della fosfatidilserina che normalmente si trova negli strati interni della membrana cellulare. La fosfatidilserina ha elevata affinità per l’annessina V che, se marcata con 99mTc può essere utilizzata per visualizzare il processo di apoptosi in vivo.
La farmacoresistenza a diversi tipi di farmaci (Multi Drug Resistance MDR) rappresenta una delle principali cause di fallimento della chemioterapia nei pazienti oncologici. In genere la MDR si associa alla presenza di una glicoproteina transmembrana (P-glicoproteina), prodotto del gene MDR1. La P glicoproteina, nello svolgere la sua funzione di pompa, espelle i farmaci antiblastici dal compartimento intracellulare, riducendone in tal modo l’effetto letale sulle cellule neoplastiche. Numerosi studi sono stati effettuati sia in modelli animali che nell’uomo per poter caratterizzare e visualizzare la MDR. Per raggiungere tale obiettivo, molti composti gamma emittenti sono stati validati e caratterizzati come sostanze di trasporto per MDR1- Pgp. Uno dei primi composti è il 99mTc-sestamibi, radiofarmaco ampiamente disponibile che permette l’analisi scintigrafia della MDR. Il 99mTc-sestamibi si accumula all’interno delle cellule in risposta al fisiologico potenziale mitocondriale negativo ed al potenziale della membrana plasmatica. Quando è presente MDR1 P-gp il 99mTc-sestamibi viene trasportato fuori dalle cellule con conseguente riduzione dell’accumulo intracellulare. L’attività di trasporto della P-gp è stata studiata anche in vivo, con immagini ottenute da comuni gamma camere. I dati di farmacocinetica del 99mTc-sestamibi sono stati estrapolati dalle immagini del tumore e la funzione della P-gp è stata quantizzata in termini di clearance del tracciante e correlata ai livelli di espressione della proteina misurati nel tumore. Come risultato di questi studi, si è visto che il rate di efflusso del 99mTc-sestamibi può essere utilizzato per l’identificazione non invasiva della MDR nel carcinoma della mammella. In altri studi è stata esaminata la relazione tra ritenzione del 99m Tc-sestamibi e MDR. L’analisi del rate di washout ha mostrato una correlazione inversa tra rapporto tumore-back-ground e livelli di espressione di P-gp. Infatti più alta è la ritenzione del tracciante nel tumore, migliore è la risposta ai chemioterapici.
Studi in vitro e su animali, han-no dimostrato che è possibile bloccare chimicamente l’estrusione del 99m Tc-sestamibi mediata da P-gp mediante l’utilizzo di modulatori quali PSC 833 (Valspodar), Vx-710 (Biricodar) e XR-9576 (Tariquidar).
Reporter gene
Nell’imaging molecolare, oltre ad un approccio diretto al processo bersaglio (quale può essere la interazione di un ligando con un recettore, o lo studio del consumo di glucosio con FDG) sono stati proposti una serie di approcci indiretti basati soprattutto sulla dimostrazione della efficacia di induzione di un’attività enzimatica.
È questo il meccanismo del reporter gene, un cui esempio classico è quello della timidina kinasi del virus Herpes Simplex 1, (HSV-Tk), utilizzato come convertitore di profarmaci in molecole farmacologicamente attive in diversi protocolli sperimentali di terapia genica.
Per evidenziare l’avvenuta incorporazione e attivazione cellulare di questo enzima, introdotto con un carrier virale, si possono somministrare profarmaci marcati con iodio o con fluoro come lo [iodo-20 fluoro-20 deoxy-1-b-d-arabino]-furanosil-uracile (FIAU) e altri che sono in grado di attraversare liberamente la membrana cellulare. In presenza dell’enzima espresso dal gene transfettato questi farmaci sono fosforilati e intrappolati nella cellula, permettendo l’imaging con tecnica PET o SPET.
In questi anni sono stati proposti una serie di reporter systems per lo studio della espressione di recettori di superficie naturali o diproteine di fusione di superficie artificialmente indotte, che possono essere utilizzate come strumento per la cattura di molecole marcate con radionuclidi o con supporti utilizzabili per imaging RM o imaging ottico.
L’imaging della espressione genica è la frontiera avanzata di battaglia dove le tecniche di imaging molecolare potranno e dovranno essere utilizzate insieme ad altri approcci per verificare l’efficacia della introduzione delle nuove terapie.
Conclusione
L’ “imaging molecolare” è un approccio diagnostico che ha come scopo la individuazione sempre più precoce delle malattie attraverso il riconoscimento “visivo” delle fini alterazioni molecolari che le caratterizzano, andando a integrare l’approccio diagnostico molecolare di laboratorio permettendo di visualizzare attraverso “immagini funzionali” i processi patologici nella sede anatomica in cui si determinano.
L’imaging molecolare costituisce una grande opportunità per rafforzare e stimolare la collaborazione tra specialisti delle diverse aree e settori della Diagnostica per Immagini e con le discipline di base (biotecnologiche, chimiche, fisiche, informatiche e ingegneristiche) e per far crescere culturalmente la Diagnostica per Immagini. Una forte collaborazione dovrà nascere nei prossimi anni tra il mondo della ricerca accademica e le industrie farmaceutiche per portare in ambito clinico un gran numero di nuove applicazioni diagnostiche di imaging molecolare.
Per la rilevanza che sta assumendo in ambito clinico, l’imaging molecolare deve diventare una parte importante del percorso formativo dello specialista in Diagnostica per Immagini.
Prof Ordinario di Radiologia
Università Vita - Salute “San Raffaele” Milano
Marco Salvatore
Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali
Università degli Studi di Napoli Federico II Napoli
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